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Intervista alla fondatrice di #girlsinmuseums

L'hashtag che rivendica la presenza delle donne nel mondo dell'arte

 

Le opere d’arte all'interno dei nostri musei riflettono e influenzano la nostra società e la nostra cultura” ci spiega Camilla Crescini, che insieme a Francesca Malagoli ha fondato il progetto social #girlsinmuseums.

Non è quindi pensabile che ancora oggi, nonostante siano proprio le donne le più assidue frequentatrici di gallerie e musei – oltreché quelle che postano più contenuti al riguardo sui social network –, alla presenza femminile non sia ancora riconosciuto lo stesso valore di quella maschile nel mondo dell’arte.

Anche se le donne hanno fatto passi da gigante verso l’uguaglianza, è inevitabile ammettere che un divario di genere nel nostro campo, come in moltissimi altri ambiti professionali, esiste ancora” ci spiega Camilla. “Girlsinmuseums ha l’obiettivo di far capire questo divario di genere e di esplorare le potenziali azioni che possono aiutare a raggiungere una maggiore uguaglianza: mettere al centro le donne e le loro esperienze.

Come ogni movimento sociale o protesta che si rispetti, lo slogan di Camilla e Francesca si fa avanti a colpi di hashtag e repost. In pochissimo tempo il loro account Instragam ha raggiunto 11,4K e la voce si è sparsa a macchia d’olio.

Abbiamo intervistato Camilla Crescini che ci ha parlato del progetto e aiutato a far luce sulla situazione delle donne nel mondo dell’arte e sul perché ci sia bisogno di cambiamenti radicali. Adesso.

Una foto pubblicata da #girlsinmuseums (@girlsinmuseums) in data:

Quando è nato il vostro progetto? Da cosa è scaturita l’idea?

Camilla Crescini: L’idea di #girlsinmuseums è nata nel Febbraio dello scorso anno. È stato un mese ricco di visite a mostre, inaugurazioni e viaggi. Non c’era un giorno che passasse senza che io mettessi piede in un museo o galleria. La mia Weltanschauung [ndr. “concezione del mondo”] era totalmente influenzata dall’esperienza di visitatrice di mostre. Una mattina mi trovavo alla Fondazione Giò Marconi, ad un’ottima retrospettiva su Maraniello. Con me c’era anche Francesca Malagoli, il volto – o meglio la nuca – di quella che è poi diventata Girlsinmuseums, avventura che abbiamo intrapreso insieme. Stavo fotografando un’opera particolarissima che mi aveva molto colpita, quando Francesca ha avuto la stessa idea e mi si è parata davanti per fotografarla. La mia fotografia è uscita come una sorta di inception fotografico. In quell’istante si è accesa una lampadina. “Girls in museums” era nato. Una frase che riassumeva la nostra vita in quel momento, ma che suonava anche come uno slogan.

In quello stesso periodo, stavo facendo una ricerca sulla presenza femminile nelle istituzioni culturali: quante sono le curatrici e direttrici di musei, quante opere realizzate da artiste sono presenti nelle collezioni permanenti, quante donne visitano il museo, come utilizzano i social network durante la loro visita… I dati erano molto scoraggianti.

Solo il 14% degli artisti della Tate Modern e il 30% di quelli di Saatchi Gallery sono donne, nel 2007 solo il 47% di direttori di piccoli e medi musei erano donne (e addirittura solamente il 25% per quanto riguarda i musei più importanti). Inoltre, a parità di ruolo e responsabilità, le donne nel settore culturale guadagnano il 78% in meno rispetto ai colleghi uomini.

Per contro, più del 55% del pubblico dei musei di arte contemporanea è femminile e sono le donne a postare più contenuti sui social network durante la visita (87% contro il 13% dei contenuti postati da uomini). Dati che mi hanno fatto molto riflettere e che hanno richiamato alla mia memoria il famoso statement delle Guerrilla Girls: “Solo il 3% degli artisti nei musei d’arte contemporanea sono donne, ma l’83% dei nudi è femminile”. Era il 1985 allora, ma trent’anni dopo la situazione non era cambiata di molto.

