Vedi tutti

Se tutto è entertainment, deve esserlo anche la politica?

Cosa ci dice l'apparizione di Beppe Sala nel video-teaser sul ritorno dei Club Dogo

Se tutto è entertainment, deve esserlo anche la politica? Cosa ci dice l'apparizione di Beppe Sala nel video-teaser sul ritorno dei Club Dogo

In un saggio pubblicato originariamente su Prismo e ricomparso qualche giorno fa sul suo blog personale, il giornalista e saggista Flavio Pintarelli descrive ottimamente l’era moderna attraversata dalla politica attraverso il concetto di post-verità (coniato per la prima volta nel 2004 da Ralph Kanyes). Scrive Pintarelli: «L’uso politico della postverità sancisce così un predominio della soggettività sul dato oggettivo. Il suo affermarsi come uno degli ordini del discorso contemporaneo - forse l’ordine del discorso per eccellenza dell’epoca che stiamo vivendo - apre a un ulteriore oltrepassamento, quello dei fatti appunto. All’epoca della postverità fa da corollario una società post fattuale, in cui le tradizionali istituzioni deputate all’accertamento della verità perdono progressivamente ogni autorità e sono costrette a rinegoziarla su un piano che appare oggi completamente mutato». Il discorso di Pintarelli, così come la costante presenza del termine stesso “post-verità”, ha cominciato ad invadere i nostri feed dall’assurdo biennio che ha generato la Brexit prima e l’amministrazione Trump poi ma, da allora, niente è stato più come sembra. 

In Italia, come ricordato da tanti media durante l’era-Trump, avevamo imparato a parlare di post-verità all’inizio degli anni ‘90, quando l’allora imprenditore delle telecomunicazioni Silvio Berlusconi aveva iniziato a prendersi piano piano l’Italia, aggiungendo alla narrativa comune la propria e la possibilità di raccontarla come e quando gli piaceva attraverso la costruzione di un impero mediatico che negli anni ha condizionato l’intera estetica italiana degli anni ‘90 e 2000. Sul journal della Boston University, Wenyu Zeng scrive che «The situation today “made entertainment itself the natural format for the representation of all experience (Postman, 2006).» Ma se questo è vero per tutte le forme di rappresentazione dell’esperienza, lo è anche per quella politica? Per sua stessa estrazione, il sindaco di Milano Beppe Sala si è sempre proposto al suo elettorato come un volto “nuovo” e “diverso”, capace di estremizzare il concetto di Milano città del business in Milano città del marketing fino a Milano città dell'entertainment: quel luogo dove tutto può essere mercificato e ogni cosa è in grado di essere quotata. Questo mantra è arrivato a un punto di difficile ritorno quando Beppe Sala ha deciso di essere parte del (bellissimo) video di lancio del nuovo album dei Club Dogo, in arrivo nel 2024, che mostra Milano come Gotham City, Claudio Santamaria e il Sindaco di Milano come moderne spalle dei nostri supereroi in microfono e synth. Tutto è intrattenimento, per l’appunto.

Qualsiasi persona parte dell’industria creativa è dentro questo sistema. Sala non è nuovo ad iniziative di questo tipo, avendone addirittura fatta la sua cifra stilistica; se addirittura nel calcio - l’unica cosa sacra di questo paese assieme al cibo - si è iniziato a parlare di intrattenimento, il mantra per cui qualsiasi cosa debba diventare intrattenimento, a Milano, si è fatto più vero che mai. Ma è davvero così? Può davvero anche la politica ricadere dentro le stesse regole di tutto il resto? In altri tempi, magari, la discussione sarebbe potuta essere articolata, avremmo letto saggi e visto Reel che ci spiegavano i pro e i contro delle due posizioni. Questi, tuttavia, non sono altri tempi, nè l’attuale panorama politico mondiale e locale della città costituiscono un terreno fertile per uno storytelling davvero troppo complesso per risultare leggibile. Milano vive forse il suo periodo di peggior pubblicità mediatica da decenni, la “percezione” di pericolo (per dirla nelle parole del sindaco stesso) è diffusa, al di là dei dati oggettivi. Se ne parla in ogni social media e tra i membri di ogni generazione, soprattutto della Z, che ha altri metri di giudizio e di valutazione e che risulta spesso più difficile da “comprare” rispetto ad altre, perché cresciuta a pane e adv. Nella stessa settimana della più grave escalation di una delle più lunghe e sentite guerre dell’era moderna, in quella in cui il compagno della Premier italiana ha rivelato situazioni che sarebbero perfette per “Dont’ Look Up”, c’era davvero bisogno di rendere tutto, inesorabilmente, entertainment? La risposta è no, soprattutto a solo due settimane dalla nomina del nuovo delegato a Sicurezza e coesione sociale nominato da Sala, Franco Gabrielli, e dalla sua dichiarazione «Milano non è Gotham City» (se sembra assurdo è perché lo è). 

@simone.veg #tiktok #pov #perte #viraltiktok #foryou #tiktokitalia #clubdogo Minchia Boh! - Club Dogo

Ma a cosa serve dunque, questo continuo rimando ad un immaginario pop in un Paese che è storicamente privo di qualsivoglia struttura? La risposta più immediata è che, così facendo, la politica voglia avvicinarsi alle nuove generazioni, attraverso citazioni e associazioni con i loro film, designer o cantanti preferiti. Le dirette su Instagram e l’arrivo su TikTok sono tutte modalità boomer adottate dalla politica per avvicinarsi in modo sterile e poco pervasivo alle esigenze di una Generazione che preferirebbe non rischiare la vita in bicicletta, avere degli spazi di aggregazione e cultura al posto dei centri commerciali e affitti che permettano di poter vivere o fare impresa in condizioni normali. Sono questi i prerequisiti che permettono all’intrattenimento di esistere, non i cosplayer del Commissario Gordon. Riprendendo il saggio di Pintarelli:  «La postverità non è una semplice falsificazione della realtà, bensì un ordine del discorso che si appella all’emotività per superare i fatti e dare così consistenza a una credenza.» In questo caso, l’emotività è rappresentata dal ritorno di quello che è stato forse il più grande gruppo rap d’Italia, ma la credenza non riesce ad avere alcun tipo di consistenza perché la verità in ballo è troppo importante.