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Quante volte il cinema ha pensato all’Impero romano?

Dai primi esempi di peplum alle produzioni contemporanee

Quante volte il cinema ha pensato all’Impero romano? Dai primi esempi di peplum alle produzioni contemporanee

Quante spesso pensi all’Impero romano?” è stato il trend topic che più ha caratterizzato il periodo tra fine estate e inizio autunno sui social. Una domanda posta fuori contesto, che ha attirato le risposte più disparate. Buona parte delle frequenze dichiarate sono state probabilmente esasperate, nel tentativo di strappare un sorriso e qualche visualizzazione in più. Ma che l’Impero romano, preso tra l’alto come un unico monolite e senza considerare le enormi variazioni al suo interno in base al periodo o al luogo, abbia un ruolo di primissimo piano all’interno dell’immaginario collettivo occidentale è innegabile. Per noi in Italia i motivi sono abbastanza intuibili. Lo studiamo lungamente nel percorso scolastico, ne ammiriamo i lasciti all’interno delle nostre città e lo percepiamo, con mal nascosto sentimento nazionalista, come l’ultimo periodo in cui siamo stati grandi, uniti e non frammentati o dipendenti da potenze straniere. Per quanto riguarda il resto dei paesi occidentali i legami sono invece più indiretti. In parte di natura linguistica per via dell’uso di termini di origine latina e per i lasciti di determinati autori in campo filosofico-letterario. Poi per tutte le volte che l’antica Roma è stata rappresentata in forma scritta e/o audiovisiva. Perché il cinema all’Impero romano ci ha pensato davvero tante volte e proprio le sue rappresentazioni sono quelle che più hanno costruito il nostro immaginario collettivo contemporaneo sull’argomento.

Cabiria: dove tutto ha avuto inizio

Il peplum è quel sottogenere cinematografico che raggruppa i film storici in costume ambientati nell’antica Grecia, nel periodo della civiltà romana (non solo nel periodo imperiale) o in contesti biblici, con questi ultimi due sottoinsiemi che sono ovviamente intersecabili). A sua volta si può declinare in un dramma, in un film d’azione, un’opera fantastica o una grande produzione dal respiro epico. È un lascito teatrale che il cinema ha fatto suo fin dal principio. Basti pensare che la prima trasposizione di Ben Hur è un piccolo corto di 15 minuti realizzato nel 1907. È proprio in questo periodo, in cui il cinema non ha ancora ben capito la sua strada e dove il cortometraggio è ancora la forma più diffusa, che arriva il titolo destinato a cambiare non solo il peplum, ma proprio le regole del gioco. 

Si tratta di Cabiria, lungometraggio italiano del 1914 diretto da Giovanni Pastrone e basato sulla storia di una bambina al periodo della seconda guerra punica. Opera muta (il sonoro sincronizzato non sarebbe arrivato prima di dieci anni) intervallata da didascalie auliche scritte da Gabriele D’Annunzio, Cabiria fu il più lungo e il più costoso film prodotto in Italia. Un investimento poi largamente ripagato visto il successo clamoroso che lo portò addirittura a diventare il primo film mai proiettato alla Casa Bianca. Ma il lascito di Cabiria va ben oltre il trionfo immediato. David W. Griffith, il cineasta responsabile di aver ideato la grammatica cinematografica come la intendiamo oggi, prese ispirazione dal film italiano per il suo Nascita di una nazione uscito nel 1915. Lo stesso Scorsese ha dichiarato che il genere epico come lo intendiamo oggi è stato inventato dall’opera di Pastrone.

L’Impero romano nella Golden Age hollywoodiana

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Per la vera esplosione del peplum nel cinema americano abbiamo dovuto aspettare il secondo dopoguerra, nel pieno della Golden Age di Hollywood. D’altronde si tratta di un genere che, soprattutto nella fattispecie del racconto epico, necessita di ingenti fondi per l’ampiezza dei set, per la ricostruzione di scenografie e costumi, per l’ampio numero di comparse a schermo. Non è quindi un caso che la massima diffusione si è verificata tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60, nel pieno del boom economico. Allo stesso modo il pubblico, dopo essersi messo alle spalle il lungo periodo bellico, aveva fame di grandi storie. E il peplum non solo era in grado di fornirle tanto a una platea borghese quanto a una popolare, ma era altresì capace di sopperire alla grande lacuna della cultura americana: la mancanza di mito. Fino a quel momento il cinema aveva tentato di crearlo, con alcuni grandi film storici (come il già citato ma pregno di razzismo Nascita di una nazione o il kolossal Via col vento) e soprattutto con il genere per eccellenza, il western. Dagli anni ‘50 in poi invece si cerca di rubarlo o, meglio, di appropriarsi di quello di altre culture. 

L’idea alla base era che, se gli Stati Uniti sono composti da persone di ogni provenienza, qualsiasi tipo di mito può essere alla base degli Stati Uniti. Un ragionamento che (non) nascondeva un certo tipo di imperialismo culturale, ironicamente simile a quello romano, e che rappresentava la base della politica di soft power americana nel periodo della Guerra Fredda. È questo il contesto in cui il peplum (e nello specifico i film sull’Impero romano) iniziano a invadere il mercato occidentale. Produzioni gigantesche, impensabili da replicare oggi, con le major che facevano sfoggio di idee e risorse e i migliori attori al mondo pronti a prestare corpo e anima ai grandi personaggi della storia. Così Marlon Brando diventa Marco Antonio nel shakesperiano Giulio Cesare del 1953 di Mankiewicz, Kirk Douglas il rivoluzionario Spartaco in Spartacus di Stanley Kubrick, Elizabeth Taylor l’iconica Cleopatra dell’omonimo film sempre diretto da Mankiewicz e Charlton Heston il principe Giuda Ben-Hur che dà il nome a quello che ancora oggi rappresenta il kolossal per eccellenza e detiene il record di 11 Oscar insieme a Titanic e Il Signore degli Anelli - Il ritorno del Re.

