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Author Francesco Abazia
Video Direction Andrei Warren
3D Production Misato Studio
3D Clothing Aljoscha Bu
Music production Kai Landre
Look Marine Serre SS20
Production nss factory

Il contratto di partnership tra Kanye West e Nike - lo stesso che, negli anni, diventerà il principale motivo di frizione tra le parti - è stato il primo che Nike ha fatto firmare a un non-atleta - nonostante la super model Tyra Banks abbia recentemente ammesso di aver pensato di esser stata lei la prima in assoluto.

Era il 2009 e quell’enorme fenomeno che nel decennio successivo avrebbe sconvolto per sempre il mondo delle moda, le sneaker, non era altro che una roba di nicchia, che aveva poggiato per decenni saldamente le sue basi nel basket e nelle stelle dell’NBA. Larry Bird e Magic Johnson per Converse, Dominique Wilkins e Allen Iverson per Reebok, e ,ovviamente, Michael Jordan per Nike e Jordan brand: i principali “creator” di sneaker, le ispirazioni dietro i modelli utilizzati dagli sneakerhead erano i migliori atleti professionisti del paese che più d’ogni altro aveva fatto dello sport un fatto culturale. Una delle cose che hanno fatto i social, Instagram in particolare, è stata capovolgere completamente quella narrativa: è improbabile che negli ultimi anni una delle sneaker più hype del mercato sia stata creata da un atleta, molto più facile che il nome di Kanye West o quello di Travis Scott fossero stampati sulla silhouette.

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Oggi anche questa era sembra vicina al cambiamento, i creator che hanno dominato la scena negli ultimi dieci anni stanno evolvendo la loro posizione lasciando la prima linea della cultura globale per spostarsi più a monte, proprio come Kanye, che si rifugia nelle montagne del Wyoming. Chi saranno quindi i protagonisti dei prossimi dieci anni?

Quello che è successo negli anni passati ha motivazioni molteplici, ampie, che hanno a che fare con l’evoluzione della moda, l’incredibile sviluppo dello streetwear e i naturali trend che periodicamente coinvolgono il fashion system. D’altra parte, però, più o meno in contemporanea con questo fenomeno, le fondamenta dell’industria della moda veniva scosse anche da un altro terremoto, che col tempo abbiamo imparato a conoscere con diversi nomi, quello degli influencer.

Nati dalla ceneri dei blogger e poi evolutosi in creator, gli influencer e il modo in cui hanno vissuto la moda è stato il principale trend dello scorso decennio, capace di modificare in maniera radicale il modo in cui i brand si approcciano al loro audience e al marketing. Come nota The Fashion Law, gli influencer hanno negli anni sostituito il ruolo che era stato delle celebrities alla fine degli anni 90 e nei primi anni 2000: «ciò che si qualifica come una "celebrity" e il modo in cui gli esperti di marketing stanno utilizzando il loro potere di vendita è progredito in modo abbastanza significativo».

L’idea che gli influencer - e con loro i brand di moda - hanno provato a installare nei consumatori è, come scrive Naomi Fry sul New Yorker: «con un po’ di aiuto da parte dei prodotti che veniva venduti, tutti potessero diventare come loro». Negli anni però i “creator” - un termine nato su YouTube e coniato per la prima volta dalla Next New Network - hanno preso il posto degli influencer e l’equazione che voleva il volo utilizzato meramente per vendere o far conoscere un prodotto è completamente saltata.

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I creator sono diventati parte dell’industria, se non l’industria stessa. In un pezzo pubblicato sul Wall Street Journal lo scorso febbraio, Jacob Gallagher ha provato a spiegare come il paradigma che tutti pensavamo fosse in atto sui social media - e che vedeva gli influencer e i digital creator, come Chiara Ferragni, prendere il posto dei designer - stesse in realtà andando in un’altra direzione.

I fashion designer si sono trasformati nei migliori influencer/creator possibili per il loro brand, abbattendo una barriera che - in primis - permette ai loro brand di risparmiare tanti soldi: «Più persone seguono [il profilo di un designer], meno soldi quel brand deve spendere in pubblicità tradizionale. Quell’investimento può trasferirsi altrove e generare un vantaggio per il marchio», ha detto il professor Jonah Berger proprio al WSJ.

Se i Virgil Abloh e i Marc Jacobs hanno trasformato il ruolo dei designer in relazione a Instagram, c’è chi, come Jacquemus o Heron Preston, quel rapporto lo ha completamente cambiato, disintegrando le differenze tra account personale del designer e quello ufficiale del brand.

Nel frattempo le celebrity/creator sono diventate miliardarie: nel marzo del 2019 Kylie Jenner è stata certificata da Forbes come la più giovane miliardaria di sempre, grazie al suo Kylie Cosmetics’ certo, ma soprattutto grazie a una potenza da fuoco sui social media con pochissimi pari al mondo - «è il potere dei social media», aveva detto la stessa Jenner.

L’emersione della sneaker culture, dello streetwear e la fusione con il mondo della moda tradizionale sono tutti fenomeni che hanno accompagnato gli ultimi 10 anni di fashion industry, tutti legati - in un modo o nell’altro - alla figura dei creator. I comparti culturali della nostra società, tra cui moda, musica, arte e cinema, hanno raggiunto via via un livello di interconnessione tale da poter essere rappresentato come un unico monolite, alimentato costantemente dai social media.

