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I migliori product placement della storia del cinema

E come la pratica si è evoluta attraverso i decenni

I migliori product placement della storia del cinema E come la pratica si è evoluta attraverso i decenni

Il product placement è una tipologia di pubblicità indiretta che compare in spazi non prettamente pubblicitari. Ovvero si tratta dell’inserimento di un marchio, un prodotto o un servizio all’interno del contesto narrativo-espressivo di un’opera audiovisiva. Parlare di product placement in determinati contesti diventa inaspettatamente spinoso. Quasi come se l’ingresso di quell’oscura cosa chiamata pubblicità sporcasse la purezza degli intenti artistici. Non solo una riflessione fin troppo naïf ma anche storicamente poco accurata. È vero, oggi quando si parla di product placement si deve tener conto di una vera e propria industria parallela a quella cinematografica, figlia anche di un minor ricettività del pubblico alla pubblicità tradizionale. Come riporta un articolo del New York Times del 2022, muove 23 miliardi di dollari con un incremento del 14% dal 2020. Ma non si tratta di un’invenzione dei nostri tempi. Il product placement è sempre stato presente all’interno del cinema. Jean-Marc Lehu, noto esperto e analista di strategie di marketing, ha suggerito in una ricerca del 2007 di come il primo caso di product placement potrebbe risalire a Laveuses, film del 1896 prodotto dai fratelli Lumière in cui viene utilizzato il sapone Sunlight, con tanto di marchio in evidenza. Nel corso dei decenni la pratica si è sviluppata e raffinata sempre di più e per i film può rappresentare una fonte di budget, un risparmio per quanto riguarda gli oggetti di scena o un modo di caratterizzare i personaggi. Per esempio, in merito all’ultimo caso, l’utilizzo di un determinato prodotto è in grado di comunicare un’attitudine o un livello sociale.

Oggi abbiamo tre tipologie distinte di product placement: lo screen placement, quando il prodotto è inserito nel contesto scenografico in primo piano o sullo sfondo; lo script placement, quando i personaggi menzionano all’interno del contesto narrativo il prodotto; il plot placement, quando il prodotto fa parte della della narrativa. E proprio a causa di questo costante sviluppo abbiamo deciso oggi di proporre una classifica dei migliori product placement della storia del cinema. Nello stilarla abbiamo tenuto conto di vari fattori: l’importanza a livello storico, l’intelligenza con cui è stato inserito il prodotto, la tipologia di product placement scelta, l'iconicità che ha saputo raggiungere il prodotto all’interno dell’opera. 

Il primo vero product placement: la Standard Oil in The Garage

Come detto in precedenza il product placement nel cinema è sempre esistito. Ma se per quanto riguarda il caso del film dei fratelli Lumière non abbiamo conferme, diverso è il caso in questione. The Garage è una breve commedia del 1919 di 25 minuti interpretata da Buster Keaton e Roscoe Arbuckle. Alcune sequenze si svolgono nel cosiddetto Garage. In diverse sequenze si vede l'insegna dell’olio “Zerolene”, prodotto dalla Standard Oil Company e il logo della Red Crown Gasoline, una stazione di servizio dei primi anni del ‘900. Si tratta di quello che oggi definiremmo un screen placement. Una scelta all’epoca criticata dal giornale Harisson's Report.

La cioccolata Hershey e il primo film a vincere l’Oscar

Ancor più particolare ed esplicito è il caso dell’apparizione della tavoletta di cioccolata marchiata Hershey all’interno di Wings. Film del 1927 di William A. Wellman passato alla storia principalmente per essersi aggiudicato durante la prima cerimonia degli Oscar del 1929 il premio come Miglior Produzione (oggi Miglior Film). All’interno contiene però anche un palese product placement in cui appare una tavola di cioccolato della Hershey con cui gli attori interagiscono. La mangiano, la toccano, la osservano, in una rudimentale forma di plot placement. La camera di conseguenza indugia sul prodotto mettendo ben in mostra la tipologia, l’aspetto e ovviamente la marca.

