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È difficile che l’intelligenza artificiale ci rubi il lavoro

Per il momento possiamo tirare un sospiro di sollievo

È difficile che l’intelligenza artificiale ci rubi il lavoro Per il momento possiamo tirare un sospiro di sollievo

Negli ultimi due anni a seguito del successo dei sistemi di intelligenza artificiale gli investimenti nel settore sono aumentati tantissimo – nell’ordine di svariati miliardi di dollari. Eppure le aziende non sono ancora riuscite a generare altrettanti profitti da questi stessi servizi, che continuano ad avere costi fissi molto alti. La spesa principale è quella relativa ai server e alla componentistica necessaria per sviluppare i sistemi di AI. Il sito di news tech The Information ha rivelato che OpenAI spende circa 700mila dollari al giorno per ChatGPT, il cui funzionamento richiede un'enorme potenza computazionale. Secondo quanto riporta Reuters, ogni richiesta fatta a ChatGPT costerebbe quattro centesimi di dollaro all’azienda. Le alte spese di questi servizi non sono un problema nuovo nel settore: la collaborazione tra OpenAI e Microsoft, ad esempio, iniziò proprio perché la prima aveva bisogno di un partner commerciale per ridurre i costi di gestione. Uno dei primi prodotti nati dall’alleanza tra le due aziende è stato Copilot, un tool per scrivere e modificare il codice informatico grazie all’aiuto dell’AI. Oggi questo servizio gode di circa un milione e mezzo di utenti, che pagano dieci dollari al mese per usarlo: secondo quanto riporta il Wall Street Journal, però, lo scorso anno l’azienda ha perso in media più di venti dollari al mese per ciascun utente.

Perché è complicato fare soldi con l’AI

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Uno dei problemi del settore è che i sistemi di AI, tanto sofisticati quanto costosi da mantenere, vengono sfruttati nella maggioranza dei casi per compiti relativamente semplici: come fa notare il Wall Street Journal, usarli per riassumere una mail è come prendere una Lamborghini per consegnare una pizza. Per questo Adobe, che sviluppa software molto noti come Photoshop e Illustrator, ha scelto di limitare l’utilizzo delle AI presenti nei suoi programmi. La società fa questo attraverso un sistema basato sui crediti: una volta esauriti, la velocità del servizio si riduce di molto, al fine di scoraggiarne il sovrautilizzo. In un momento in cui molte aziende che hanno integrato sistemi di AI nei propri prodotti faticano a trasformare questi investimenti in profitti, il sentimento più diffuso è che – dopo i primi mesi di investimenti a tappeto – sia arrivato il momento di proseguire con maggiore cautela. In sostanza, siamo al punto in cui è necessario tradurre l’eccitazione e l’interesse verso l’intelligenza artificiale in una vera e propria adozione, capace però di essere economicamente sostenibile. C’è addirittura chi pensa che entro la fine del 2024 l’ondata di investimenti a cascata nel settore cesserà quasi del tutto.

L’AI e l’impatto sul mondo del lavoro

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In questo contesto la preoccupazione secondo cui l’intelligenza artificiale ruberà il lavoro alle persone si fa meno solida. Con ogni probabilità queste tecnologie influenzeranno i processi lavorativi, in alcuni casi rivoluzionandoli, ma questo passaggio avverrà in modo graduale – e dunque si ritiene che ci sarà lo spazio necessario per prevedere politiche e misure volte a mitigare gli eventuali impatti sulla disoccupazione. Uno studio del MIT – una delle università più autorevoli al mondo – sostiene che a oggi, in molti ambiti, sostituire i lavoratori umani con sistemi di AI in termini puramente economici non sia affatto conveniente, al contrario di quanto si potrebbe pensare. Il team di ricerca ha calcolato il rapporto costi-benefici rispetto all’ipotetica automatizzazione di 800 diverse occupazioni. I risultati mostrano che solo nel 23% dei casi converrebbe adottare sistemi di intelligenza artificiale. In tutti gli altri, invece, continua a essere meno dispendioso assumere dei dipendenti. Allo stesso modo, con l’avvento di ChatGPT alcuni credevano che tecnologie del genere avrebbero potuto cambiare nel profondo il giornalismo, e più in generale l’editoria. La cosa però non è ancora avvenuta: si è notato, infatti, che i problemi nel far scrivere un contenuto a un software non riguardano solo la scarsa affidabilità o gli errori grossolani, ma più che altro l’incapacità di creare contenuti interessanti per i lettori.