Io e Francesca sentivamo il bisogno di un’azione forte, un gesto significativo per dare a questo problema l’attenzione che meritava e avevamo dei mezzi potenti a nostra disposizione: i social network.

Qual è il vostro rapporto con il mondo dell’arte? Avete studi d’arte o progetti artistici alle spalle?

CC: Sia io che Francesca siamo laureate in Comunicazione nei Mercati dell’Arte e della Cultura presso l’Università IULM, che abbiamo entrambe scelto per continuare i nostri studi con la Laurea Magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati.

Negli anni di università abbiamo fatto diverse esperienze professionali nel campo delle industrie culturali e creative. Per quanto mi riguarda, ho fatto varie esperienze in Italia, lavorando per il FAI, per la fiera di fotografia milanese MIA, per il Fuorisalone e AIAP e all’estero, dove ho intrapreso ruoli diversi per avere un quadro il più completo possibile (ma mai esaustivo) del mondo dell’arte.

Sicuramente fondamentale è stato il periodo in cui ho lavorato in Svizzera, a Basilea, come assistente di galleria. Qui per la prima volta mi è stata data la possibilità di misurarmi con la mia più grande passione: la curatela. Grazie alle mostre realizzate in galleria ho intessuto ottimi rapporti con artisti e vari galleristi e oggi continuo a lavorare come curatrice freelance per piccole realtà in Italia e in Europa. L’ultima mostra che ho curato è stata proprio a Basilea.

Un’altra esperienza significativa è stata lavorare per CidaCo, organizzazione inglese con sede a Leeds che si occupa di attività nel campo delle industrie culturali e creative in tutto il mondo. Dovendo svolgere il ruolo di project manager e communication manager, il mio approccio al mondo del lavoro è maturato moltissimo.

Francesca ha collaborato con alcune gallerie milanesi e non: Raffaella Cortese, Page Gallery e Podbielski Gallery. Sempre attratta dal mondo più legato al mercato, ha intrapreso anche un’esperienza presso Phillips Auction House.

Abbiamo iniziato il nostro percorso professionale insieme lavorando come Girlsinmuseums per la comunicazione social della mostra Game Video/Art. A Survey nella cornice della XXI Triennale Esposizione Internazionale di Milano; per la pianificazione e gestione della comunicazione legata a Instagram della campagna di Gianni Romano per il Comune di Milano (una campagna sì elettorale ma che ha visti coinvolti artisti, designer, grafici, curatori e editori e portata avanti in maniera creativa con mostre, performance ed eventi); e per le Invasioni Digitali.

Sulla base di quali criteri di solito selezionate le foto da postare sul vostro feed?

CC: La content curation dell’account è sicuramente un aspetto essenziale e imprescindibile di #girlsinmuseums ma vogliamo lasciare il processo di selezione il più genuino possibile perché viene fatto giorno per giorno, a seconda delle nuove entries e delle novità.

Quello a cui prestiamo particolare attenzione è il timing corretto e scelto in base a tutti i fusi orari e al numero di post.

Quello che cerchiamo quando scegliamo le due fotografie da postare giornalmente è la corrispondenza tra le due foto, la coerenza del soggetto con il tema della nostra gallery, l’originalità, l’eccentricità, la posa e la location.

Cosa pensate si potrebbe fare per aumentare la percentuale di donne coinvolte in questo settore e abbattere i pregiudizi?

CC: La strada è in salita. Dobbiamo renderci conto del ruolo fondamentale che gioca oggi il mercato dell’arte nella legittimazione di un artista, e quindi anche di un’artista donna. Oggi il mercato vive un’inflessione sensibile e i grandi investimenti vengono fatti in ottica di business. Fino a quando avremo questa situazione, sarà molto complesso per le artiste donne farsi strada in un mondo come quello della cultura che vive un momento di grandi ristrettezze economiche.

Sicuramente, a nulla valgono quelle mostre che rilegano la professionalità delle artiste in un ambito strettamente femminile (mi spiego: quelle mostre che si propongono di raccogliere tutte le fotografe italiane, tutte le pittrici statunitensi di un dato periodo o tutte le artiste degli anni ’70). Questo non fa altro che rilegarle nel loro “essere donne” e non nelle loro capacità. Abbiamo invece bisogno di accostare queste grandi artiste ai loro colleghi uomini per non fare alcuna distinzione di genere.

