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Perché Chanel vuole espandersi in Italia

Nel weekend, il brand ha aperto una seconda boutique a Milano, e non si fermerà

Perché Chanel vuole espandersi in Italia Nel weekend, il brand ha aperto una seconda boutique a Milano, e non si fermerà

Dopo mesi di lavori, la nuova boutique di Chanel a Milano è stata finalmente inaugurata. Uno spazio di 520 metri quadri, sviluppato su due piani, che contiene le collezioni, gli accessori, i gioielli e la pelletteria del brand riuniti tutti insieme per la prima volta in Italia dotata anche di un’area privata destinata ai fitting dei clienti più importanti. L’apertura della boutique non vuol dire che la location che il brand già possiede in Sant’Andrea chiuderà, portando a due il numero di punti retail in città – che presto diventeranno tre, se si considera come un terzo punto vendita dedicato alle fragranze e ai cosmetici aprirà in settimana in Galleria Vittorio Emanuele II. A dicembre, invece, il brand riaprirà la propria boutique di Torino. Tutta una serie di notizie che, unite a quelle relative che il brand ha fatto nel campo del settore manifatturiero italiano (tra le nove e le dieci aziende inclusa cui Paima acquisita nel 2021 e Carriaggi Lanificio acquisita insieme a Brunello Cucinelli quest’anno) sottolineano il ruolo strategico che il paese ha per il brand da 17,2 miliardi di dollari. Ma perché tutto quest’interesse per l’Italia? Diciamo solo che i turisti amano comprare qui per questioni di convenienza economica: TikTok è pieno di "guide" ufficiose fatte specialmente da americani che spiegano come risparmiare comprando borse e abiti nel paese. In quegli stessi video, spesso tra l'altro girati a Milano, la fila davanti la boutique di Chanel è onnipresente.

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«La metà della nostra produzione è fatta in Italia», disse l’anno scorso Bruno Pavlosky a Il Sole 24 Ore già l’anno scorso. «E non è una cosa recente, avviene da anni. [...] Le aziende italiane partecipano allo sviluppo del prodotto, realizzano la produzione vera e propria e hanno una capacità fondamentale, che è quella di consegnare la merce». Nella stessa occasione, parlando a CPP Luxury, sempre il presidente della divisione moda del brand aveva detto che l’Italia è il secondo mercato più grande per Chanel dopo la Francia stessa, mentre parlando con MF Fashion negli scorsi giorni sempre il presidente Pavlosky ha aggiunto che «abbiamo molte più persone che lavorano in Italia rispetto che in Francia». L’interesse che il brand ha per il proprio paese sembra dunque riguardare sicuramente le vendite che si fanno in Italia, alimentate anche dal robusto turismo (come dimostra l’apertura della boutique dedicata a fragranze e profumi, ben più accessibili delle costosissime collezioni di abbigliamento e accessori, proprio in Galleria) ma soprattutto dal ricchissimo sistema manifatturiero del nostro paese. Come si diceva, il brand ha continuato a collezionare fabbriche in Italia dal 1999 e le acquisizioni, i piani per le quali non sono stati ovviamente rivelati, non si fermeranno, anche in vista di quella sempre più fitta lottizzazione che aziende grandi e piccole stanno facendo dei produttori indipendenti del paese per integrare verticalmente i propri modelli produttivi e non dipendere da “esterni”. 

La strategia di Chanel vista nel suo complesso, e dunque includendo l’assenza di e-commerce, l’insistenza nel verticalizzare la produzione di ogni categoria di prodotto e la sua tracciabililità/sostenibilità (l’acquisizione del 60% di FashionArt, azienda produttrice di denim, nel 2022 si basava anche sulla certificazione GOTS dell’azienda, mentre l’anno scorso Pavlosky favoleggiava su un’app come Yuka che traccia automaticamente tutti i materiali) unita all’idea di un’esperienza analogica in store dove poter acquistare collezioni fatte proprio per non essere, o sembrare, prodotti di massa ma assortimenti più o meno limitati, sembra basarsi molto su un fattore “analogico” e presenziale che in questi anni si sta dimostrando il rimedio universale in un panorama moda che, sovraffollatosi negli ultimi anni da brand che hanno una narrazione più solida delle proprie basi concrete, sembra impallidire di fronte ai più recenti conflitti bellici che stanno interessando l’Europa e il Mediterraneo. La chiave per resistere, sembra volerci dire il successo di Chanel, è scommettere sempre sulla sostanza e meno sull’apparenza – una strategia che si manifesta nella decisione del brand di non imporre ai propri produttori un’esclusiva totale impedendo loro di avere altri clienti e che, l’anno scorso, Pavlosky riassunse così: «Dobbiamo prepararci per i prossimi 20 anni. Non vogliamo controllare tutto, quello che ci serve è avere i migliori talenti».