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Il “quiet luxury” non è una scusa per essere basic

Un minimo di stile serve sempre e comunque

Il “quiet luxury” non è una scusa per essere basic Un minimo di stile serve sempre e comunque

Nella scorsa settimana, in cui si è parlato di più dell’idea di “quiet luxury”, alcune voci di importanti commentatori della moda si sono levate per ridimensionare e riflettere sul concetto. La più eloquente è stata Brenda Weischer che si è domandata se tutto questo discorso sul lusso iper-anonimo non celebri insensatamente l’assenza di stile, portando a esempio la nota sciatteria di Mark Zuckerberg ora osannata come miracoloso minimalismo. Anche Bryan Yambao (più noto come @bryanboy) ha detto la sua, sottolineando come l’idea di “old money” coltivata attraverso moodboard, archivi e press release si riferisca solo all’abbigliamento occidentale dato che in altri paesi (l’esempio principale sarebbe quello dell’India) i possessori di questo “old money” vestano tradizionalmente in maniera molto ricca. Oltre a queste due voci ce ne sono state migliaia di altre che approfondendo o chiosando lo stesso concetto hanno evidenziato come la principale domanda che l’onda del “quiet luxury” pone è quella su quanto “anonimo” debba essere questo lusso, e se questa ambizione di invisibilità non finisca per riconfermare una visione eurocentrica e basic del vestire. Dopo tutto la scintilla della moda si accende quando ci avventuriamo fuori dalle nostre certezze, quando sperimentiamo e vogliamo farci notare, non quando ci conformiamo a un’aspettativa. Questa ovviamente è una cosa che gli stessi brand old money sanno (Gildo Zegna ha detto la settimana scorsa che Zegna ora è «più divertente, più moderno e con più stile» contrapponendo il passato del brand all’approccio più fresco di Alessandro Sartori) e infatti la correzione di tiro che andrebbe fatta è nella percezione dei consumatori: quiet luxury non significa vestirsi come il ragazzo di buona famiglia che va alla sua prima riunione del Rotary, ma rinunciare a ciò che aspirazionale e preferirgli ciò che è squisito.

Questo dato porta verso nuove riflessioni. Sempre Brenda Weischer, su Twitter, chiede come sia possibile che un suo outfit di Rick Owens sia considerato da alcuni quiet luxury solo perché completamente nero e privo di loghi. «In what world is a full Rick outfit quiet?», si chiede Weischer. Rispondere non è semplicissimo. Come una delle sue commentatrici possiamo solo ribadire che il filo comune che lega “quiet luxury”, “old money” e “stealth wealthsia tanto l’assenza di loghi che il fatto di poter essere riconoscibile a pochi, la capacità di far parte del linguaggio culturale di un gruppo che i giornalisti di moda definiscono spesso “cognoscenti”. In altre parole, if you know you know. È ovvio però che il concetto di “if you know you know” apre il campo di gioco a ogni sorta di sperimentazione purché sia sottile. Anche un brand come The Row imprime sempre una precisa identità ai suoi design che sono sempre riconoscibili nella loro immacolata semplicità. Nel descrivere il proprio blazer ideale, vent’anni fa, Hedi Slimane disse: «The way a jacket drapes, the way it falls, should have the quality of being effortless». E cioè in maniera dritta e pulita, appunto senza sforzarsi di ottenere un certo effetto. È ovvio che un buon capo si può e si deve indossare senza sforzo ma non è mai creato senza sforzo – un livello di ricerca sui materiali, sul design e sulla progettazione che emergono sempre e fanno sembrare originale anche ciò che sulla carta è banale. Uno degli attributi più ambigui del “quiet luxury”, dopo tutto, è la sua tendenza alla classicità che lascia spazio a una certa sperimentalità ma senza mai ricadere nell’avant-garde nè nella genericità del mercato di massa. Parliamo di ambiguità perché esistono brand, come ad esempio Maison Margiela, Prada o Dries Van Noten, che producono sia basics di lusso del tutto anonimi che design decisamente più impegnativi. L’etica di design di questi e altri marchi contempla entrambe le opzioni – e questo discorso può estendersi a molte altre realtà dell’industria della moda. 

@thenewyorkstylist Want to look expensive? No, you don’t have to spend a lot. If you read the article that just came out from @dailymail on Succession’s style where I was the style expert on, you’d know that “Quiet Luxury” is a thing. These are the reasons why people like the characters of Succession always *look* rich. NOT because theyre flaunting designer logos. What do you think of “quiet luxury?” #quietluxury #successionstyle #styletips #fakeittillyoumakeit #lookexpensive Succession (Main Title Theme) - Nicholas Britell

Per tornare al discorso di Weischer, dunque, il concetto di “quiet luxury” non esclude quello di stile personale. Ergo, di un certo styling c’è sempre bisogno – uno styling lineare e armonioso ma non per questo meno deliberato e studiato. Alcune linee guida: estrema attenzione ai materiali, divieto assoluto alle fibre sintetiche, pantaloni o gonne dalla vestibilità generosa e mai striminzita, attitudine nonchalant verso l'oversize e il distressing, accessori simple but statement che insieme alle scarpe trainano un look essenziale e pulito e, ovviamente, nessuna forma di decoro e ornamento. Insomma, si deve comunque intravedere l’impronta di una personalità e di un pensiero critico che ha combinato in maniera interessante pezzi anonimi e normalissimi, anche se il “quiet luxury” come filosofia voglia riportare il godimento dell’abito alla dimensione intima di chi lo indossa. Colpire se stessi e non gli altri è il perno di questa idea. Sia che si tratti di colori e stampe fuori di testa che di maglioncini di cachemire dai colori neutrali, il conformismo e la ritegnosa modestia piccolo-borghese sono i principali ingredienti della basicness – insieme a qualcosa che potremmo definire “tentatività” o velleitarismo ovvero la pretesa, come scriveva Nicolás Gómez Dávila, di essere ciò che non siamo. Sempre Dàvila scriveva che: «La volgarità nasce quando si perde l'autenticità. L'autenticità si perde quando la cerchiamo». Ne deriva che un outfit basic è molto inautentico dato che aderisce a uno stereotipo convenzionalmente accettato ma del tutto inerte. La linea tra raffinato minimalismo e basicness dozzinale è una linea labile e sottile – ma solo chi non è basic la può vedere.