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I monumenti mobili di Craig Green per la collezione FW22

«Una lenta processione di arcobaleni che illumina la strada verso nuovi orizzonti»

I monumenti mobili di Craig Green per la collezione FW22 «Una lenta processione di arcobaleni che illumina la strada verso nuovi orizzonti»

Lo show FW22 di Craig Green tenutosi a Londra ieri è stato, sotto i letterali e metaforici layer del design concettuale, una «lenta processione di arcobaleni che illumina la strada verso nuovi orizzonti». Erano due anni che il designer mancava dalle passerelle fisiche – due anni dopo i quali i look firmato da Green hanno unito in una maniera quasi mai vista prima funzionalità e astrazione, trasformando questa dinamica degli opposti in un simbolo dello sforzo di uscire più forti dall’isolamento. È il dentro che si riversa fuori, l’intangibile che si condensa in «forme solide e durevoli» e che, infine, porta a «forgiare involucri più forti su basi più sincere».

C’è stato effettivamente, nel corso dello show, il senso di un riversamento all’esterno di ciò che era all’interno, come una struttura che si rompe rivelando la sua costruzione e anatomia interna, ma anche una ricostruzione del senso tattile degli abiti con, ad esempio, una giacca marrone che era liscia fuori e aveva un interno villoso di mohair verde – chi la indossa ne sente la morbidezza, ma non chi la guarda; o anche elementi sintetici, di latex o simili al materiale delle mute da sub, che si rovesciano verso l’esterno, rivelano le particolarità dell’interno come il trench che, nei risvolti delle maniche e negli inserti sintetici, sembra lasciare intuire la presenza di un interno in gomma blu che prova a emergere. Alla fine dello show, una serie di look di maglieria includono una specie di hoodie di lana oversize che all'interno è rigonfia di spessissimo mohair le cui frange fuoriescono fuori come fodere di pelliccia e le cui maniche sono anatomicamente inesatte producendo l'impressione di una strana creatura marina.

L’intera collezione ha meditato, nei termini della surreale e utilitaristica architettura tessile che è diventata la firma di Green, sull’isolamento e sugli strati isolanti, non rivelando l’interno tramite aperture dell’esterno (pensate a una giacca che rivela una camicia) ma rivelando interno tramite aperture dell’esterno. In alcuni look, la struttura del classico puffer jacket è usata come strato interno al cappotto di lana, trasformando ciò che si associerebbe normalmente a un cappotto a uno strato interno quasi da nascondere. I richiami possibili a forme e fenomeni naturali che vengono in mente sono quelli alle forme di vita subacquee e alle colate laviche dei vulcani – una specie di fotografia di uno stato di metamorfosi in cui ciò che è liquido pare sul punto di solidificarsi, ciò che ha una struttura pare non possederne alcuna.

Tutto talento visivo e cromatico che però ha il pregio di condensarsi in capi funzionali, comprensibili ma sorprendenti che mette sullo stesso piano (e in modo del tutto plausibile) design presi in prestito dal mondo dell'hiking, dall'ambito medico e da quello dello snorkeling – come ad esempio la collaborazione con adidas che ha visto le Stan Smith collaborative di Green chiuse dentro guaine monocrome abbottonate longitudinalmente con chiusure dall’aspetto industriale, una collaborazione “nascosta” in cui chi indossa sa cosa sta indossando senza che la scarpa sia visibile all’esterno, mentre altre sneaker si caricano di gambali rigidi che le fanno assomigliare a Wellington Boot monumentali oppure sono ricoperte da elementi gonfiabili che ricordano le pompe di gonfiaggio degli sfigmomanometri.

L’architettura invertita degli strati che si incastrano e si sovrappongono in modo apparentemente caotico seguendo una filosofia di design che vede gli accessori diventare simili a giocattoli, le borse così come alcuni dei balaclava e dei look più concettuali, insieme alle patch di mohair/ciniglia da appendere e impacchettare, sono bizzarre in se stesse ma costruite con una logica molto rigorosa in mente, seguono una razionalità che pesca dal mondo degli invertebrati, dall’idea di corpo impacchettato di cinghie del BDSM ma anche dall’approccio funzionale a strati e struttura dei capi di scalatori e sommozzatori.

Ancora una volta si organizza, si razionalizza e si misura ciò che sembra illogico dall’esterno – l’elemento razionale testimoniato dall’armonia dei colori e dei materiali, anche se apparentemente idiosincratici,che si mantiene anche quando una manica esce dal petto di una giacca o patch gonfie interrompono i pattern reticolati di una serie di completi sportivi in velour. Il risultato finale, nelle parole stesse di Green, è una serie di ­«forme morbide, monumenti mobili innalzati a percorsi personali, foderati di memento ai sensi e inchiodati con un nuovo e determinato ottimismo».