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Halston: il golden boy della moda americana

Un documentario e una serie tv ripercorrono la storia dello stilista

Halston: il golden boy della moda americana Un documentario e una serie tv ripercorrono la storia dello stilista

Roy Halston è stato uno dei più grandi stilisti della storia americana. Talentuoso, eccessivo, sfortunato, amato, bellissimo, sfrontato, edonista. Gli aggettivi per definire Mr Clean, come qualcuno lo chiamava in onore alle sue creazioni dalle linee minimali ed eleganti, sono molti e spesso contradditori fra loro. La sua moda ha segnato profondamente la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, influenzando le successive generazioni di designer, primo fra tutti Tom Ford.

Ora, a oltre trent’anni dalla sua prematura morte avvenuta a soli 57 anni nel 1990 per complicazioni da HIV, due progetti cinematografici riportano Halston sotto i riflettori. Il primo progetto, ancora work in progress, è Simply Halston, una mini serie tv prodotta da Legendary Television, che ha come protagonista Ewan McGregor nei panni del talentuoso creativo. Il secondo è un documentario presentato in anteprima al Sundence Festival, diretto da Frédéric Tcheng, regista già al lavoro su Diana Vreeland The Eye Has to Travel del 2011, Valentino: The Last Emperor e Dior and I. Il lungometraggio si basa sulla biografia scritta dalla nipote di Halston, Lesley Frowick e fonde foto, filmati d’archivio e testimonianze di personaggi vicini al designer. All’ex blogger-prodigio Tavi Gevinson è stata assegnata la parte del narratrice. 

 

Il 2019 sembra proprio l’anno di Halston. nss approfitta di questa occasione per raccontarvi tutto quello che c’è da sapere su questo stilista geniale.

Ha raggiunto la fama mondiale grazie a Jacqueline Kennedy.

Roy Frowick Halston nascee a Des Moines in Iowa il 23 aprile 1932 da padre norvegese e madre americana. Ancora piccolo, si avvicina al mondo della moda e inizia a cucire qualche abito per la sorella. Dopo aver frequentato gli studi presso l’Indiana University, la famiglia si trasferisce a Chicago. Qui frequenta i corsi serali presso la School of the Art Institute e contemporaneamente lavora come visual merchandiser presso il magazzino di lusso Carson Pirie Scott per mantenersi agli studi. 

L’anno seguente, nel 1953, inizia la sua attività di creatore di cappelli, riscuotendo grande successo tra le star dell’epoca come Kim Novak, Deborah KerrRita HayworthDiana VreelandMarlene Dietrich e Gloria Swanson. Nel 1957, dopo avere inaugurato la sua prima boutique, si trasferisce a New York, dove inizia a lavorare per la celebre stilista Lilly Daché. Nel giro di un anno viene nominato co-designer della maison, incarico che lascia per passare a Bergdorf Goodman.  Nello stesso periodo arriva la vera consacrazione del suo lavoro come modista: è il 1961 e alla cerimonia di insediamento alla Casa Bianca del marito John Fitzgerald Kennedy, Jackie Kennedy decide di indossare un Pillbox Hat creato da Halston. 

Il lato glamour della funzionalità.

Dopo un brillante inizio come modista, nel 1966 Halston passò a disegnare abiti, inaugurando la sua prima boutique in Madison Avenue nel 1968. L’anno seguente lanciò la sua prima linea di prêt-à-porter, Halston Limited

Come egli stesso dichiarò in un’intervista rilasciata a Vogue, ciò che più gli stava a cuore, nella creazione dei capi, era la funzionalità e per questo odiava orpelli come fiocchi o cuciture inutili. I suoi abiti sono minimalisti e sofisticati, hanno linee pulite ed essenziali che lo stilista declina in modo unico nello stile glam tipico degli anni Settanta. Halston, maestro del taglio e delle finiture, divenne presto famoso per le sue creazioni in tessuti morbidi come le fluttuanti tuniche e jumpsuit di jersey o rayon opaco, i caftani in chiffon tye-die o stampati a cerchi e rettangoli ispirati a Wassily Kandinsky,  le importanti mantelle realizzate con metri e metri di tessuto. Tra i suoi lavori più iconici ci sono l’halter dress e lo chemisier in ultrasuede o modello 704, un abito aveva la particolarità di essere confezionato in camoscio lavabile in lavatrice (tessuto brevettato da Halton nel 1972). 

