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Non ci sono più le sneaker di una volta

Come la fine dell'hype culture ha cambiato il modo di vedere il mondo delle sneaker

Non ci sono più le sneaker di una volta Come la fine dell'hype culture ha cambiato il modo di vedere il mondo delle sneaker
Loewe x On
Marni x Veja
Marni x Veja
Loewe x On
Loewe x On
COMME des GARÇONS x Salomon
MM6 Maison Margiela x Salomon
COMME des GARÇONS x Salomon

Da qualsiasi prospettiva si osservino gli ultimi anni di evoluzione della moda, il peso e la presenza delle sneaker è innegabile. Dagli albori dello streetwear fino all’intersezione con il luxury, la loro presenza e la loro evoluzione è sempre stata un termometro del cambiamento, un metro utile per capire i movimenti nei gusti degli acquirenti e nel mercato. Se nel pieno dell’hype culture la sneaker era diventata un oggetto di culto in uno status che molto spesso trascendeva nel fanatismo, negli ultimi anni una serie di fattori ne hanno decretato un lento ma deciso cambio all’interno del mondo della moda. Quando cinque anni fa Balenciaga mostrò al mondo per la prima la Triple S diede vita a una nuova stagione delle luxury sneaker per come la conosciamo, portando nel corso del tempo alla nascita di collaborazioni storiche e durature, da Nike e Off-White™ a Prada e adidas, in una corsa verso un mercato che oggi vale 109 miliardi di dollari ma che nel 2030 potrebbe arrivare a valere 165 miliardi. Un mercato remunerativo, ma che oggi sta vivendo un cambiamento visibile e che passa anche per il sistema della collaborazione che, abbandonato l’hype degli anni passati, ha iniziato a spostare la propria attenzione verso un’idea diversa di sneaker.

COMME des GARÇONS x Salomon
MM6 Maison Margiela x Salomon
COMME des GARÇONS x Salomon
Loewe x On
Loewe x On
Marni x Veja
Marni x Veja
Loewe x On

Loewe, ad esempio, ha scelto di collaborare con il brand svizzero On, mentre Maison Margiela ha messo a segno una collabo tra Salomon e MM6, sub-label del brand. Quando non si tratta di technical sneaker, invece, i brand optano per la sostenibilità, come nel caso di Marni e della sua collaborazione con Veja. «Siamo in un periodo molto interessante, è in atto un cambiamento ciclico» ci ha detto Nick Sisombath, founder di Collegium. «La sensazione è quella di essere tornati verso una cultura più community driven in cui viene apprezzata la qualità, così come la storia dietro un prodotto. I consumatori sono sempre più attenti al modo in cui spendono i propri soldi, cercando qualcosa che vada oltre l’hype e che si concentri più sul perché». Collegium, sneaker brand nato in California a metà del 2015, deve parte del suo successo proprio alla capacità di rappresentare i nuovi bisogni della community, tenuta attiva dal brand attraverso IG Live e Discord, e mossa da quelli che Nick definisce i tre pillar di Collegium: Material, Craft e Wearability. «Con i social gli acquirenti hanno la possibilità di scoprire brand di nicchia che dieci anni fa non avrebbero mai avuto le stesse possibilità di oggi. Una parte degli acquirenti andrà sempre dietro l’hype, ma pensiamo che alcuni stiano iniziando a scavare più a fondo prima di scegliere cosa acquistare.» Un pubblico più coscienzioso è solamente la diretta conseguenza di quello che per molti versi è stato un disinnamoramento verso quella che per anni è stata la cultura dominante nel mercato delle sneaker ma che, con il passare del tempo, si è andata a scontrare con i veri desideri degli acquirenti, stanchi di meccanismi come drop limitati percepiti come poco meritocratici e spesso, semplicemente, ingiusti.

Se la tendenza generale rimarrà quella degli ultimi anni, come testimoniato dal crescente valore del mercato del resell, il cambiamento nel mondo delle sneaker sembra vivere soprattutto di piccole nicchie e sottoculture nate per soddisfare un bisogno di appartenenza che manca altrove. «Rivolgersi a un brand di nicchia aggiunge autenticità a una collaborazione» ha dichiarato a Vogue Business Elizabeth Semmelhack, curatrice del Bata Shoe Museum di Toronto raccontando in poche parole il cambio di mentalità dietro le nuove strategie dei brand, pronti in molti casi a seguire queste novità nel mercato per soddisfare le necessità delle proprie community. Proprio intorno alla community New Balance ha costruito parte del suo rinnovato successo, quello che Teddy Santis, founder di Aimé Leon Dore e direttore creativo della sezione Made in USA del brand, ha sintetizzato nella frase «Internation Friendship Through Basketball» «Questo trend obbligherà i brand e i retailer a cambiare il mondo in cui portano i prodotti sul mercato» ha scritto il The NPD Group nel suo report Sneakernomics. «Quelli che decideranno di non seguire questo cambiamento potrebbero andare incontro a problemi nelle vendite.» Non un avvertimento, ma sicuramente un campanello d’allarme per quelli che non si fossero ancora resi conto che il mercato è cambiato e che, che ci piaccia o meno, non esistono più le sneaker di una volta.