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L’anno di Tyler

Il 2019 ha segnato la consacrazione definitiva di Tyler, The Creator

L’anno di Tyler  Il 2019 ha segnato la consacrazione definitiva di Tyler, The Creator

Durante l’adolescenza c’è sempre un ragazzo o una ragazza che nel momento di maggiore ricerca di omologazione sociale nella vita di un individuo (volto a mascherare le infinite insicurezze tipiche di quell’età) si distingue immediatamente. Il modo in cui si veste, quello in cui parla, il rapporto con le autorità, gli ascolti musicali - tutto è “strano”. Non fa parte di nessun gruppo sociale e un po’ fa paura, perché mette le persone di fronte a delle specificità nel carattere di un individuo che la maggior parte dei ragazzi non ha ancora la maturità per affrontare.

Tyler, The Creator è sicuramente stato uno di quei ragazzi che in virtù della sua unicità mette indirettamente a disagio coetanei e non. Una personalità strabordante, con cui lui in primis ha dovuto fare i conti. Non può essere un caso che in dodici anni di scuola abbia frequentato dodici istituti diversi; per non parlare del fatto che a sedici anni, nel 2007, aveva già fondato Odd Future, il collettivo che avrebbe in buona parte riscritto estetica e contenuto dell’hip-hop del nuovo millennio. È un discorso che si può fare per tanti artisti, ma oggi nel mondo musicale nessuno più di Tyler sembra aver sfruttato le sue idiosincrasie per costruire un personaggio a prova di proiettile, così “forte” da sconfiggere pregiudizi e diffidenza.Il 2019 per Tyler, The Creator è stato l’anno in cui questo sforzo ha definitivamente raggiunto il riconoscimento mainstream: IGOR è stato il suo primo disco a diventare platino, il secondo a ricevere una nomination ai Grammy Awards. Ha poi definitivamente conquistato il mondo della moda con il suo gusto unico, sia con le collezioni GOLF le FLEUR* che con le collaborazioni con top brand mondiali - Converse e Lacoste su tutti.

Il viaggio di Tyler dura da più di dieci anni e durante il 2019 ha trovato la sua più importante consacrazione. Durante quest’anno, a partire dai primi video-teaser in cui il misterioso personaggio di IGOR è comparso con prepotenza sugli schermi di tutti, è stato immediatamente chiaro che il collegamento tra musica e senso estetico si era fatto più forte che mai. Un filo rosso che è sempre stato presente, in virtù anche della sinestesia di Tyler, “malattia” che, detto in modo spicciolo, fa si che si visualizzino i suoni sotto forma di colori; una patologia comune a molti creativi, tra cui quel Pharrell Williams che lo stesso Tyler ha indicato sempre come sua più grande fonte di ispirazione. I suoni dell’ultimo album di Tyler sono pochi e ben distinti, utilizzati in varie forme e misure all’interno di tutti i brani del disco. Gli attori principali sono bassi e synth dalla pasta analogica, sgranati e quasi totalizzanti nel coprire lo spettro sonoro; arrangiamenti vocali onirici a metà tra rap e cantato; pianoforte ovunque; batterie anche queste analogiche, lontane dai micidiali bassi 808 della trap. Essendo composto da pochi suoni il disco suona come un blocco unico di colore. È estremamente vivido e creativo, esattamente come tutto l’apparato estetico che ha accompagnato e seguito il lavoro. Il costume di Igor è il perfetto complemento alla musica, insieme  formano una combo geniale a livello di immaginario. Tyler è riuscito a trascinarci definitivamente nel suo mondo, concentrandosi in uno sforzo di sintesi estetico-sonora che ha messo a fuoco elementi già presenti nella sua arte in modo più comprensibile e “pop” - uno dei motivi per cui in molti hanno criticato la recente nomination ai Grammy nella categoria “miglior album rap”. Ha funzionato talmente bene che al di là di tutti i riconoscimenti tributatigli quest’anno (ultimo in ordine temporale il premio di “Music Innovator 2019” da parte del The Wall Street Journal) oggi è impossibile pensare a lui senza associarlo a quell’estetica così precisa, ai colori pastello, alla voce profonda, a quel folle caschetto biondo. È come se fosse riuscito a rendere tutti i suoi fan sinestetici - sentiamo la sua musica e pensiamo ai “suoi” colori e viceversa. 