Inevitabilmente le sensibilità di donne e uomini sono diverse e, inevitabilmente, questo si riflette nel loro lavoro di artiste e artisti. Quello a cui dovremmo puntare oggi è affermare il nostro essere donne sommessamente e lasciare la questione di genere in secondo piano se davvero vogliamo riuscire a ottenere le stesse posizioni.

Perché pensate che il vostro account abbia raggiunto i numeri che ha oggi in così poco tempo?

CC: Credo che la grande fortuna di #girlsinmuseums sia dovuta alla sua capacità di aver intercettato una richiesta inascoltata e essersi posizionata prima di tutti gli altri in una nicchia, quella delle donne, ragazze, studentesse, mamme, lavoratrici che prima di essere connotate dal loro genere sono persone appassionate di arte.

Riusciamo ogni giorno a parlare di un argomento molto delicato, quello del gender gap, in maniera leggera ma pregnante grazie ai contributi di chi questo gap lo vive ogni giorno sulla propria pelle.

Ad esempio, per tutto il mese di marzo, ci siamo unite al National Museum of Women Arts e ad altre settanta realtà culturali per condividere contenuti riguardanti le artiste donne. La campagna, che si chiama #5womenartists, ha portato alla luce l’amara scoperta che difficilmente si riesce a menzionare il nome di cinque artiste donne. Questo ha fotografato una preoccupante mancanza anche nella storia dell’arte, che privilegia la narrazione e lo studio di artisti uomini.

I social media permettono a qualsiasi soggetto culturale di entrare in contatto con i propri pubblici attraverso modalità creative e innovative. I musei e le fondazioni in tutto il mondo hanno iniziato ad utilizzare questi strumenti come piattaforme di condivisione per avvicinare e sensibilizzare il pubblico online grazie a una nuova esperienza interattiva. Questa più ampia condivisione di conoscenza rende #girlsinmuseums differente rispetto a modelli più tradizionali di comunicazione e di raggiungimento del pubblico.

La forza di #girlsinmuseums sta nel ripensarsi continuamente, nel trovare sempre nuove proposte per coinvolgere il nostro pubblico.

E lo facciamo a costo zero: per ora non abbiamo speso neanche un centesimo, senza per questo dover scendere a compromessi e abbassare la qualità dei contenuti e la ricchezza della nostra iniziativa. Certo, il tempo speso è moltissimo e la programmazione richiede molta attenzione e molto lavoro ma i nostri sforzi vengono ripagati dall’entusiasmo di chi scopre #girlsinmuseums, dalla nostra passione e dalla nostra tenacia.

Credo sia un segnale significativo anche questo. La nostra generazione ha tanta voglia di fare, di realizzare e di portare avanti qualcosa eppure ci scontriamo immancabilmente e inevitabilmente con problemi che non si possono trascurare: la mancanza di budget, gli iter burocratici, i costi in entrata molto alti (soprattutto per iniziative in ambito culturale).

#girlsinmuseums è la dimostrazione che le idee e la forza di volontà possono aggirare qualsiasi ostacolo.

Chi sono le donne che in qualche modo hanno a che fare col mondo dell’arte a cui vi ispirate e che stimate di più?

CC: Sicuramente Lucy Lippard per i suoi scritti e le sue riflessioni. Per limitarci al contemporaneo: Raffaella Cortese, per scommettere sempre sulle artiste donne e per aver dato vita a una galleria importante a Milano portata avanti da sole donne; Paola Antonelli, per i suoi meriti in curatela così come Cristiana Collu e Christine Macel; e Margaret Doyle, responsabile della comunicazione del MoMA, perché riesce a rendere ogni giorno l’arte accessibile a tutti.

Cosa c’è nel futuro di #girlsinmuseums? Volete espandervi trasformandolo in una piattaforma o in un magazine?