L’assurdo caso dell’italiano Caligola

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Con il finire degli anni ‘60 il contesto americano muta profondamente. La perdita dell’innocenza della Guerra in Vietnam e dell’assassinio di JFK, la controcultura e il 1968, le battaglie per i diritti sociali. A Hollywood inizia un periodo, poi ribattezzato come New Hollywood, in cui i registi e gli autori ottengono maggior importanza a discapito delle major. Questo insieme di fattori, sociali e relativi a dinamiche cinematografiche, hanno portato il peplum ad aver sempre meno spazio. Il pubblico non cercava più il mito, aveva bisogno di un tipo di cinema in grado di raccontare l’assurdità del mondo con nuovi mezzi espressivi. E gli anni ‘70, con tutta la loro schiera di giovani autori, erano pronti a rispondere. C’è però un caso in particolare che merita attenzione. Un film che ha fatto scalpore e che da un certo punto di vista rappresenta alla perfezione il concetto di peplum declinato in quella maniera unica e allucinogena come solo gli anni ‘70 potevano fare. 

Si tratta dell’italiano Caligola del 1979, opera divenuta cult in tutto il mondo tranne che in Italia, dove ha subito un trattamento simile (se non peggiore) a Ultimo Tango a Parigi e colpita da una damnatio memoriae che ancora oggi le impedisce di essere adeguatamente riconosciuta nel nostro paese. Tutto parte dallo sceneggiatore Gore Vidal (lo stesso di Ben-Hur) che scrive un copione sull’Imperatore Caligola per una miniserie tv che avrebbe dovuto dirigere Roberto Rossellini. Della serie non se ne fa niente ma lo script viene opzionato dal nipote del regista Franco che decide, d’accordo con Vidal, di trarne un film. Trova fondi per realizzarlo da Bob Guccione, il fondatore di Penthouse che accetta a patto che il risultato finale avesse un’anima marcatamente erotica (se non pornografica) così da poterlo sfruttare come volano promozionale per la sua rivista. Per il cast vengono scelti solo grandi nomi tra cui Malcolm McDowell (l’Alex di Arancia Meccanica) per il ruolo di Caligola, Maria Schneider, Helen Mirren e Peter O’Toole, uno dei più grandi attori di sempre. 

Alla regia, dopo alcuni rifiuti di spicco, la decisione ricade sul Re dell’erotismo, l’italiano Tinto Brass. La produzione è però un disastro: Vidal lascia quasi subito e chiederà poi di togliere il suo nome dai credits; Maria Schneider scappa dal set a metà di una scena per poi non far più ritorno; le visioni differenti di Bob Guccione (che voleva scene di porno non simulate) e Tinto Brass (che invece voleva rimanere sull’erotismo) hanno fatto il resto. Il film vede la luce ma poco dopo l’anteprima a Forlì viene sequestrato con tutto poi l’iter processuale successivo. Caligola è un film dalla storia assurda, da cui tutti i partecipanti si dissociano per il risultato finale. Eppure è un’opera incredibile che fuori dall’Italia è ancora oggi celebrata: è stata in programma al Festival di Cannes 2023 e DiCaprio ha dichiarato di essersi ispirato al Caligola di McDowell per il suo Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street.

L’Impero romano nel cinema contemporaneo

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Nel corso dei decenni successivi il peplum e quindi le opere sull’Impero romano sono rimaste in secondo piano. Affrontate solo in quei casi in cui determinati autori ne sentivano il bisogno e spesso più per i contigui temi biblici, come Scorsese con L’ultima tentazione di Cristo o i Monty Python con Brian di Nazareth. L’unico caso che è stato in grado di scuotere l’industria nel suo approccio al genere lo conosciamo tutti. È probabilmente il progenitore di tutto il nostro immaginario collettivo legato all’Impero romano e con buona probabilità la ragione per cui in tutti quei TikTok sono state date determinate risposte. Come ovvio si parla de Il Gladiatore di Ridley Scott, un film che non prende un mito da portare al cinema ma che attraverso il cinema prende un personaggio, quello di Massimo Decimo Meridio, e infischiandosene della Storia o della verosimiglianza lo tramuta in mito. 

Il successo de Il Gladiatore è stato tale che per un breve periodo Hollywood ha ricominciato a investire nel peplum (Alexander, Troy, Le Crociate) ma senza raccogliere minimamente il successo sperato. E oggi a più di vent’anni di distanza dal film di Scott il genere è tornato dormiente. I tentativi sono stati fatti, molti dei quali fallimentari. Gli unici casi degni di interesse sono quelli in cui il peplum è stato affrontato spogliandolo dell’epica e aggiungendo un piglio ultra-realistico, girandoli nelle lingue dell’epoca, come nel film di Mel Gibson La Passione di Cristo o nell’italiano Il Primo Re. La vita dei generi è però ciclica, specialmente in un periodo di recupero di tendenze passate come quello attuale. Il cinema penserà di nuovo all’Impero romano. Anzi, con ogni probabilità non ha mai smesso di farlo.