Reese’s Pieces in E.T.

Facciamo un grande balzo. Oggi sappiamo che Steven Spielberg è uno dei migliori registi di tutti i tempi, un uomo in grado di cambiare il cinema tanto dal punto di vista artistico quanto da quello produttivo e che ha creato gran parte dell’immaginario collettivo a cui noi tutti ancora oggi facciamo riferimento. Anche per quanto riguarda il mondo del product placement è stato un game changer. Mentre girava E.T. Spielberg voleva che il piccolo alieno fosse attratto da un particolare tipo di dolci. Inizialmente di utilizzare gli M&M’s ma la Mars rispose di non essere interessata. A quel punto optò per i Reese’s pieces e la Hershey (la stessa del caso precedente in Wings) accettò. E.T. diventò il maggior incasso di tutti i tempi e le vendite dei Reese’s Pieces subirono un incremento di quasi il 70% in sole tre settimane dall’uscita del film. Tra l’altro Stranger Things, oltre a saccheggiare tutto l’immaginario spielberghiano, ha replicato la stessa dinamica di product placement tra Undici e gli Eggo Waffles.

RayBan e Tom Cruise: Risky Business e Top Gun

La RayBan all’inizio degli anni ‘80 stava vivendo un periodo di flessione, con il modello Wayfarer che vendette solo 18.000 pezzi nel 1981. L’anno successivo l’azienda decise di assumere l’agenzia Unique, specializzata in product placement, con l’intento di piazzare suoi modelli in più di 60 tra film e show televisivi nell’arco dei successivi 5 anni. Ma basterà aspettare un solo anno per raccogliere i frutti. Nel 1983 esce Risky Business, film che segna l’esplosione del fenomeno Tom Cruise, nel quale la futura star indossa proprio dei Wayfarer. Lo stesso anno verranno venduti 360.000 paia del modello. Un successo che la coppia RayBan - Tom Cruise replicherà nel 1986 con Top Gun. Il film porterà un incremento del 40% alle vendite del modello Aviator.

Nike tra Ritorno al Futuro e Forrest Gump

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Passiamo al 1985 con uno dei casi più importanti nella storia del product placement. Ritorno al Futuro è un ensemble di marchi citati, loghi a vista, oggetti fondamentali per lo svolgimento della trama. Screen, script e plot placement in un unico calderone post-moderno emblema della cultura pop. In buona parte è dovuto al lavoro di Bob Gale, sceneggiatore del film e storico amico e collaboratore del regista Robert Zemeckis. Gale, per sua stessa ammissione, ha sempre sentito il bisogno di inserire brand esistenti nel film perché “creano un certo tipo di realismo”. Uno dei marchi principali, con più screentime e momenti iconici è Nike. La curiosità è che non era in alcun modo previsto. Inizialmente Marty McFly non doveva vestire Nike. Le cose cambiarono dopo che Eric Stoltz, inizialmente scelto per interpretare il protagonista, venne sostituito da Michael J. Fox. 

Arrivato sul set non c’erano scarpe della sua misura e quindi si scelse, con l’approvazione di Zemeckis, di fargli tenere le sue: delle Nike Bruin bianche con baffo rosso. Va ricordato che in Ritorno al Futuro vediamo le scarpe prima ancora del volto di Marty McFly. Il film fu un tale successo che per il seguito, ambientato nel 2015, si pensò assieme all’azienda un modello di scarpe futuribili e adatte al periodo. Così nacquero, dal genio di Tinker Hatfield, le Nike Air Mag. Uno dei casi più felici e assurdi, considerando quanto poi è successo negli anni, di product placement. Il rapporto tra Nike e Zemeckis divenne così saldo che in Forrest Gump verrà dato un grande risalto alle Cortez, creando in sinergia un altro momento iconico della storia del cinema.

