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E se la musica salvasse Napoli dal turismo?

Dalla nascita di luoghi d'aggregazione a una vera e propria resistenza culturale

E se la musica salvasse Napoli dal turismo? Dalla nascita di luoghi d'aggregazione a una vera e propria resistenza culturale

Quello che viene universalmente riconosciuto come il periodo d’oro della rinascita napoletana, in realtà, non è altro che il naturale proseguimento di una stagione di riprogrammazione cittadina, iniziata all’alba della prima amministrazione De Magistris che - battuta d’arresto Covid permettendo - non ha realmente mai conosciuto una soluzione di continuità e che è proseguita per andarsi a suggellare idealmente con il terzo Scudetto del calcio Napoli, più ideologicamente che altro, ma che ha comunque contribuito al superamento di circa il 10% di camere occupate, toccando il picco dell’80% del 2019 - quando l’aeroporto di Capodichino era quello con il maggiore tasso di crescita in Europa. Ma che a Napoli ci sia un boom di turisti è ormai diventato un dato di fatto, lo segnalano osservatori e testate nazionali. Sembra di essere tornati al 2018, quando tutti volevano un pezzetto del brand Napoli. Ma dato per assodato questo cambiamento la domanda più pressante diventa immediatamente un’altra: come questo cambiamento ha impattato il tessuto sociale napoletano? In particolar modo con riferimento al centro storico, quello che per ovvie ragioni vive più di ogni altro il processo di trasformazione turistica. Quando si parla di incremento di turismo il pensiero vola immediatamente a Venezia, alla turistificazione cittadina e alla Airbnbizzazione del centro storico. Concetti che in altri paesi e altre epoche storiche avrebbero preso il nome di gentrificazione ma che in un contesto in cui l’occupazione giovanile continua ad essere attorno al 50% fanno fatica a raccontare di una classe creativa che prova a prendere il controllo del centro stesso. C’è poi da considerare una nota di carattere sociale, difficile forse da rendere con le statistiche: a Napoli, come accade forse solo in alcuni quartieri di Roma tra le grandi città italiane il centro storico è estremamente abitato, vivo e soprattutto popolato non solo dal ceto più abbiente della popolazione napoletana, ma anzi. Per alcuni, questa è di per sé una garanzia di come il centro di Napoli non potrà mai perdere la sua anima, per altri invece l’ennesima scusa di un popolo che ha tra i suoi difetti l’assoluta certezza di saperla più lunga degli altri.

Nel suo libro Appugrundrisse, Paolo Mossetti racconta la strana esperienza di tornare a Napoli durante il COVID, quando si pensava che il destino avesse giocato l’ennesimo tiro mancino a una città che si percepisce come sfortunata e invece ha permesso a una intera generazione di Napoli di rimettere in sesto vecchie case abbandonate e aprire uno degli innumerevoli B&B di fortuna che oggi costituiscono l’ossatura del Centro Storico, Quartieri Spagnoli in Primis. Napoli è cambiata, e questo è innegabile, ma sotto certi punti di vista la città è sempre uguale, le piacciono sempre le stesse cose che possono forse ruotare nei gusti dei Napoletani, ma tornano sempre. Una di queste è la musica. Luogo comune vuole che la musica rappresenti per la città un palliativo necessario al celebre “Paradiso abitato da diavoli” teorizzato da Benedetto Croce, e in questo senso ci si potrebbe aspettare che la musica migliore sia venuta fuori dalla città nei suoi momenti peggiori, come arma di riscatto. In realtà se si analizzano gli anni del Neapolitan Power prima e quelli della Nuova Napoli poi, i migliori momenti cittadini sono sempre andati a braccetto con quelli musicali (con delle eccezioni, chiaramente, come la nascita dello street rap dei Co’Sang). E questo perché, di nuovo, lontano dal luogo comune che vorrebbe l’opera di un'artista come travaglio della vita quotidiana, perché nascano delle scene è fondamentale che si creino luoghi di aggregazione musicali e gruppi che permettano a un movimento di confrontarsi, migliorare e mescolarsi. Furono i dischi portati dalla NATO prima e Via San Sebastiano a Napoli a far nascere il Neapolitan Power, assieme a un crogiolo di locali del Centro Storico e al Festival Di Piedigrotta.

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Qualcosa di simile è successo con il Westhill Studios dei Camaldoli e Futuribile Records per quello che è stato identificato come Newpolitan Sound, il suono della Nuova Napoli di cui i Nu Genea si sono fatti portatori ma che alle sue spalle ha una intera classe di artisti e producer - Mystic Jungle, Whoodamanny, Pellegrino, la Periodica Records o Napoli Segreta - che hanno costruito le basi sulle quali anche il successo dei Nu Genea si poggia. E’ un azzardo, senz’altro, costruire luoghi di aggregazione fisica nell’era della digitalizzazione e della smaterializzazione delle esperienze, eppure sono gli azzardi che pagano. Come quello di Vesuvius Soul Records, negozio di dischi aperto - ironicamente - nella via adiacente a Via Pino Daniele, nel pieno centro storico di Napoli come atto di resistenza e di innovazione musicale che nel tempo è diventato anche un luogo “turistico”, inteso come spazio al Centro Storico in cui poter usufruire di esperienze reali, lontane dai luoghi comuni della Napoli diventata Nuova cartolina accompagnata dagli stessi problemi. E se fosse proprio questa la soluzione alla perdita dell’anima pulsante delle città che diventano in breve tempo delle miniere d’oro per il turismo a (relativamente) basso costo nell’epoca-Booking? La generazione di momenti veri di aggregazione che vadano oltre le mozzarelle, i panini smollicati e il racconto di una città che assieme al numero dei turisti aumenta quello dei problemi. E se fosse la musica quell’atto di resistenza culturale che aiuterà Napoli a non perdere la sua anima? 

Di musica, spazi di aggregazione fisica e turismo parleremo durante i talk del TUM, a Quartiere Intelligente, a Napoli, il 21 ottobre. Ci si iscrive qui.