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La complicata storia della polo Fred Perry

Simbolo di tutte le controculture, prima di sinistra e poi di destra

La complicata storia della polo Fred Perry Simbolo di tutte le controculture, prima di sinistra e poi di destra

Nel 2020 tutto è politica, persino i vestiti. Di recente, ad esempio, Fred Perry ha dovuto ritirare dal mercato nordamericano una polo nera e gialla perchè era diventata la divisa ufficiosa dei Proud Boys, un gruppo radicale di alt-right menzionato anche da Donald Trump nel suo ultimo dibattito presidenziale con Joe Biden. La rimozione della polo dal mercato è forse la prima mossa del brand volta a ridefinire la cultura che circonda la sua polo - un item comune in se stesso ma su cui negli anni sono andati accumulandosi layer di significati politici prima di sinistra e poi di destra. 

Le origini

Negli anni ‘60, in Inghilterra, i figli degli immigrati della Giamaica e delle Barbados, giunti in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, introdussero fra i giovani della working class inglese dell’epoca generi musicali come la ska e il rocksteady e all’estetica che divenne nota come quella dei rude boys. Influenzati dalla cultura jazz americana, i rude boys della Giamaica si vestivano con abiti di sartoria, micro-cravatte e cappelli di feltro. Don Letts, regista del documentario The Story of Skinhead ricorda di quegli anni: 

«La musica univa le persone in quegli anni […]. Non si parlava molto di politica. […] I ragazzi di quegli anni cercavano uno stile che emulasse quello della upper class, abiti eleganti e sistemati, ma anche più economici. Quelli di Fred Perry erano fra questi».

La polo era un indumento centrale in questo movimento originato nella working class perchè da un lato era una versione economica della camicia - capo ben più costoso a quei tempi - e dall’altro era associato al mondo del tennis, uno sport tipico dell’élite inglese. Fred Perry era un brand di atletica, il suo nome ancora legato all’immaginario aristocratico di Wimbledon, e i suoi prodotti ben più accessibili dei costosi completi che i mod dell’epoca si facevano cucire a Savile Row. La polo bianca divenne dunque sia il simbolo di un’aspirazione sociale tramite il quale i giovani della strada potevano appropriarsi del linguaggio visivo delle classi più elevate, sia un segno distintivo e identitario della propria generazione e classe di appartenenza. Fu in questo momento che la polo Fred Perry venne associata ai movimenti politici di sinistra.

Intanto la situazione politica del Regno Unito cominciava a diventare turbolenta a quell’epoca, con un clima di sfiducia e xenofobia che sfociò, nel 1968, in un famoso discorso del conservatore Enoch Powell, passato alla storia come il Rivers of Blood speech. Il parlamentare attizzò i carboni dell’intolleranza, disegnando un quadro a tinte fosche degli immigrati giunti in Inghilterra a rubare il lavoro agli inglesi bianchi (vi ricorda qualcuno?), e inasprendo ulteriormente il già problematico atteggiamento che parte della società dell’epoca aveva nei confronti del multiculturalismo.

Gli stadi, i club e le teste rasate

L’estetica che i figli dei migranti avevano portato in Inghilterra, di quella working class che ora si trovava internamente divisa e carica di ostilità verso il multiculturalismo, rifluì dunque verso i giovani bianchi e disillusi delle città industriali del nord dell’Inghilterra che trovarono nel calcio una valvola di sfogo ai propri problemi, al loro isolamento e all’ansia verso il futuro – problematiche che emersero nella violenta cultura degli hooligans e degli skinheads. La polo di Fred Perry, già, acquisì nuovi significati culturali dato che gettò le basi per la nascita dell’estetica casual degli hooligan che nel corso dei decenni avrebbe incorporato brand come Stone Island e Lionsdale.

A cavallo fra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 i principali gruppi di hooligans si andarono formando, avendo già alle spalle una tradizione di scontri e violenze: fra il ‘61 e il ‘68 c’era una media venticinque episodi  violenti ogni stagione calcistica. All’inizio degli anni ‘70, le tensioni culturali aumentavano sempre di più, cori ed abusi razzisti erano all’ordine del giorno per i calciatori di origine afro-caraibica e, come sempre capita in tempi di difficoltà economica, i gruppi di estrema destra stavano conoscendo una nuova vita. Lo U.K. National Front, il principale di questi gruppi, reclutava nuovi membri proprio all’uscita degli stadi e, per attrarre i giovani, iniziò ad aprire dei locali nelle varie città, dove ci si poteva riunire, ascoltare musica dal vivo e ballare. Unico requisito: essere membri del partito. 