Il caso di Wilson in Cast Away

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Nel 2000, dopo alcuni anni da Forrest Gump, la coppia Zemeckis - Tom Hanks torna di nuovo a lavorare insieme per Cast Away. E creano, per quanto paradossale possa sembrare visto che stiamo parlando di un film incentrato su un uomo che deve sopravvivere su un’isola deserta, uno dei casi più unici della storia del product placement. Il pallone da pallavolo marchiato Wilson è a tutti gli effetti l’attore co-protagonista del film. Tom Hanks, all’epoca uno degli attori più importanti, richiesti ed amati del mondo, interagisce con lui, lo chiama, ci parla. E il pubblico, attraverso il suo punto di vista, empatizza con la palla, si commuove per lei. Il nome Wilson (ovvero il marchio) viene menzionato 34 volte e l’inanimato co-protagonista totalizza uno screentime di oltre 11 minuti. Il tutto in un film visto da oltre 100 milioni di persone (tra cinema e homevideo), a fianco all’attore più amato del mondo e in una condizione narrativa che porta lo spettatore ad affezionarsi al prodotto come se fosse un personaggio in carne e ossa. Se a questo si somma il contiguo caso FedEx ci troviamo davanti al singolo film che utilizza più intelligentemente il product placement nella storia.

James Bond e il product placement

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Fino ad ora abbiamo parlato di casi dalla grande rilevanza storica ma legati a un contesto che, per quanto ampio, presentava dei limiti. Con la saga di James Bond invece non esistono confini. Stiamo parlando della più grande saga cinematografica occidentale, composta da 25 film in cui tutto diviene plot placement. Ogni oggetto è parte integrante della caratterizzazione del personaggio: le auto (la storica Aston Martin con alcune parentesi come quella BMW), abiti firmati (gli ultimi sono Tom Ford), gli orologi (prima Rolex, poi Seiko, infine Omega), i vestiti tecnici in cashmere (della N Peal). I brand fanno a gara offrendo le più disparate cifre per apparire nei film della saga. Da una parte perché il mondo dei bond-maniaci disposti ad accaparrarsi i prodotti è ampio e fruttuoso, con la creazione ad ogni nuovo film di edizioni speciali marchiate 007. Dall’altra è lo stesso Bond che ha fatto il giro diventano uno status symbol a cui i brand vogliono legarsi, girando anche spot unici con il personaggio al suo interno. Buona parte del budget di produzione è coperto dai product placement. Basti pensare che a quanto pare la Heineken per legarsi a Skyfall nel 2012 ha pagato una cifra attorno ai 45 milioni di dollari.

I fake placement di Tarantino

Come abbiamo visto il product placement al cinema esiste da sempre e, nel corso dei decenni, ha saputo svilupparsi e raffinarsi di caso in caso in base alla lungimiranza tanto delle aziende quanto dei cineasti. In conclusione vorremmo parlare velocemente di due casi particolari, per certi versi agli antipodi tra loro. Da una parte il mondo di Tarantino, in cui appaiono svariati marchi, pressoché tutti fittizi e inventati dall’autore americano. I più famosi e le cui apparizioni son più frequenti sono certamente il fastfood Big Kahuna Burger e la marca di tabacco Red Apple. Quest’ultima presente in quasi tutti i film di Tarantino, con tanto di spot speciale contenuto in C’era una volta a… Hollywood. Un curioso e divertito caso di fake placement.

Barbie e il property cinema

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Ultimo stadio evolutivo del product placement è il neonato mondo del property cinema. Ovvero quelle opere cinematografiche, sempre più frequenti e popolari, basate su oggetti o comunque su marchi e proprietà di aziende. Il caso più clamoroso è ovviamente quello di Barbie. Mattel e Warner Bros., fondendosi in inaspettatamente con l’anima indie di Greta Gerwig, hanno dato vita ad una creatura da quasi 1 miliardo e mezzo al botteghino in cui placement e opera vanno di pari passo. Un caso studio da analizzare e che, con ogni probabilità, rappresenta un primo passo di una nuovo percorso che tutta l’industria cinema non esiterà a intraprendere.