CC: Stiamo mettendo molte energie e speranze per far diventare #girlsinmuseums la nostra professione (stanche della cultura dello stage non pagato o altamente sottopagato, dei progetti non retribuiti che sfruttano le nostre conoscenze e frustrano la nostra professionalità impiegando il nostro tempo). Stiamo lavorando al nostro sito web, che stiamo cercando di progettare e realizzare in autonomia, e che vorremmo lanciare per i due anni di #girlsinmuseums. Vorremmo poi sempre cercare di portare le attività di #girlsinmuseums anche offline con una serie di eventi e progetti.

Soprattutto, e questa è una vera e propria esclusiva, stiamo cercando di dare vita a una #girlsinmuseums creative agency con lo scopo di avvicinare tutti gli operatori all’interno del mondo della cultura (dalle gallerie alle case editrici) al mondo dei social network portati avanti con professionalità, creatività e visione strategica.

Avete deciso di iniziare su un social. Che ruolo pensate possano giocare i social network per le artiste donne?

 
CC: Alcuni studi (Silverstone 1992, Hooper-Greenhill 1999, Pearce 1995) sottolineano il ruolo dei musei e dei luoghi d’arte come comunicatori.

Attraverso le collezioni e le mostre e attraverso la promozione della storia dell’arte, i musei e le fondazioni influenzano la cultura e la società. Allo stesso modo, gli artisti possono scegliere i social come strumento di promozione per sé stessi, ovviamente tenendo presente che il contatto con una galleria è oggi fondamentale per avere una presenza.

Molti cambiamenti sociali, culturali ed economici stanno trasformando il senso e il significato delle istituzioni culturali. Il museo, la galleria e l’opera d’arte non sono più solo spazi chiusi da andare a visitare e da vedere, ma devono essere considerati come una metafora attraverso la quale la società simboleggia la relazione con la propria storia e con le altre culture. Quindi ecco che l’arte diventa il luogo privilegiato per sperimentare strategie di comunicazione innovative.

Da quando esiste, il web è sempre stato percepito come uno strumento che collega le persone, e il concetto si è ampliato dopo la nascita del Web 2.0 e la comparsa dei social media che hanno trasformato le persone da fruitori di contenuti in produttori e curatori.

Quindi il potenziale per gli artisti e le artiste è enorme, soprattutto in termini di engagement, di brand awareness e di brand image. Grazie ai social network, un artista ha la possibilità di condividere in rete i propri contenuti più interessanti, creativi e aggiornati – come video, fotografie, eventi. Allo stesso tempo però, gli utenti possono partecipare, commentare e perfino creare contenuti a loro volta.

I social network sono oggi il modo più semplice e rapido che gli artisti hanno per raggiungere nuovi utenti e quindi anche i galleristi.

La cosa forse ancora più importante, è la possibilità offerta dai social network di creare un dialogo del tipo “molti a molti” con gli utenti che fanno parte di una determinata comunità. In questo caso tutti i professionisti che sono interessati a scoprire nuovi artisti, per cui Behance e Artsy giocano sempre più un ruolo fondamentale.


Tuttavia, senza un’adeguata strategia di trasformazione radicale, i social media rischiano di rappresentare uno dei tanti trend tecnologici che si esauriscono con il tempo.

Abbandonando l’approccio top-down, anche gli artisti, i musei e le gallerie sono ora alla ricerca di nuove modalità per generare valore. Tale ricerca si estrinseca a livello comunicativo in una presenza costante, in una circolarità di informazioni, anche nella sperimentazione di piattaforme di comunicazione online.

I social media rappresentano senza dubbio un’opportunità affascinante e sfidante. Capire come interagiscono le persone, ascoltare e individuare nicchie di interessi, partecipare alle conversazioni, generare comunità: questi sono alcuni dei buoni motivi che spingono oggi sempre più artisti a utilizzare i social media come strumento di comunicazione e relazione con i propri pubblici (pensiamo alle campagne di crowdfunding portate avanti da Marcello manometri e Patrick Tuttofuoco, alla presenza Instagram di Marzia Migliora o alla content curation molto particolare di Hans Ulrich Obrist).

Fashion Designer & Illustrator Alice Cantoro x #girlsinmuseums

Fashion Designer & Illustrator Alice Cantoro x #girlsinmuseums

Cover by Alessandro Bigi