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La penisola araba sta per diventare il nuovo polo della moda mondiale?

Lo abbiamo chiesto a Rajat Malhotra di Sole DXB, che ci ha dato una panoramica della scena locale

La penisola araba sta per diventare il nuovo polo della moda mondiale? Lo abbiamo chiesto a Rajat Malhotra di Sole DXB, che ci ha dato una panoramica della scena locale

Abbiamo parlato di recente con Rajat Malhotra, partner di Sole DXB, che ci ha raccontato l'evoluzione del consumo di moda in Medio Oriente negli ultimi dieci anni. Rajat, che può vantare una profonda conoscenza del settore, ha gettato per noi una luce su un mercato in crescita, su un costante cambiamento della percezione della moda europea nella regione e sull'ascesa della scena dei designer locali. Negli ultimi 10 anni, secondo Rajat, il consumo di moda in Medio Oriente ha subito una trasformazione significativa dato che «abbiamo un'ampia popolazione giovanile che sta iniziando a guadagnare i propri soldi e quindi abbiamo un mercato in rapida crescita». Inoltre, «se si guarda alla regione del Consiglio di Cooperazione del Golfo [che comprende sei Paesi del Golfo Persico, tra cui Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ndr] ci sono stati investimenti così ingenti in infrastrutture e turismo che l'industria della moda globale non può permettersi di ignorare questo mercato, come ha fatto storicamente». Il cambiamento della scena della moda in Medio Oriente è stato influenzato da fattori quali «la frequenza dei viaggi, l'accesso ai social media e un ambiente multiculturale». Tutti elementi che hanno permesso ai consumatori di «elaborare uno stile personale e iniziare a usare la moda come mezzo di espressione personale». A questa svolta sul piano culturale ci sono stati anche cambiamenti infrastrutturali come ad esempio «il miglioramento dei sistemi di delivery a domicilio insieme all'aumento nella diffusione delle carte di credito, ha portato a una notevole impennata dei consumi nell’e-commerce».

Confrontando i consumi di lusso in Europa e negli Stati Uniti con quelli dei Paesi della penisola araba, Rajat ha sottolineato che «inizialmente c'era un enorme divario tra i prodotti offerti nei vari mercati. Ma invece di creare un elemento di differenziazione, questo ha spinto un maggior numero di acquirenti del mondo arabo a recarsi in Europa e a fare acquisti lì, creando più somiglianze che differenze nei prodotti acquistati». Nel corso del tempo, i player del lusso presenti nella regione hanno riconosciuto l'importanza della «segmentazione» del mercato mediorientale, creando collezioni specifiche che «generano maggiori entrate nell’ambito di questo mercato specifico, senza cannibalizzare le entrate che i viaggi dal mondo arabo generano per i loro punti vendita internazionali». Questa segmentazione dell'offerta dei marchi di lusso per il mercato in rapida crescita comporta anche un adeguamento della percezione della moda europea da parte dei clienti locali. A questo proposito Rajat ha osservato che «probabilmente [la percezione] si è spostata allo stesso ritmo di altri mercati, dal momento che consumiamo informazioni da molti degli stessi canali digitali del pubblico europeo e americano». L'interazione tra le tendenze della moda globale e la cultura locale varia molto all’interno della stessa penisola. Ogni regione, come il CCG, il Levante o il Nord Africa, presenta stili distinti influenzati da sfumature culturali – il che rende centrale una strategia di segmentazione ultra-mirata e intelligente. «In una città mediterranea, come Beirut, ci si veste in modo diverso da Abu Dhabi», spiega Rajat. «In luoghi come Dubai, abbiamo una popolazione molto internazionale. Così i diversi stili si sono mescolati nel corso del tempo, fino a diventare i nostri. Non siamo un monolite».

