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Franco Battiato, l’artista più trasversale della musica italiana

Cosa ci ha lasciato il disruptor degli anni ’70 diventato un’icona della cultura pop

Franco Battiato, l’artista più trasversale della musica italiana Cosa ci ha lasciato il disruptor degli anni ’70 diventato un’icona della cultura pop

Un problema della pop culture italiana è che spesso le carriere dei suoi protagonisti si estendono per due o tre decenni di troppo, vivendo di rendita per anni e abusando della pazienza di generazioni intere. In mezzo a un mare di artisti dimenticabili o che avrebbero dovuto andare in pensione a metà degli anni ’90, però, Franco Battiato era la più eccellente delle eccezioni. L’artista siciliano, che aveva esordito negli anni ’70, non ha avuto una carriera convenzionale: se molti cantanti vivono per anni all’ombra del proprio culmine artistico-creativo, Battiato ha saputo rimanere rilevante per anni grazie alla sua musica sperimentale e trasformista che ha influenzato generazioni a venire. Per fare un esempio su tutti, uno dei momenti iconici più recenti della sua carriera è stata la performance di Voglio Vederti Danzare al Club to Club del 2014 – una performance che qualunque altro artista, all’età che ai tempi aveva Battiato, non avrebbe semplicemente saputo tirar fuori e che invece, remixata per un club, suonava come una hit perfettamente moderna. Proprio da questa performance si capisce il segreto del successo della sua musica: non solo quello di saper unire i generi, ma quello di unire le generazioni.

La carriera di Battiato è stata multiforme, a dir poco, ma può essere sommariamente divisa in una fase sperimentale, terminata nel ’79, e una nazionalpopolare andata avanti per tutti gli anni ’80. La divisione ha in realtà funzione di espediente espositivo perché queste due fasi sono state come vasi comunicanti: la prima era quella del prog-rock, degli outfit fuori di testa da David Bowie catanese, di quell’elettronica che strideva tanto alle orecchie dei nostri nonni e che invece a noi pare così attuale; la seconda fase è stata quella del pop, delle arene stracolme, dei dancefloor. Il suo pop però non è mai stato legato alle convenzioni di un genere, è stato un framework di riferimento per un tipo di arte musicale assolutamente complesso e stratificato ma allo stesso tempo accessibile e universale. E anche se i suoi primissimi dischi rimasero semi-ignorati all'epoca della loro uscita, oggi sono stati riscoperti come il forziere di innovazione musicale che effettivamente sono.

Il suo merito principale, nel panorama della musica europea, è stato aver portato la musica elettronica fuori dagli ostici repertori di Stockhausen e John Cage e dentro alle radio italiane, aprendo di fatto le porte di un nuovo genere per una generazione intera. In un’epoca in cui la sperimentazione elettronica era relegata ad artisti di nicchia come Gershon Kingsley, i Kraftwerk, i Tangerine Dream, Isao Tomita e Jean Michael Jarre, un'epoca in cui non c'era lo streaming ed era difficile per gli artisti di un paese scoprire quelli di un altro, Battiato creò un nuovo genere di musica in un panorama culturale che non gli offriva precedenti o strumenti – e gettò le fondamenta per un retaggio musicale che dura ancora adesso.

Il dato più sconvolgente della produzione di Battiato è la sua trasversalità: è un’icona della tradizione ma anche uno sperimentatore, è un cantautore-poeta ma anche un pionere del clubbing, è amato dai genitori che lo ballavano da giovane e dai giovani che lo ballano ancora adesso, lo si ricorda come “Il Maestro” ma anche come il trasformista con la mega-acconciatura e gli outfit fuori di testa, ha scritto La Cura nel ’96 collaborando con un letterale filosofo e dopo trent’anni di carriera ma è anche andato al Festivalbar e al Club to Club sulla soglia dei 70 anni, ha avuto colleghi ma non ha avuto pari. Solo perchè ora non c’è più, Battiato non smetterà di essere un esempio e un’influenza per generazioni intere di artisti italiani e internazionali come lo è stato negli ultimi 50 anni.