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"Mamma mia”: I Måneskin e lo strano rapporto con lo stereotipo italiano

Una band che di "italiano" ha molto poco ma basa parte del suo successo sull'italianità

Mamma mia”: I Måneskin e lo strano rapporto con lo stereotipo italiano Una band che di italiano ha molto poco ma basa parte del suo successo sull'italianità
@francisdelacroixstudio
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«Why so hot? / Cause I’m italiano»

Il verso che sentiremo di più di Mamma Mia - il nuovo singolo dei Måneskin, che ha già totalizzato 5 milioni di streaming solo su Spotify  - racchiude perfettamente il rapporto che la band romana ha con la cultura e l’italianità. Il tema è interessante e complesso per varie ragioni: in primis è che i Måneskin sono la prima band italiana che negli ultimi vent’anni è stata proiettata in pochissimo tempo verso un successo internazionale, la seconda è che l’estetica glam rock dei Måneskin - nonostante le collaborazioni con brand italiani come Gucci e Etro - ha poco a che fare con l’immagine italiana (il che però trigghera la domanda: che estetica segue una band italiana che punta al successo internazionale? I Måneskin sono oggi gli unici che ce la stanno facendo, quindi).

Eppure la prima canzone dopo lo straordinario successo dell’Eurovisione e numeri clamorosi è un singolo cantato in inglese, presentato in club di Berlino e con il titolo che suggerisce un uso strumentale dell’italianità, un ottimo marketing che nonostante la reference ironica agli Abba è poca cosa. Non dico che i Måneskin abbiano l’obbligo o il dovere di raccontare l’italianità, sostengo solo che sia clamorosamente interessante avere il loro punto di vista su un tema - la cultura italiana contemporanea - che oggi dopo una pandemia e un sistema culturale sconvolto economicamente sta facendo fatica a generare nuove idee e immaginari. 

«Volevamo anche prendere in giro gli stereotipi sugli italiani, perché noi ci sentiamo molto lontani da quel tipo di rappresentazione»

Ha spiegato in un’intervista a Cosmopolitan Vittoria de Angelis confermando che la canzone non è una celebrazione dell’italianità, quanto un esercizio ironico. Il testo e la musica - scritte entrambe interamente dalla band romana - sono figlie dirette della vittoria all’Eurovision, competizione musicale esteticamente veramente strana che però è riuscita a rispolverare quel senso di partigianeria nazionale anche in Italia. Così la vittoria dei Måneskin è finita nella celebrazione della “grande estate italiana” insieme alla vittoria dell’Europeo, l’oro sui 100 metri di Marcell Jacobs, rendendo la band in Italia un orgoglio nazionale da difendere e salvaguardare, come la polemica contro la stampa francese che sosteneva che “i nostri ragazzi” avessero sniffato cocaina in diretta tv.

Prima con X-Factor e poi la vittoria al Sanremo della pandemia - uno dei più seguiti e discussi degli ultimi - avevano introdotto l’estetica della band al pubblico mainstream italiano: look e attitudine che si rifanno al glam che parte da Mick Jagger e Bowie passando sulle passerelle degli ambigui rocker di Hedi Slimane con i loro stivali col tacco e i loro outfit un po’ languidi (ricordiamo il lungimirante slogan del 2013 «The Saint Laurent boy is a girl»). Un tipo di rock che visivamente e performativamente in Italia venne portato da Renato Zero, Donatella Rettore e Loredana Bertè – i cui sforzi rimasero in ogni caso isolati nel più ampio contesto del panorama musicale italiano e sempre indebitati a tradizioni del tutto estere.

Grazie alle vittorie questa estetica difficile da digerire per un pubblico abituato ai cantanti in frac è stata normalizzata a mezzo di televisione e giornali - con titoli magnifici tipo “Anche le mamme vanno pazze per Damiano” - in un modo superficiale che si tiene cautamente alla larga da temi come la liberazione sessuale e l’eteronormatività, i quali invece rappresentano il core della produzione artistica dei Måneskin. Allo stesso tempo, la vittoria all’Eurovision ha etichettato a livello globale la band come “italiana”, con tutti i pro e i contro del caso.
Celebrati dalla stampa internazionale, molto sottolineano l’internazionalità della band, rispolverando la classica dicotomia tutta italiana tra il successo nazionale e quello internazionale a livello musicale. La fisicità della band - belli, giovani e freschi - ha anche dato la sponda per riprendere il binomio Italia-sesso, su cui infatti la band gioca nel singolo.


La stessa cover dell’album, che ritrae una mano che scivola dentro un paio di jeans, si rifà alla cover di Sticky Fingers dei The Rollings Stones, a Too Fast For Love dei Mötley Crüe e al Born in the U.S.A. di Bruce Springsteen – un set di reference culturali molto distante dalla cultura italiana, che però ruota e gioca intorno allo stereotipo sessuale italiano, ribadito dallo stesso Damiano ha aggiunto subito dopo: «Siamo hot perché siamo italiani», citando la sua stessa canzone.

@francisdelacroixstudio
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Per riprendere una metafora calcistica, i Måneskin non devono essere caricati del peso del “giovane italiano di talento che salverà la nazionale”, hanno già la loro missione e la stanno vivendo in brillantemente. Quello che su cui il successo dei Måneskin può far riflettere su quale forma e aspetto avrà la cultura italiana contemporanea nei prossimi anni.
Da una parte ci sono industrie culturali indipendenti - musica, teatro e performance - bloccate da due anni di immobilismo che faranno fatica a ripartire per mancanza di soldi e spazi, dall’altra invece una scena creativa di successo che è però proiettata su una visione ed un’estetica globale. è un tema enorme e complesso che coinvolge necessariamente la comunicazione digitale e i sistemi di produzioni culturali (come si fanno oggi i soldi nella musica?), che però lascia una domanda: ci sarà ancora spazio per creare una cultura che riflette tradizioni e territorio? Proabilmente sì, il come sfugge ancora.