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L'ultra running è qui per restare

Perché il nuovo sportswear cresce nei boschi

L'ultra running è qui per restare Perché il nuovo sportswear cresce nei boschi

Un uomo arriva a Ras Angela, Tunisia, dopo aver percorso a piedi gli oltre 16.000 chilometri che lo separavano da Cape Agulhas in Sud Africa. Una donna si accascia accanto ad una sbarra gialla in un parco nazionale nel Tennessee dopo quasi 60 ore di hiking. Due momenti separati qualche giorno l’uno dall’altro e che probabilmente non faranno rumore alcuno all’interno del mondo sportivo. Entrambi infatti sono stati due risultati impensabili e probabilmente irripetibili, ma circoscritti nella bolla dell’ultrarunning. Un insieme indefinito che rappresenta tutte le attività di corsa che superano la lunghezza della maratona, 42 chilometri e 195 metri, effettuato solitamente su strade sterrate o non battute. Russ Cook ha impiegato quasi un intero anno per attraversare l’intera lunghezza dell’Africa, passando da deserti e foreste, indossando spesso e volentieri maglie da calcio delle squadre locali che incontrava, correndo dai 40 agli 80 chilometri ogni giorno. Jasmin Paris è diventata la prima donna a concludere la Barkley Marathons, una delle più inspiegabili e affascinanti competizioni di resistenza al mondo, dove lo scopo è quello di percorrere oltre 160km persi nei boschi superando una altimetria di due Everest in meno di 60 ore. Paris ha impiegato solo 99 secondi in meno del limite consentito.

Per decenni l’ultra running è stato etichettato come un’attività per pazzi o per chi non teneva alla propria salute. D’altronde è più una filosofia di vita che una vera e propria disciplina sportiva. Negli ultimi tempi però, complici anche i social che riescono a dare un volto e un senso a storie e imprese che prima erano quasi esclusivamente lasciate alla tradizione orale, e conseguenti distorsioni, e al folklore locale, è più facile comprendere le motivazioni che spingono alcuni a testare i limiti della resistenza del corpo umano. O almeno a condividere un senso di comunità, di felicità nella fatica e nel dolore nonostante non si riescano a fare più di cinque chilometri a passo veloce. E quando ciò accade, sappiamo bene come tale trend si riflette velocemente anche sulle estetiche e sui modi di vestire. Sono passati gli anni pandemici nei quali ci si faceva la doccia con gli shell Arc'teryx, ma mentalmente siamo ancora lì: l’abbigliamento tecnico è sempre più presente nelle collezioni e nell’immaginario quotidiano segnando un deciso cambio di rotta con il passato. 

Se infatti negli anni ‘00 le ispirazioni di vita e conseguentemente la moda venivano tutte dalle spiagge, tra surf e skate, ora lo sportswear e il lifestyle sembra essere solamente attratto da montagne inesplorate, foreste incontaminate e sentieri nascosti. Come scriveva David Henry Thoreau nel Walden “Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza”. Ora ogni collezione sportswear e moda sembra seguire tale consiglio, trovando dove l’aria è più pulita e i ritmi dettati dal respiro, il setting perfetto dove trarre ispirazione. Occhiali veloci, scarpe leggerissime con suole antiscivolo, tessuti antistrappo e traspiranti, volumi che definiscono corpi sempre in movimento sono diventati i protagonisti tanto negli shooting quanto nelle competizioni. Un trend immediatamente intercettato da brand come Vibram, Salomon, Norda, Oakley, Hoka, Merrell, Satisfy, Roa e Arc'teryx, che stanno realizzando materiali sempre più specifici, tecnici e performanti. D'altronde rispetto ad altre discipline, la corsa outdoor non conosce né regole, né attrezzatura specifica e quindi apre ad un mondo di possibilità e personalizzazione quando si tratta di creare la propria per una gara. 

E gli eventi di ultra-running sempre più popolari, con atleti che sono diventate vere e proprie superstar in grado di muovere le folle. Profili come Kilian Jornet o Courtney Dauwalter si sono affermati come atleti entusiasmanti e brand ambassador, ma soprattutto rendono credibili comunità ed eventi per un mondo da vivere esclusivamente offline. In modo similare a quanto fatto qualche anno fa dall’arrampicata, diventata improvvisamente globale dopo essere stata per decenni appannaggio solamente di dirtbag e van-lifer, grazie anche a film come Free Solo, anche l'ultra running sta uscendo dai suoi confini naturali fatti di sentieri e rocce. Rispetto al suo cugino più urbano e rispettabile, il running, che sta vivendo un vero e proprio boom fatto di community e gruppi cittadini che nel tempo hanno creato linee sportive e brand di culto, il trail e l’ultra running sono la faccia più impervia e riservata ma che ha saputo mantenere nel tempo un fascino mitico ed una influenza che non accenna a diminuire. Anzi, l’esponenziale crescita dell’estetica outdoor ha reso ancor più malleabile e permeabile tale esperienza, non per forza da vivere con il cronometro al polso ma anche solamente per ristabilire un contatto con la natura che stiamo pericolosamente perdendo.