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Nella lotta tra fisco e influencer, vincono i regali esentasse

Non è ancora la fine

Nella lotta tra fisco e influencer, vincono i regali esentasse Non è ancora la fine

Il socialite BryanBoy ricorda bene la prima volta che un brand ha invitato lui e i suoi colleghi influencer ad una sfilata: in un’intervista con The Cut racconta che, nel 2009, quando ancora si chiamavano blogger, da Dolce&Gabbana sono stati fatti accomodare di fronte ad un computer in prima fila, ma nessuno gli rivolgeva la parola. Da lì in poi, il regno degli influencer ha vissuto un’espansione degna di un imperatore romano, una salita al potere dirompente che ha permesso non solo a loro di vivere il sogno, ma anche ai conglomerati del lusso di risollevare i brand dalla crisi (la crescita di Tod’s in Borsa dopo l’ingresso in campo di Chiara Ferragni viene ancora ricordato come un caso eccezionale). Ripercorrendo la salita al potere degli influencer nella fashion industry è facile intuire perché la notizia dei loro fallimenti susciti tanto trambusto: tanta è stata la prepotenza con cui si sono inseriti nella narrativa pop, tra una copertina, un selfie sul feed di Instagram e un’apparizione in prima serata televisiva, quanta la velocità con cui il loro pubblico gli si è rivolto contro l’istante in cui le loro fondamenta hanno dato segno di cedimento. Se già durante i primi giorni del loro dominio si parlava di hater, ora che la posta in gioco e gli scivoloni annessi sono più grandi, diventa facile lasciare messaggi d’odio tra i commenti. «La caduta degli influencer è automatica», hanno commentato gli stilisti Dolce&Gabbana prima della loro ultima sfilata uomo, il 13 gennaio. «Non sarà la caduta degli dei, ma le va vicino». È possibile che, dopo averne anticipato il successo degli influencer nel 2009, il duo italiano riesca a prevedere anche il loro imminente declino?

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Dopo il caso di Chiara Ferragni e Pandoro di Gennaio, la seconda influencer italiana finita nel mirino della critica pubblica sembra essere Anna Dello Russo, la fashion editor e creator digitale che ha vinto un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate riguardo la detraibilità degli abiti, dei gioielli e degli accessori che si ritrova nell’armadio: le spese sostenute, ha dichiarato il presidente della giuria, sono parzialmente funzionali alla sua attività lavorativa. Come ogni affare che riguarda la vita delle imprenditrici digitali, di cui il popolo social sembra conoscere le tasche e le fodere, la notizia ha scisso completamente l’opinione pubblica: chi, da una parte, dà ragione al giudice dell’udienza perché effettivamente «l’abito fa il monaco» e quindi a dello Russo quei vestiti servono, e chi invece osserva come, nel mondo dei contenuti online, tutto è apparenza. «Ma da quando gli influencer pagano i vestiti degli stilisti per indossarli alle loro sfilate o ai loro eventi?» Da pochi anni, in verità: mentre i primi tempi gli influencer dovevano accontentarsi di trovare qualcosa tra gli avanzi di un sample sale, adesso gli vengono prestati i look più ambiti dell’ultima collezione. Come in tutte le faccende italiane in cui vanno di mezzo il fisco e i conti in tasca dei singoli, gli utenti puntano il dito al Governo, e intanto che tirano in ballo la corruzione in politica e l’abusivismo - i famosi “veri problemi di cui si dovrebbe occupare l’Italia” che puntualmente fanno capolino nel discorso pubblico quando si parla di argomenti semi-frivoli come gli accessori — sorge una domanda ben più pertinente al tema: perché non se ne sono occupati prima? Prima che un’opera di beneficenza mal messa venisse alla luce, prima che un conto troppo salato all’Agenzia delle Entrate diventasse un fastidio? La prima bozza di regolamentazione dello Stato sugli influencer è stata pubblicata a gennaio di quest’anno, 15 anni dopo la prima apparizione di un content creator in Fashion Week. 

Fino a poco tempo fa, la professione di influencer veniva controllata secondo le leggi sul diritto d’autore e sulla comunicazione commerciale, senza alcun limite specifico al mestiere. Nata online, regolamentata online: l’unico vero grande capo a cui dovevano obbedire i content creator era il loro pubblico, che avevano il potere di annoverare il loro nickname sulla lista nera dei ”cancelled” con la forza di un click. La AGCOM, l’ente garante delle comunicazioni, non ha ancora reso pubbliche le nuove linee guida a cui si dovranno attenere gli influencer, ma sappiamo che coinvolgeranno solo i creator aventi un numero complessivo di 1 milione di follower e che generano reazioni su almeno il 2% dei contenuti. Le regole includono l’obbligo di trasparenza sulla pubblicità, la tutela dei minori, la trasparenza societaria e la rimozione dei contenuti in caso di richiesta. A questi si aggiunge il disegno di un “tavolo tecnico”, ovvero la formazione di una commissione di esperti che stileranno un codice di condotta per gli imprenditori digitali. Ovviamente, che la notizia delle nuove linee guida per gli influencer sia uscita a tre giorni dallo scoppio del polverone Ferragni-Balocco è un puro caso, lo ha confermato il presidente dell’ente AGCOM Giacomo Lasorella: il progetto era in lavorazione da almeno un anno. Un po’ come quando si legge un cartello “non sporgersi” sul bordo di un balcone, viene da chiedersi chi sia stato l’ultimo a spingersi troppo in là. In questo caso, la caduta è avvenuta in pubblica piazza e con migliaia di persone a filmare.