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Come si sceglie un direttore creativo?

Ci sono tante risposte giuste, purchè i mercati siano contenti

Come si sceglie un direttore creativo? Ci sono tante risposte giuste, purchè i mercati siano contenti
Ludovic de Saint Sernin
Rhuigi Villaseñor
Serhat Işık e Benjamin A. Huseby
Sabato de Sarno
Harris Reed
Daniel Lee
Maximilian Davies

Ci troviamo in una stagione della moda densa di grandi annunci. Mentre attendiamo che Louis Vuitton nomini il nuovo direttore creativo, due storici brand di lusso, Gucci e Burberry, si preparano al debutto di Sabato De Sarno e Daniel Lee; mentre due famosi brand di nicchia, Ann Demeulemeester e Nina Ricci, stanno per diventare la principale vetrina di due dei giovani designer Ludovic de Saint Sernin e Harris Reed. Nel frattempo, si attendono le seconde o terze collezioni di quei designer che negli scorsi anni sono stati convocati per dare nuovo lustro a brand tanto venerabili quanto attempati: Rhuigi Villaseñor per Bally, Serhat Işık e Benjamin A. Huseby per Trussardi e Maximilian Davies per Ferragamo. Un gran numero di storie, persone e anche situazioni commerciali diverse che sollevano tutte la domanda su come si scelga un nuovo direttore creativo per un brand. La risposta, molto semplicemente, non è univoca. Volendo semplificare, proprio come per ogni tipo di lavoro esiste uno strumento specifico, così per ogni brand può essere selezionato un tipo di direttore creativo specifico. A essere univoco, comunque, è l’unico segnale positivo che conti davvero nel caso delle società quotate in borsa: il valore delle azioni. Quelle di Gucci e Burberry, ad esempio, si sono entrambe alzate quando è stato annunciato rispettivamente l’addio del vecchio direttore creativo e l’annuncio del nuovo – per chi non ha investitori da tranquillizzare invece bastano il media value e l’approvazione del web. Se una nuova nomina fa parlare il pubblico di un brand che fino a due giorni fa giaceva ignorato, allora probabilmente la scelta è quella giusta. 

Come si sceglie un direttore creativo? Ci sono tante risposte giuste, purchè i mercati siano contenti | Image 438370
Sabato de Sarno
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Serhat Işık e Benjamin A. Huseby
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Maximilian Davies
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Rhuigi Villaseñor
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Harris Reed
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Ludovic de Saint Sernin
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Daniel Lee

Per molti, l’elevazione di Sabato De Sarno a direttore creativo di uno dei brand migliori del mondo, dopo una lunghissima carriera dietro le quinte di Valentino, rappresenta una rivincita di tutti quei “tecnici” della moda (usiamo il termine nella migliore accezione possibile) sulla generazione di direttori creativi che ai tempi di Virgil Abloh, ed escluso Abloh stesso, venivano misericordiosamente definiti “multi-disciplinari” per dire che la moda l’avevano solo comprata, mai studiata, e che hanno fondato una serie di brand, ottenendo anche alte posizioni di rilievo nell’industria senza avere le basiche skill che qualunque sarta di quartiere possiede al primo giorno di lavoro. La scelta di De Sarno, che è stata anche paragonata alla nomina di Blazy da Bottega Veneta, è con ogni certezza legata al desiderio da parte di Kering di promuovere un tipo di lusso più materico e tangibile che concettuale, legato meno a narrazioni cosmogoniche e più alla nozione che un prodotto firmato Gucci possa durare una vita e non passare mai di moda. 

@fashioncricket "Amori che vanno e vengono" Il nuovo direttore creativo di Gucci, Sabato De Sarno visto in pubblico ai British Fashion Awards con l'ex capo Pierpaolo Piccioli lo scorso dicembre. Più recentemente è stato il direttore della moda che ha supervisionato le collezioni uomo e donna di Valentino. #Gucci #SabatoDeSarno #Valentino #PierPaoloPiccioli suono originale - Fashion cricket

Ci sono state altre motivazioni, invece, per altre nomine recenti che invece avevano la finalità di riaccendere il fuoco di brand illustri ma intiepiditisi negli anni o addirittura andati in quella curiosa ibernazione che nella moda capita più spesso di quanto crediamo ma di cui nessuno parla mai. In questi casi i direttori creativi sono scelti tra le giovani star del design e pare quasi che i dirigenti della moda amino fare abbinamenti insospettabili, sperando che il metaforico “shock termico” tra vecchio brand e nuovo designer torni a far ardere la scintilla sopita. È il caso di Maximilian Davies, forse il più interessante dei designer emergenti britannici ad apparire negli ultimi anni, che è stato nominato a direttore creativo di Ferragamo sia per rispolverarne l’immaginario che per portare una necessaria ventata di internazionalità e multiculturalità nel vetusto marchio toscano. È il caso di Serhat Işık e Benjamin A. Huseby, il cui GmbH è relativamente giovane ma già uno dei punti di riferimenti più copiati dai big player del lusso, che sono stati arruolati per infondere nuova vita in Trussardi. È anche, infine, il caso di Bally, secolare produttore di scarpe e pelletteria svizzero, per cui Rhuigi Villaseñor ha creato un nuovo e vivace immaginario presentando una nuova collezione a Milano la scorsa stagione e lanciando una nuova capsule di skiwear in molte location-chiave nella nativa Svizzera.

Diverso è il caso di brand come Nina Ricci e Ann Demeulemeester, i cui nuovi direttori creativi provengono da un ambito di nicchia, pur avendo conosciuto un grande successo nel panorama dell’industria, e si presentano alla porta dei propri brand con un seguito social e una community già enormi e strutturate. I nomi di Ludovic de Saint Sernin e di Harris Reed sono infatti noti a chiunque lavori nel settore, e i due erano sostanzialmente conosciutissimi già prima del proprio debutto ufficiale. Entrambi sono dotati di spiccate skill di design e pattern making, a differenza di altri dilettanti glorificati che si sono conquistati importanti seggi a Londra, Milano e Parigi con i propri following, ma entrambi rappresentano per certi versi delle star il cui debutto alla guida di un certo brand guadagna grande visibilità grazie alla propria aura personale. Sembra in ogni caso che l’ondata di concept impalpabili e strombazzati senza ritegno degli anni passati si sia esaurita con una crisi generale dei designer emersi dallo streetwear a furia di stampare hoodie e t-shirt. 

Quello che non ha funzionato per quella generazione di designer è stato il desiderio mettere al timone di aziende storiche e strutturatissime figure famose sui social media ma che non avevano mai praticamente lavorato dentro un vero brand di moda nè avevano una forte e concreta esperienza nel settore. Una scelta dovuta all’importanza che all’epoca aveva Instagram, in accordo all’equazione (errata) di rilevanza culturale e seguito social, senza ricordare che però per sfornare sei collezioni l’anno, gestire i supplier e i grossisti e in generale far prosperare un brand di lusso servono profondità di pensiero, rapidità di intuizione e serie competenze di design. Con questa ultima tornata di nomine, si inaugura dunque la stagione delle scelte per i brand di moda. In alcuni casi, servirà prendere decisioni difficili, a volte rischiose, a volte apparentemente controintuitive tra direttori creativi che sanno stare sotto i riflettori e direttori creativi che sanno stare in atelier e creare con professionalità e cognizione. Nel futuro un direttore creativo potrà permettersi di non essere anche un grande stilista?