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Nel report stilato da Hypebeast insieme a PwC, si legge: «Ed è la comunità collettiva che ha il potere di determinare ciò che è cool tanto quanto gli esperti del settore. Con i social media, questa relazione è stata amplificata. I consumatori possono fare affidamento su brand e piattaforme multimediali per creare il prodotto e trasmettere le notizie, ma sono i consumatori che organicamente diffondono la parola attraverso i like e le condivisioni».

Il cambiamento di paradigma dell’industria ha concentrato il potere nelle mani dei social media, così come quello dei creator. Se è forse azzardato dire che i creator siano stati la figura più rilevante per il fashion system, non lo è quando si guarda ai “celebrity creator”. Sempre stando al report di PwC infatti, sono gli artisti e gli “industry insiders” ad essere considerati come le fonti più attendibili dai consumatori, mentre gli influencer/creator hanno subito un drammatico calo nella loro capacità di condizionare i consumi del loro audience.

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Nell’era della celebrità diffusa, il potere della rilevanza social si è finito per concentrare nella mani delle vere superstar, mettendo fine al mondo dei creator per come lo conoscevamo. Ad alimentare l’esito ci ha pensato la pandemia: un report di Launchmetrics ha evidenziato come i contenuti sponsorizzati su Instagram sono calati dal rappresentare il 35% dei post presenti su Instagram per la categoria a circa il 4%.

Ma il cambiamento potrebbe essere più profondo della mera crisi economica, come ha evidenziato Brittany Hennessy, autrice di “INFLUENCER: Building Your Personal Brand in the Age of Social Media” a VICE: «Credo che il mercato stia vivendo una sorta di ritorno alle origini». La pandemia potrebbe aver soltanto che esasperato e velocizzato questo fenomeno. Ma in quella che ancora per tanto tempo sarà l’era dei social media, il ruolo dei creator non scompare, ma si trasforma. Chi saranno dunque i prossimi creator?

Nel saggio pubblicato su 032c, “The Trump-Balenciaga Complex”, Kolja Reichert descrive i social media come la piattaforma più democratica di tutte: «Consegnano l'aspetto del potere che dipende dalla reputazione, non dalle leggi, agli individui ordinari, che hanno la capacità di rafforzarlo con ogni abbonamento, like, commento o invio ... La Regina Elisabetta non deve solo competere con Kanye West e Donald Trump, ma con brand di moda come Balenciaga, che hanno gli stessi strumenti multimediali a loro disposizione».

Nella sua democratizzazione, comandata dagli algoritmi e dalla imprevista possibilità che vengano alternati, i social media garantiscono però un continuo ed incessante ricambio di talenti e di figure creative: dagli atleti agli artisti, passando per gli influencer e le celebrity fino agli Youtuber e i gamer. Provare a prevedere quale sarà la prossima figura creativa, il prossimo “creator”, a cui faremo riferimento per comprendere il futuro dell’industria della moda e di quella dell’entertainment in generale, significa prima d’ogni altra cosa comprendere chi ha attivamente contribuito al cambiamento di quelle figure creative. In in due parole: i media. Dopo che i social media hanno distrutto le barriere dell’intermediazione, permettendo tanto gli artisti quanto alle celebrity di interfacciarsi direttamente con l’audience e creando, di fatto, i creator, sono rimasti comunque i media gli unici capaci di selezionare tra l’enorme numero di opzioni a disposizione, quelle che più d’ogni altra poteva diventare la nuova voce creativa.

Si è creato quello che può essere definito come il “paradosso dei media”: da una parte i social media hanno spazzato via i media tradizionale e dall’altra non sono stati in grado di offrire una soluzione diversa dalla curatela che i media erano in grado di fare.

Si è sentito parlare molto spesso di come l’appiattimento della qualità dei media fosse dovuto alla rincorsa all’hype, alla volontà di seguire gli influencer ma in realtà sono stati gli influencer a rincorrere i media.

Sempre Reichert, nel suo saggio, avanza un’ipotesi interessante: tutto, oggi, assume rilevanza solo se inserito all’interno di un network condiviso. «Le persone non stanno più semplicemente ferme a fissare uno schermo, ma sono loro stesse nodi di un network connesso da contenuti culturali che consumano e trasmettono»». Quando il consumo di un prodotto - di consumo o ispirazionale - si trasforma da passivo ad attivo, il ruolo del creator cambia. Nel suo report “Prediction for Journalism 2020”, Nieman Lab - uno dei centri di studio e ricerca dei media più importanti al mondo - aveva previsto l’incremento dei “giornalisti influencer”.

Oggi che il termine giornalista per come lo conosciamo è diventato obsoleto - e che è più corretto parlare di “media creator” - l’emersione di autori e gruppi di informazione che veicolano l’enorme mole di informazioni disponibili sui social media è diventata non solo essenziale, ma inevitabile. L’idea stessa di cosa sia un media è oggi in discussione, con la nascita di progetti social orientati a sostituire, di peso, il mondo degli influencer. E se fossero proprio i media i nuovi creator?

Ascolta la playlist dedicato sul profilo Spotify di nss magazine.

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