Halstonettes

"Sei bravo solo quanto le persone che vesti."

Pare che Halston intendesse iniziare la sua autobiografia con questa frase. Se questo è il metro di giudizio, allora il talento del designer americano era stellare perché tutte le celebrities dell’epoca volevano indossare le sue creazioni. Il jet set internazionale cadeva ai suoi piedi. Tra le sue clienti famose c’erano non solo Liza Minnelli e Bianca Jagger, sue carissime amiche, ma anche Elisabeth Taylor, Martha Graham, Lauren BacallMargaux HemingwayAli MacGraw, Raquel Welch, Jackie Onassis, Marella Agnelli, Babe Paley, Catherine Deneuve. Re della vita notturna di New York tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, immerso nel vortice glamour della scena dello Studio 54, Halston adorava mescolare affari e piacere e circondarsi delle sue clienti, delle sue muse, collaboratrici (come Elsa Peretti che creò per lui gioielli in argento dalle forme minimali, cinture a forma di serpente ed il flacone del profumo a forma di lacrima, così iconico da non aver bisogno di nessun nome inciso) e anche delle sue modelle preferite.  Le Halstonettes, come venivano chiamate usando il termine coniato dal fashion editor André Leon Talleyincarnavano perfettamente il suo stile glamour chic e includevano Anjelica Huston, Pat Cleveland e Jerry Hall. Nel libro Yves Saint Laurent + Halston: Fashioning the 70s, la curatrice Patricia Mears ha descritto l'immancabile entourage di modelli di Halston così:

“Questo assemblaggio di giovani donne colpisce non solo per i loro corpi alti e magri e i loro bei volti, ma anche per la loro diversità etnica. Da un lato dello spettro c'era la fresca bionda nordica, Karen Bjornsen, e dall'altro la sensuale afro-americana Pat Cleveland. La più importante di tutte era Anjelica Huston, figlia del famoso regista John Huston. Collettivamente, le Halstonettes hanno fatto più che riflettere lo stile di abbigliamento dello stilista, rispecchiano la sua immagine di sé: giovane, bello, glamour, altezzoso, vibrante e fotogenico”. 

È stato uno dei primi luxury brand a collaborare con una catena low cost.

 

Molto prima che H&M iniziasse a lavorare con brand di lusso come Balmain o Lanvin per una serie di ormai famosissime capsule collection, fu Halston a dare il via al trend. Nel 1983, all’apice del successo, il designer americano firmò un importante accordo di licenza da un miliardo di dollari con il rivenditore JCPenney per lanciare Halston III diffusion line (una linea economica prodotta otto volte all'anno) che doveva portare lo stile del creativo alle masse.  L’idea, fin troppo lungimirante ed ambiziosa per l’epoca, era di espandere la sua attività, avendo la possibilità di vestire più persone stabilendo così un approccio più democratico alla moda. La collaborazione con i grandi magazzini, costò un caro prezzo allo stilista. Reputando la collaborazione troppo “cheap”, Bergdorf Goodman e Martha (alcune delle boutique statunitensi  più esclusive dell'epoca) decisero di abbandonare la linea principale di Halston. L'idea che la couture potesse essere per tutti lasciò inorriditi i vertici della moda e Halston venne punito per essersi aver osato, seppur indirettamente, accostare il nome di quelle boutique con altre più mainstream. Nonostante la stampa lo amasse e i vestiti della capsule fossero, il successo durò poco. Un confluire di cause portò alla fine del marchio. Le più importanti furono la crescente dipendenza dalla droga dello stilista e il suo perfezionismo ce lo costringeva a approvare personalmente ogni disegno su licenza, il che rallentava costantemente il processo di produzione, rendendo la gestione dell'azienda sempre più difficile. Da allora in poi, Halston e la sua casa apparvero sfortunati. Gli addetti ai lavori cominciarono persino a parlare della "maledizione di Halston". Dopo una serie di acquisizioni a metà degli anni Ottanta, il marchio finì nelle mani di Revlon, che pagò il designer per non interferire con il lavoro quotidiano o con i disegni. Senza il tocco magico di Halston, il marchio perse il suo fascino venendo ufficialmente dismesso nel 1990.

