Le sfere di Shawn Kolodny protagoniste sul set dello show Missoni

Il trucco per comprendere davvero un’opera d’arte sta nel confrontarla senza filtri. Piazzati lì davanti, con gli occhi socchiusi in meditazione, l’osservatore non si domanda il significato del progetto che ha di fronte a sé, ma cosa questo suscita nella propria coscienza. È questo concetto ciò che ispira le Spheres of Influence, dell’artista americano Shawn Kolodny, una ricerca dell’Io interiore attraverso la riflessione fisica e mentale. All’interno di spazio La Pelota, le Sfere argentate di Kolodny stanno prendendo forma in preparazione della sfilata SS24 di Missoni di questo weekend, alcune già appese, altre in attesa di essere gonfiate. Questa Milano Fashion Week Missoni presenterà a spazio La Pelota, un anfiteatro a pochi passi dal quadrilatero della moda milanese caratterizzato da un’architettura rigorosa e minimale, spoglia di colore ma per questo ampia e luminosa. Nello spazio che separa le due sfere poste al centro di quella che di lì a poco diventerà una passerella, Shawn Kolodny e il direttore creativo di Missoni Filippo Grazioli ci raccontano le origini della loro collaborazione. 

«Per il concetto della nuova collezione ho pensato di creare una nuova realtà,» spiega Grazioli, «ecco perché la domanda di questa collezione è Do you know how to enjoy reality? Quando ho visto il lavoro di Shawn ho pensato che sarebbe stato un ottimo abbinamento, lo spazio che stiamo creando qui è davvero una nuova realtà, un nuovo mondo.» La dimensione proposta dal setting dello show, come rivela Kolodny, è un gioco di riflessi con lo scopo di «vedere il mondo attraverso immagini distorte,» perché quello che rispecchiano le superfici metalliche e curve delle sfere siamo noi, ritratti sotto una luce diversa. Per Grazioli, che guida la direzione artistica di Missoni da marzo 2022, questa filosofia ricorda molto l’approccio investigativo del fondatore della maison. «Stavo leggendo Caleidoscopio Missoni, dove si possono vedere tutte le opere d’arte di Ottavio Missoni realizzate in patchwork di tessuti diversi, e mi è piaciuto questo suo modo nuovo di vedere i pattern,» spiega il designer. In questo senso, la collaborazione con Kolodny è nata per riportare alla luce l’osservazione dello stilista, «la diversa visione che Missoni aveva della grafica, dei colori, dei motivi,» aggiunge il designer, ricordando il ruolo portante che il DNA Missoni ricopre nell’attuale direzione artistica del brand. 

L’estetica che Grazioli ha disegnato per Missoni nelle ultime collezioni trae spunto direttamente dalle fondamenta della maison, prese e trasportate con leggerezza nel panorama culturale odierno. I codici stilistici vengono mantenuti diligentemente grazie ad uno studio approfondito della storia del brand, come dimostrato dall’attenzione che Grazioli ripone nella spiegazione della sua ricerca. «I miei riferimenti sono sempre legati all'archivio e alla storia di Missoni,» spiega il designer. «Non ho un decennio preciso a cui fare riferimento, per me nel lavoro di Missoni c'è sempre qualcosa di nostalgico, è davvero legato al passato, all'identità della maison. Mi piace pensare a un certo periodo, ad un certo momento, ad una certa situazione culturale.» Quando chiediamo a Grazioli come mai le sue prime collezioni per Missoni evocano così intensamente una sensualità anni ’70, lo stilista ci racconta che ciò che voleva catturare di quegli anni era la libertà. «Credo che faccia parte del mio background e che si adatti molto bene all'atmosfera di Missoni. Mi piace esplorare la novità in relazione con il passato.» 

Durante lo shooting di Filippo Grazioli e Shawn Kolodny, il team ruota attorno alle sfere dell’artista sperando di non rimanere fotografato nel riflesso di una delle installazioni. Osservando tutti scappare da una parte all’altra di spazio La Pelota, viene da pensare all’energia dei bambini quando giocano a rincorrersi, e anche al momento in cui, sabato pomeriggio, gli abiti multicolour di Grazioli verranno riflessi sull’argento luccicante di queste immense forme circolari proponendo agli ospiti l’immagine speculare di loro stessi, assieme a quella dei look. Mentre questa sera nella stanza si può udire solo il formicolio della nostra conversazione, sabato prenderà luogo una vera e propria opera d'arte corale, resa ancor più grande grazie agli specchi di Kolodny. «I vestiti definiscono le persone,» spiega l’artista, facendo un paragone tra le sue opere e la moda. «Si prende il proprio interno e lo si mostra all'esterno, che sia flamboyant o conservatore. Il mio lavoro fa la stessa cosa, ti prende e ti riporta a te stesso, con un piccolo twist.» Così come la moda anni ’70, eternamente riconosciuta come la decade della liberazione sessuale, delle proteste e delle provocazioni come atto di rivolta, l'autoriflessione che nasce quando ci si ritrova di fronte alle sfere di Kolodny è irrompente, ma esteticamente poetica. «È provocatorio per le sue dimensioni,» spiega l’artista. «Creare opere immense e monumentali è una cosa che mi piace. È con questo che le persone entrano in contatto, possono interagire, diventarne parte. Fa qualcosa per alcune persone, rende la connessione un po' più speciale.»