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Inoltre, la nuova attenzione che la moda sta ricevendo nella regione ha messo sulla mappa anche i designer indipendenti locali: «Negli ultimi dieci anni la scena si è ampliata», spiega Rajat, «e c'è stato un boom dell'industria della moda indipendente in tutto il Sud globale. I clienti più giovani sono molto contenti di investire in questi marchi dato che spesso i loro founder hanno storie che rispecchiano le nostre». Il mercato, tuttavia, ha ancora molti passi avanti da fare, anche se negli anni successivi al blocco ci sono stati molti eventi di alto profilo, sfilate di moda e aperture di musei e centri commerciali di lusso. La strada per l'accettazione da parte del mainstream è ancora lunga: «Non direi che i consumatori regionali acquistino più marchi regionali», ha osservato Rajat, «ma questo è dovuto anche al fatto che l'industria locale non ha ancora raggiunto le dimensioni della moda europea. Ma i brand locali sono molti amati dato che hanno costruito delle community che li sostengono». La presenza di quella che Rajet definisce «una delle popolazioni più giovani al mondo» crea un terreno ideale per la sperimentazione e per la nascita di community iper-localizzate che possono favorire la crescita di realtà più giovani e all'avanguardia, anche se «le infrastrutture e le dimensioni dei mercati non supportano necessariamente la capacità dei marchi più più piccoli di crescere industrialmente, aprire porte o ottenere una distribuzione più ampia. Ma il loro momento arriverà - e probabilmente nemmeno fra troppo tempo».

Sempre a proposito di designer indipendenti, potremmo aspettarci di vedere anche alcuni talenti locali lavorare con le grandi case europee nel futuro: «In questo periodo stiamo assistendo al lento riconoscimento a livello globale dei brand indipendenti del mondo arabo e dai suoi designer sparsi per il mondo. Il mondo medio-orientale è caldo in questo momento e man mano che i brand occidentali cercano nuove idee nel paesaggio e nel patrimonio della regione, i designer di questa parte del mondo saliranno inevitabilmente di livello e pensiamo di non essere lontani dal vedere la nomina di designer arabi a importanti posizioni creative in tutto il mondo, insieme ad altre collaborazioni di alto profilo». Per ora, in assenza di grandi nomine o collaborazioni, i marchi europei hanno adottato diverse strategie per coinvolgere i consumatori mediorientali: «Le campagne di influencer sono probabilmente l'approccio più visibile e comune adottato dai grandi brand», ha osservato Rajat. «Dato che però questo approccio sta iniziando a diventare ripetitivo, forse sta perdendo la sua efficacia.  Non di meno, molti brand sono stati bravi a rivolgersi alle audience locali con le loro iniziative. Molti creano campagne specifiche per il Ramadan, accompagnandole anche con capsule collection specifiche. Sforzi locali per parlare direttamente ai consumatori locali». Un altro fattore chiave in gioco nella regione è il divario generazionale nel consumo e nella percezione del lusso: «L'evoluzione dei valori culturali e delle loro interpretazioni fa sì che gli acquirenti più giovani consumino in modo diverso rispetto ai loro genitori. Gli acquirenti più giovani continueranno a comprare articoli che permettano loro di esprimere se stessi rispetto a quelli puramente funzionali o di necessità».

Infine, tra i passi avanti da fare e considerando i margini di miglioramento che il settore del lusso mediorientale può considerare, Rajat ha evidenziato la necessità di «un investimento maggiore nella creazione di campagne e contenuti localizzati per i brand più imporanti, e non solo sul piano degli editoriali.  Un investimento serio incentiverà la creazione di un pool più ampio di talenti creativi per la moda e dimostrerà un impegno più concreto» nei confronti del mercato. Inoltre, la diversificazione del pool di influencer per includere «una varietà più ampia di storie e persone» potrebbe essere un passo positivo, considerando la ricca diversità della regione. Per quanto riguarda il futuro dell'industria della moda mediorientale, Rajat ha affermato che «per adesso si sta investendo in infrastrutture commerciali e industriali, il che significa che vedremo presto un miglioramento della qualità della produzione e, quindi, una più ampia distribuzione dei marchi arabi in tutto il mondo».