La strategia iniziò a funzionare e sempre più giovani bianchi delle classi operaie inglesi del nord si iscrissero al partito. Nel frattempo il termine skinheads, nato intorno al 1968, era diventato sempre più popolare man mano che le fila del movimento si ingrossavano. Il loro tratto principale, come dice lo stesso nome, erano le teste rasate mentre la loro divisa era composta da jeans o pantaloni militari con bretelle, stivali Dr. Martens e l’immancabile polo Fred Perry coperta da un bomber o da un harrington jacket, il cui colletto e la cui ispirazione tennistica erano la sintesi del motto: “Vestiti bene e comportati male”. L’elemento multiculturale di quest’estetica proletaria scomparve tanto sul piano dell’inclusività quanto su quello musicale: nacquero i generi musicali Oi! e il punk rock, un misto del rock suonato nei pub del National Front e dei cori da stadio.

Nel 1979, epoca in cui Margaret Thatcher attuò le sue politiche neoliberiste e isolazioniste nel Regno Unito, le manifestazioni neo-naziste e dell’ultradestra aumentarono a dismisura. In mezzo a quelle manifestazioni, cominciarono ad apparire gli skinhead i cui outfit andavano sempre più politicizzandosi, associati ai membri del National Front. Gli skinheads battevano le strade di Bethnal Green, molestando gli immigrati del Bangladesh e i cittadini di origine afro-caraibica. Fu in questo momento che l’estetica skinhead si legò per sempre ai movimenti nazionalisti di destra.

Dall’Inghilterra all’America

Quando Ronald Raegan divenne presidente degli Stati Uniti nel 1981, le sue politiche conservatrici diedero nuovo impeto a quel substrato neonazista che era rimasto, fino ad allora, più o meno dormiente negli Stati Uniti. Una congiuntura storico-culturale che permise alla cultura skinhead di dilagare oltreoceano con tutti i suoi vari significanti culturali – fra cui l’ormai iconica polo di Fred Perry. I giovani bianchi di destra, respinti dai valori anti-repubblicani dei punk, trovarono nella cultura skinhead una piattaforma culturale per esprimere la propria identità. Tanto che, quando il Southern Poverty Law Center, una delle principali organizzazioni per i diritti civili, inserì Fred Perry e Dr. Martens nel proprio identikit dello skinhead nei primi anni ’90. 

Un nuovo cambiamento giunse nel corso degli anni ‘90 e nei primi 2000. Le subculture giovanili dei decenni passati divennero un archivio visuale di reference che la generazione del Brit Pop sfruttò in pieno, spogliandola in parte dei suoi connotati politici e trasformandola nell’immagine mainstream del cantante rock inglese. Pete Doherty e i The Libertines, gli Oasis, i Blur e in seguito Amy Winehouse si appropriarono tutti della edginess del movimento skinhead - mantenendo l’idea di rivalsa e rabbia sociale della working class ma eliminando l’elemento nazionalistico che però sopravvisse all’interno dei circoli più underground che si estremizzavano sempre di più tanto in Inghilterra quanto in America. La polo Fred Perry divenne in quell’epoca un capo-simbolo dello stile british la cui risonanza politica rimase, a causa della sua commercializzazione mainstream, almeno in parte indistinta.

Oggi, i gruppi noti come alt-right, come appunto i Proud Boys, non sono troppo orgogliosi di associarsi direttamente al neo-nazismo, anche se i loro ideali politici sono del tutto allineati a questa ideologia politica. Anche se la cultura skinhead è giunta al tramonto e il movimento perde rilevanza, l’immaginario visivo e identitario della polo di Fred Perry è emigrato verso gruppi come il loro, seguendo il trait d’union ideale del suprematismo bianco.

I membri dell’alt-right preferiscono ricollegarsi infatti alla rabbia sociale degli skinhead anni ’60 per dire di andare contro il sistema – senza ovviamente rendersi conto di coltivare valori retrogradi e conservatori anziché progressisti. Ognuno di questi gruppi sente il bisogno di creare un senso di coesione interno che viene sviluppato attraverso rituali (picchiare e farsi picchiare, giuramenti, manifestazioni) e attraverso una divisa, la polo gialla e nera di Fred Perry. Un tipo di gemellaggio culturale ufficioso a cui il brand ha però dato nei giorni scorsi un forte e deciso taglio ritirando dal mercato dal polo. Una mossa nobile da parte di Fred Perry che però contribuirà a dare visibilità al movimento – i cui membri ora potrebbero reagire rinforzando ancora di più l’immaginario culturale e ideologico di cui la polo Fred Perry è stata forzosamente ammantata.