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La giostra dei direttori creativi è ripartita

Il momento è eccitante – le implicazioni drammatiche

La giostra dei direttori creativi è ripartita Il momento è eccitante – le implicazioni drammatiche

Nella moda, come nella geopolitica, la stabilità degli esecutivi va di pari passo con la prosperità economica: non si fanno mai soldi quando il potere è vacante o instabile. Nella moda la situazione è ancora più difficile dato che la cattiva salute di un brand si vede sia nel ricambio troppo rapido di direttori creativi che segnala il mancato funzionamento di una certa strategia di mercato. Ora, se cinque anni fa il grande scacchiere della moda era riposava sereno sotto i suoi direttori creativi, oggi, dopo l’addio di Pierpaolo Piccioli a Valentino, l’ennesimo in una lunga sequela di rimescolamenti dirigenziali, il quadro è a dir poco turbolento. E nello spazio di quarantotto ore che hanno separato l’addio di Piccioli al brand dal lunedì mattina successivo i gossip della moda sono esplosi con al centro quello di Alessandro Michele che, secondo Repubblica, avrebbe addirittura già firmato nel corso del weekend e la cui nomina potrebbe giungere in settimana – ma i rumor non erano mai stati confusionari quanto ora dato il gran numero di brand in cerca di un nuovo designer e di un grande reboot. Al momento, i posti vacanti nei brand sono quattro: si cercano nuovi direttori creativi da Valentino, da Dries Van Noten, da Blumarine e Givenchy e, teoricamente, anche da Lanvin ma non pare che il brand ne stia attivamente cercando e dunque non servirà tenerne conto. 

Oggi WWD ha riportato una serie di ipotesi di successione: la più quotata vede Alessandro Michele prendere le redini del brand; per WWD, Piccioli potrebbe andare da Givenchy e, secondo alcuni, anche da Chanel o da Balenciaga (il che implicherebbe un addio di Demna a cui, al momento, è difficile pensare) mentre alcuni si sono messi a dire che Maria Grazia Chiuri potrebbe tornare a Roma rientrando da Valentino o da Fendi ma altre voci, meno fondate ma che dimostrano la fantasia a cui si spingono certe teorie, parlano anche di Michele da Dior anche se è fatto arcinoto agli insider che il designer è molto poco incline a lasciare la propria città. C’è poi la carta jolly di Simone Porte Jacquemus, il cui nome esce sempre fuori quando serve un direttore creativo e che molti vorrebbero vedere all’opera in un brand più grande e storico anche se non pare che il designer abbia manifestato desideri in tal senso. Ora ci sono due letture questa gran confusione: la prima parla di una moda i cui protagonisti sono ormai percepiti come gli attori di una soap opera e in cui dunque ascese e cadute sono seguite come mero intrattenimento e tifoseria un po’ come si fa con i fidanzati delle pop star; la seconda parla invece di un complesso industriale in subbuglio, dove sono iniziati a mancare dei punti di riferimento fissi e in cui, in sostanza, tutto è in preda al caos più totale. La partecipazione con cui il pubblico segue questi rivolgimenti è forse, in modo subconscio, la percezione di un'industria ormai stagnante e anchilosata che può fornire al massimo divertimento con i suoi infiniti drammi; la quantità enorme di rivolgimenti, dalla parte delle aziende, indica invece che anche ai piani alti si sta iniziando a diffondere una certa agitazione che porta l'esecutivo a improvvisare soluzioni approssimative, dettate da una cattiva comprensione del mercato.

@freesami_ Why you’re failing to “start a brand”… #fashion #brands #designer #fashionadvice Space Boy - Manny Laurenko & LUCKI

Il quadro è reso ancora più instabile dalla sovrappopolazione di un mercato su cui sono gettati investitori esteri in una sfrenata corsa all’oro provando a evocare brand morti e sepolti dal regno delle ombre nella speranza di fare qualche profitto o di mettere in piedi un'azienda abbastanza redditiza da essere venduta al prossimo danaroso in cerca di avventure e investimenti: la lungimiranza e la vera imprenditoria sono solo le ultime vittime di un sistema capitalistico il cui ultimo orizzonte è solo il prossimo trimestre. La verità forse è che oggi esiste uno squilibrio naturale tra tutti i brand attivi sul mercato e il potere di spesa complessivo del mercato stesso - è impossibile che ogni brand superi il miliardo in vendite perché il loro guadagno è in realtà la perdita di qualcun altro e dunque, per dirla un po’ brutalmente, o diminuiscono in numero o avviano una fase di stagnante coesistenza che porterà, prima o poi, a un’implosione di qualche tipo. Non di meno, anche per aziende come Trussardi o La Perla la storia non si chiude mai veramente: ci sono sempre nuovi investitori, nuovi rilanci, nuove ere che si aprono. Colate a picco che si protraggono per interi decenni in un accanimento finanziario dove affondano milioni e milioni di capitali – davvero Raf Simons ha fatto bene quando ha chiuso bottega per sempre. Ma, per usare un’altra metafora, le dimensioni della torta rimangono sempre le stesse, più sono gli invitati alla festa però e più la rispettiva fetta di torta si fa sottile – fino al punto in cui nessuno riuscirà più a mangiare o in cui la festa finirà. A meno che, naturalmente, la festa non sia già finita.