Sempre più celebrità finanziano i propri documentari
Quando la persona che veicola il contenuto è la stessa che paga il contenitore
11 Dicembre 2023
Unica, il documentario che racconta la versione di Ilary Blasi sulla fine della sua relazione con Totti, è stato uno dei contenuti più visti su Netflix Italia nelle ultime settimane, e si è piazzato in buona posizione anche nella classifica globale dei prodotti che non nascono in lingua inglese. Il suo successo è anche e soprattutto la prova di come le piattaforme siano riuscite a trovare una nuova tipologia di contenuti, in grado di funzionare sia in termini di audience che a livello finanziario. Unica, infatti, rientra nel recente filone di documentari sulle celebrità finanziati dagli stessi protagonisti. La serie Beckham, dedicata alla storia di David e Victoria Beckham, andava nella stessa direzione, ed era stata tra le produzioni più viste in tutto il mondo. Nel 2022 era uscito Halftime, una narrazione di come Jennifer Lopez si preparò per il suo show al Super Bowl che raccontava parallelamente la sua carriera di cantante. Due anni prima venne invece pubblicato Miss Americana, incentrato su Taylor Swift. Tutti contenuti realizzati con Netflix e accomunati dal fatto che sono dedicati a una figura molto nota, la stessa che supporta economicamente l’opera, ricamando una narrazione perfettamente allineata all’immagine di sé che si vuole trasmettere.
Dove e come nasce questo format
Nel campo dei documentari sui personaggi famosi realizzati da loro stessi c’è “un prima e un dopo”, ed è rappresentato da The Last Dance. Questo tipo di contenuti, infatti, a partire dalla serie documentaria incentrata sull'ascesa di Michael Jordan nell’NBA, hanno avuto uno sviluppo preciso. E ancora una volta c’entra Netflix. In The Last Dance, co-finanziato dallo stesso Jordan, il cestista più noto di sempre si mise a nudo, senza nascondere i suoi lati negativi. Questa scelta, unita a una storia capace di per sé di catturare gli spettatori, lo rese un prodotto molto apprezzato e influente. Era il 2020, e da allora la pratica di realizzare documentari finanziati dagli stessi protagonisti è diventata sempre più frequente. Questo tipo di contenuti, però, esistevano da prima che Netflix intercettasse la tendenza, facendone un genere a parte. Nel 2020, ad esempio, Tiziano Ferro aveva raccontato la sua carriera nel documentario Ferro, realizzato con Prime. Sempre in Italia, l’anno precedente Chiara Ferragni aveva prodotto Unposted, incentrato sul suo percorso di vita. Presentato al Festival del cinema di Venezia, il film-documentario è stato anche distribuito in sala, e – a dimostrazione di quanto questo genere vada forte – venne persino trasmesso in prima serata sulla Rai.
I problemi dei documentari finanziati dalle celebrity
Uno dei difetti di questo tipo di contenuti è che tendono tutti ad assomigliarsi: seguono infatti più o meno la stessa formula, unendo un contesto domestico a un racconto della carriera del protagonista. La storyline di solito mescola inizi di carriera complicati, l’arrivo del successo e le relative difficoltà dovute alla fama, per poi chiudersi con una forma di maturità e redenzione finale veicolata dal protagonista. Il problema dei documentari finanziati dalle stesse celebrities che vi partecipano, inoltre, è che non sempre includono le parti più controverse della loro vita. In Beckham, ad esempio, vengono tralasciati alcuni episodi potenzialmente scomodi, che potrebbero generare critiche, come il suo ruolo da testimonial per il Qatar. Allo stesso modo in Harry & Meghan, il documentario sul principe Harry e Meghan Markle realizzato dalla loro stessa società di produzione, non viene menzionato il primo matrimonio di Meghan. E ancora: quest’anno Stephen Curry, uno dei giocatori di pallacanestro contemporanei più celebri, ha finanziato Underrated; nel documentario, pubblicato da Apple TV, il cestista racconta la sua storia, dipingendosi però come una persona che è sempre stata sottovalutata, senza considerare che è l’unico professionista nella storia dell’NBA a essere stato nominato giocatore dell’anno all’unanimità. Il rischio è quindi quello di scivolare in racconti ingessati e a senso unico, dove viene evidenziata una sola versione dei fatti – cioè della persona che veicola il contenuto e che al tempo stesso ha finanziato il contenitore.