Sex, drugs, disco, great fashion.

 

Halston amava gli eccessi. Spendeva cifre a 6 zero in orchidee (il suo fiore preferito) per decorare lo studio. Non viaggiava mai senza un entourage di modelle e amici che vestiva coordinati fra loro in stile Halston. Organizzava famose e decadenti cene nella sua casa al West Village, notti irripetibili e strane con "sei pollici di glitter per terra" e cameriere nude con i peli pubici a forma di cuore tinti di rosa. Era uno dei frequentatori abituali dello Studio 54, dove passava le serate a ballare, chiacchierare con amici come Andy Warhol e Bianca Jagger, flirtando con uomini come Victor Hugo. Sono leggendarie le sue folli serate a base di uomini e droghe di ogni sorta.

È suo l’abito indossato nello scatto più iconico degli anni ’70. 

New York. 2 maggio 1977.Mezzanotte. Bianca Jagger festeggia il suo trentesimo compleanno e per celebrarlo  fa il suo ingresso trionfale allo Studio 54 a cavallo di un destriero bianco, scortata da un barista coperto solo da vernice e paillettes dorate. La moglie di Mick Jagger, una delle donne più eleganti della storia, indossa un abito rosso rubino firmato Halston. L’immagine catturata dall’obiettivo di Rose Hartman appare sui giornali di tutto il mondo e, ancora oggi, è lo scatto che meglio di ogni altro rappresenta un’epoca e un luogo mitico, lo Studio 54, epicentro dell’edonismo glamour anni ’70. Solo nel 2015 Bianca Jagger rivelò il retroscena della foto in una lettera inviata al Financial Times: sapendo della sua passione per i cavalli e che ne possedeva proprio uno bianco, il proprietario del club, Steve Rubell, fece trovare all'interno della discoteca l'animale. Quindi la it-girl non arrivò a cavallo, ma lo trovò come sorpresa alla festa.

L’influenza della sua moda arriva fino ai nostri giorni.

 

Sul red carpet dell’ultimo festival di Cannes la modella Elsa Hosk ha un lungo abito dalle sfumature pastello firmato Etro, caratterizzato da una profonda scollatura a V e da una sottile cintura oro in vita. La creazione, come ha svelato su Instagram il brand italiano, è un omaggio al famoso abito di Halston indossato da Lauren Hutton agli Oscars del 1975. I due modelli sono quasi identici, ma Etro non è certo l’unico brand ad aver raccolto l’heritage di Roy Frowick Halston. Basta pensare a Jil Sander o alle collezioni fatte di monocromatiche di tailleur e abiti in jersey di Calvin Klein a metà degli anni '90. Le maggiori influenze si riscontrano, però,  nell’opera di Tom Ford, specialmente nel periodo in cui era creative director di Gucci (date uno sguardo alle proposte della FW95 e della SS11), come ha ammesso lui stesso diverse volte:

“Puoi tracciare una linea diretta da me ad Halston, ma puoi ricondurre Halston a Madeleine Vionnet. Apri un libro Vionnet e vedrai un sacco di cose che Halston ha preso”.