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Kanye, Gosha e il fallimento della cancel culture

Esclusi dall’industria, i due creativi caduti in disgrazia si sono alleati

Kanye, Gosha e il fallimento della cancel culture Esclusi dall’industria, i due creativi caduti in disgrazia si sono alleati

Se c’è un maestro della teatralità nel complesso industriale musical-creativo, è Kanye West, o Ye che dir si voglia. Più che un artista musicale, Ye è una specie di fenomeno naturale (o una calamità) nel senso che lo si può osservare con ammirazione o preoccupazione, lo si può giudicare grandioso o distruttivo, ma i giudizi che gli si riservano non ne condizionano l’operato – è il suo operato, piuttosto, che piega e muove le cose intorno a sé.  Questo ha reso Ye immune alla cancellazione che molti gli avevano augurato e che sarebbe toccata a chiunque altro se avesse fatto sfilare t-shirt con scritto “White Lives Matter”, se avesse dichiarato simpatie naziste e bullizzato sui social una giornalista universalmente ammirata nell’industria. Nemmeno farsi pescare in atteggiamenti decisamente indecenti nel bel mezzo di Venezia gli ha impedito di essere accolto come un re in esilio in molti salotti modaioli di Londra, Milano o Parigi: ennesima applicazione di quella rule of cool della moda secondo cui se si possiede un certo carisma e potere attrattivo, si è in qualche modo immuni alle conseguenze delle proprie parole o azioni. E dunque, dopo un anno di follie e stravaganze, eccoci all’uscita del nuovo album, Vultures, e all’annuncio abbastanza scioccante che la sua copertina è stata creata da Gosha Rubchinskiy che, al contempo, è stato anche nominato come nuovo Head of Design di Yeezy. Inutile ricordare la clamorosa debacle che precipitò Rubchinskiy nell’infamia, quando vennero diffuse le sue conversazioni con un minorenne a cui il designer russo chiedeva foto in déshabillé col pretesto di uno street casting. Come evidenziato da un utente di Instagram, Kanye pare aver creato una specie di «disgraced artist union», rompendo i meccanismi della cancel culture e facendoci domandare: sarà stata proprio la cancel culture a portarli insieme?

A prescindere da come la si pensi sul concetto di cancel culture e ai suoi metodi di giustizia sommaria (ammesso che si possa parlare di “suoi metodi” come se fosse un’istituzione), bisogna ammettere che le dinamiche di una cancellazione pubblica sono tanto politicamente e moralmente polarizzate da alimentare una mentalità binaria del tipo «o con noi o contro di noi». Dopo che la shitstorm colpisce, si diventa reietti: è solo questione di tempo che abbastanza reietti si mettano insieme e fondino un club tutto loro. Questo è quanto è successo con Gosha Rubchinskiy – il cui caso però è assai più grave dato che coinvolge accuse potenzialmente criminali su cui sarà poi la legge a dire l’ultima parola. Essendo entrambi artisti “cancellati” la loro unione suona una cosa naturale e per certi versi mette in secondo piano la grave macchia sulla reputazione del designer russo. In questo senso, la cancellazione ha avuto un certo effetto dato che Kanye non viene più invitato alle sfilate della fashion week e agli eventi ufficiali ma non ha avuto l’effetto desiderato nel senso che, a porte chiuse, l’èlite dell’industria della moda non dimostra di avere poi tanti problemi nel frequentare West. Il che dimostra i limiti stessi della cancel culture: si può ostracizzare qualcuno solo fino a un certo punto, ma oltre quel punto, nella dimensione privata, l’indignazione collettiva non può bastare a fare giustizia e sostanzialmente lascia le cose dove si trovavano prima.

Che fare dunque di Kanye West e del suo nuovo Head of Design? Stranamente, non si può cancellare qualcuno due volte e dunque, superato l’empasse della prima “scomunica”, Kanye si è ritrovato libero di fare un po’ come gli pareva meglio. Molti fautori della cancel culture, in effetti, lamentano che i loro propositi finiscono spesso per scontrarsi contro la memoria corta del pubblico – il che mette seriamente in dubbio tanto l’efficacia del loro idealismo che la liceità dei loro metodi ma non la giustezza della loro causa. Certo, il caso è specifico per Kanye West: alcune cancellazioni sono davvero senza ritorno (pensate ad Armie Hammer o Kevin Spacey) ma la monumentalità dell’influenza di Kanye sulla cultura contemporanea suggerisce che, in effetti, se per molti è difficile separare l’arte dall’artista esiste un’enorme fetta di pubblico che lo fa già in autonomia.

Il che ci porta a domandarci se il metodo con cui la disapprovazione viene espressa e la giustizia social distribuita sia davvero qualcosa di sano e funzionale o un modello di comportamento valido da perseguire. Di fronte a queste contraddizioni, però, bisogna ammettere che la psicologia delle masse si muove in maniera del tutto indipendente dalle logiche degli idealisti: per corrette e conclamate che siano le accuse mosse a West, cancellarlo non è una soluzione e non permette a nessuno, né a lui né al pubblico, di elaborare i sentimenti causati dalle sue molte e controverse uscite, sia letterali che metaforiche. La negazione in senso assoluto, insomma, non è la strada. Toccherà convivere con Kanye e con Gosha e, senza avallarne o giustificarne  i comportamenti, trovare una nuova strada per confrontarli e aprire un dialogo onesto sulle controversie che non si arresti al semplice scandalo. A questo punto, cancellarlo e indignarsi equivale a chiudere gli occhi di fronte alla persistenza di un fenomeno che, a prescindere da ciò che vogliamo, esiste punto e basta. Capire come fare tutto ciò senza sacrificare i propri principi è la vera sfida di cui dovremmo parlare.