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Come la pandemia ha creato il fast-fashion 2.0

Data per spacciato a inizio 2020, l'industria del fast-fashion è sopravvissuta adattandosi ai cambiamenti

Come la pandemia ha creato il fast-fashion 2.0 Data per spacciato a inizio 2020, l'industria del fast-fashion è sopravvissuta adattandosi ai cambiamenti

Se tornassimo indietro di un paio di anni non faremmo fatica a trovare quelli che all'epoca sembravano essere i necrologi dell'industria fast-fashion. Tra un un calo d'interesse da parte del pubblico e l'avanzata della pandemia, il destino di nomi come H&M e Zara sembrava essere quello di un lento declino in cui la chiusura dei punti vendita fisici sarebbe stata una delle naturali conseguenze dei lockdown imposti dalla situazione sanitaria nata a inizio del 2020 e protrattasi per quasi due anni. Perse le sue abitudini pre-pandemiche però l'industia del fast-fashion non ha voluto mollare il colpo ma anzi, un po' come accade in natura, ha colto la situazione di pericolo per evolversi e approdare a quella che potremmo definire una sua versione 2.0. Al centro di questo percorso evolutivo e di sopravvivenza c'è sicuramente l'avvento di Shein, e-commerce cinese nato nel 2008 ma arrivato sul territorio occidentale con diversi anni di ritardo riuscendo a cogliere e replicare gli ingredienti del successo dei suoi predecessori traducendoli però in una crescita senza precedenti, arrivando nel 2020 a 10 miliardi di dollari di vendita con la proiezione di poter superare Zara nel corso del 2022.

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Se l'ascesa di Shein non fosse abbastanza, lo scorso anno il mega conglomerato Alibaba ha lanciato la sua piattaforma di e-commerce allyLikes con l'obiettivo di replicare il successo del colosso cinese. Il piano è semplice e vede nella Gen Z l'obiettivo principale di una moda a basso costo che replica trend e look visti durante e fashion-week riprodotti con i ritmi resi celebri da Zara in cui le supply chain giocano un ruolo fondamentale. Così, contro qualsiasi previsione di inizio 2020, il modello di Shein da 6000 nuovi item disponibili ogni giorno, si è trasformato nell'esempio virtuoso per un esercito di nomi più o meno conosciuti, pronti a trarre i propri insegnamenti dal caso dell'e-commerce fondato da Chris Xu. Con canali come TikTok al centro della propria comunicazione, Shein è riuscita a fare breccia nei cuori della Gen Z attraverso un'opera di posizionamento passata anche per l'illusione del greenwashing, avvertita come un'esigenza per molti dei consumatori ma spesso poco in linea con le pratiche produttive dell'industria fast-fashion, ma soprattutto con l'illusione di un potere d'acquisto che nell'epoca del revenge shopping trova la sua valvola di sfogo in una moda a basso costo pronta ad asseconda l'istinto di qualsiasi acquirente.

Se Shein rappresenta un'evoluzione digital del fast-fashion, quello senza store fisici e con una forte presenza online, la vecchia guardia ha scelto di rifarsi l'immagine, puntando su un'idea di prodotto più alta rispetto a una concorrenza che invece vuole svendere. Zara su tutti ha scelto di applicare una nuova policy che parte da un cambio di immagine fino a un aumento dei prezzi pensato per prendere le distanze dai competitor, ma soprattutto per contribuire a quell'illusione di vendere qualcosa di diverso dalla concorrenza, una caratteristica riscontrabile anche nella comunicazione, lontana dallo stile basic solito del fast-fashion e che ha saputo coinvolgere nel corso del tempo nomi di spicco come Luca Guadagnino e Steven Meisel. Per adesso il cambio di rotta sembra dare ragione al gruppo Inditex, che nel 2021 ha visto un aumento del fatturato del 37% rispetto all'anno precedente. Un risultato, che sommato alla crescita di Shein e dei suoi fratelli minore, sembra essere la prova definitiva di un fast-fashion non solo sopravvissuto alla pandemia, ma anche reso più forte e pronto ad aggredire il mercato con un approccio nuovo e ancora più efficace.