Questo sforzo creativo sembra essere stato funzionale su due piani apparentemente agli antipodi: in virtù di un successo libero da contratti o partnership vincolanti, da un punto di vista creativo oggi Tyler è forse più libero che mai; allo stesso tempo ha affinato un processo di “brandizzazione” della sua estetica tale da renderlo immediatamente riconoscibile, arrivando a possedere una sorta di tocco da re Mida: ogni collezione o collaborazione da lui curata è un sicuro successo. In passato ha giocato un ruolo di primo piano nella rinascita di Vans e nell’esplosione di Supreme: ha contribuito all’espansione di Vans nel mondo urban ed hip-hop, trascinandola fuori da un periodo di stanca e dall’esclusivo culto della skate culture; Supreme è passato da essere un brand per pochi eletti che conoscevano il piccolo negozio di James Jebbia a l’epitome del moderno concetto di “hype culture”. Allo stesso modo oggi i numeri parlano di una Converse pre e post Tyler e di un importante riposizionamento del brand Lacoste anche grazie alla collezione da lui curata qualche mese fa. La sua caratteristica estetica colorata e “pulita” è oggi vicina a modelli classici e più adulti rispetto al look da eterno skater adolescente con cui è diventato famoso. Completi colorati, motivi floreali e scelte cromatiche sembrano attingere a piene mani da un’estetica (molto “bianca”) prettamente anni ’60 - cosa perfettamente coerente anche con il suono della sua musica più recente. 

Questo successo è anche causa ed effetto di un momento storico di grande ridefinizione della mascolinità afro-americana, processo all’interno del cui lo stesso Tyler ha giocato fin dai suoi esordi un ruolo di primo piano. Lui e molti dei suoi più frequenti collaboratori ed amici come A$AP Rocky, Jaden Smith, Steve Lacy, Frank Ocean e tutti gli ex compagni Odd Future partendo dalla musica hanno abbattuto sempre di più (e mai come nel 2019) stereotipi estetici e tabù legati alla sessualità del maschio afro-americano. Con la nuova collezione GOLF le FLEUR* e le già citate collaborazioni, Tyler ha fornito anche nella moda una nuova possibilità di identificazione per quei ragazzi (e ragazze) afro-americani che come lui sono cresciuti non essendo “il massimo della mascolinità, non mi piacevano gli sport, ma il rosa e i colori accesi”. 

GQ si domanda perché, al netto di questo strepitoso successo mondiale, ancora permanga la sensazione che non si stia riconoscendo il giusto riconoscimento al lavoro del ventottenne californiano. Sembra quasi che, nonostante il riconoscimento che gli viene tributato, rimanga in sottofondo una sottile vena di ironia nei confronti del suo personaggio. Prendere completamente sul serio Tyler suscita la stessa sensazione di quando incontriamo un amico che anni addietro era un completo cazzone, di cui conosciamo tutte le nefandezze e le stupidaggini compiute. Non importa che ora sia un rispettato professionista di successo, il nostro sguardo nei suoi confronti sarà sempre filtrato da quella prospettiva. Tyler contribuisce sicuramente a questa sensazione: ci sono momenti, soprattutto quelli più “ufficiali” e noiosi (come interviste o cerimonie) in cui la sua follia originaria torna ad esplodere e riporta indietro nel tempo - ai selvaggi inizi della Odd Future. Ancora più interessante è quanto in realtà Tyler prenda sul serio tantissime cose giudicate superfluee o di lusso da gran parte della società: i vestiti e lo stile prima di tutto, la musica, la cura della persona e determinati aspetti della personalità; tutto è sviscerato in modo così specifico e tecnico da risultare quasi eccessivo. Per lui sono elementi chiave che definiscono la sua vita, la sua arte e il rapporto con le persone che lo circondano. Questa sottile ironia di fondo è anche ciò che gli ha permesso di cavarsela in tutte le situazioni, anche le più spinose: non riusciamo mai a capire quando Tyler, The Creator sia serio o ci stia prendendo in giro: anche questo è parte del suo magnetismo “weird”. 

La domanda più interessante da porsi, arrivati quasi alla fine degli anni dieci del ventunesimo secolo, è forse un’altra: ora cosa succede? 

È chiaro che il 2019 è stato l’anno della consacrazione, al netto delle succitate sensazioni contrastanti. Il fatto è che questa consacrazione è avvenuta al netto del perfezionamento di caratteristiche che Tyler ha esplorato fin dall’inizio della sua carriera. Il risultato è un monolite musicale-estetico, per certi versi polarizzante nei giudizi ma sicuramente impossibile da ignorare - iconico. Muoversi agilmente dopo aver costruito qualcosa di così specifico e “finito” potrebbe non essere facile. Sarà dunque molto interessante capire come Tyler, The Creator deciderà di fare i conti con i risultati conseguiti durante questo 2019 - frutto del lavoro di anni. Forse  vedremo Tyler impegnarsi in qualcosa a cui non avremmo pensato neanche lontanamente; a giudicare dalle recenti interviste e dichiarazioni lui stesso sembra non avere idea di quali saranno le sue prossime mosse. Il mantra però rimane lo stesso dal 2011, quando l’ex adolescente “strano” rivelava in un’intervista quella che ad oggi rimane la chiave del suo successo e il motivo dell’amore sconfinato dei suoi fan: “I Think I’m cool. That’s all that matters.”