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Come funzionano i contratti dei direttori creativi

Clausole, congiure e proprietà intellettuale

Come funzionano i contratti dei direttori creativi Clausole, congiure e proprietà intellettuale

Provare ad addentrarsi all’interno delle clausole dei contratti firmati da brand e direttori creativi pone due problemi di ordine generale: il primo è la (quasi) totale assenza di informazioni rese note dalle aziende stesse - se non per effetti collaterali come controversie portate in tribunale - mentre il secondo riguarda il tecnicismo alla base degli aspetti burocratici e legali sostanziali a qualsiasi forma di contratto. Se sull’addio di Riccardi Tisci da Burberry si possono fare sicuramente speculazioni, diverso è l’obiettivo di ripercorrere case history del passato per cercare di ricostruire un quadro generale quanto più completo possibile. Anche perché, a livello di durata contrattuale, le direzioni creative hanno subito un notevole rimodellamento nel momento in cui lo scenario della moda si è fortemente internazionalizzato. Se i brand indipendenti o non appartenenti a nessun grande gruppo del lusso possono avere un controllo completo sulla direzione creativa, il discorso è diverso per i consigli di amministrazione che si trovano a dover scegliere un nuovo art director o rinnovare un contratto dopo i canonici quattro/cinque anni in media.

Cosa sappiamo, però, sulla retribuzione di un designer a capo della direzione creativa di un brand? Le informazioni, seppur parziali e frammentarie, provengono tutte da una sorta di coatta fuga di dati in relazione alle diverse cause intentate dai designer ai rispettivi brand di appartenenza. Celebre quella che Hedi Slimane aveva mosso nei confronti di Saint Laurent, sostenendo che Kering gli doveva una somma aggiuntiva di circa 10 milioni di euro in considerazione della partecipazione di minoranza pattuita nel contratto. Secondo Bloomberg, Kering «pensava di poter pagare il re dei jeans skinny meno di un milione di dollari per il suo ultimo anno a Saint Laurent» ma «si sbagliava». Schierandosi dalla parte di Slimane nella primavera del 2018, il tribunale ha stabilito che il direttore creativo «è stato sottopagato di ben 9,3 milioni di euro (11,5 milioni di dollari all'epoca) al netto delle tasse per il suo ultimo anno di servizio» portando il suo stipendio annuale - compresa la sua quota di proprietà - a più di 10 milioni di dollari. È stato inoltre rivelato, tramite una sentenza del tribunale, che durante il suo incarico a Saint Laurent, Slimane aveva una clausola contrattuale che «garantiva un compenso al netto delle tasse di almeno 10 milioni di euro all'anno», soprattutto grazie a un accordo per acquistare azioni della società e rivenderle a un prezzo più alto. Nel frattempo, negli Stati Uniti, una causa del 2016 tra Oscar de la Renta e Carolina Herrera, incentrata sull'ex designer senior di Herrera e di Oscar de la Renta, Laura Kim, ha rivelato che la posizione di Kim presso de la Renta prevedeva uno stipendio annuale iniziale di 1 milione di dollari e «l'opportunità di ottenere fino a 300.000 dollari di bonus» secondo il New York Times.


Altra questione è quella di capire cosa possa succedere se stilisti e marchi decidono di separarsi prima della conclusione del contratto. Come riporta The Fashion Law - si citano documenti del tribunale francese - riferendosi alla separazione fra Balenciaga e  Nicolas Ghesquière nel 2013,  il brand ha pagato a Ghesquière «6,6 milioni di euro come risarcimento per aver rotto i suoi ultimi contratti di lavoro firmati nel 2010 e nel 2012». WWD ha rivelato che Ghesquière «se n'è andato anche con 32 milioni di euro per l'acquisto della sua quota del 10% nella società, concessagli quando l'allora Gucci Group acquistò Balenciaga nel 2001». Un altro aspetto da tenere in considerazione è rappresentato dai limiti che vengono abitualmente posti a ciò che i direttori creativi (e non solo) possono o non possono fare una volta terminato il loro mandato, ovvero le clausole di non concorrenza. Queste clausole restrittive, normalmente contenute all’interno dei contratti di lavoro, stabiliscono la velocità con cui un ex-dipendente può iniziare un nuovo lavoro e il tipo di lavoro che può accettare quando lascia un'azienda al fine di evitare la trasmissione di preziose informazioni commerciali segrete come progetti futuri o piani di marketing. Raf Simons, ad esempio, ha dovuto scontare un periodo di non concorrenza di nove mesi prima di completare il suo passaggio da direttore creativo di Christian Dior a Calvin Klein nell'agosto 2016, a causa di un rigido divieto di concorrenza con Dior, come riportato ancora una volta su The Fashion Law. Un anno, dunque, sembra essere la durata approssimativa scelta dai più stimati marchi europei per nominare un nuovo direttore creativo: Nicolas Ghesquière ha assunto la sua posizione presso Louis Vuitton il 4 novembre 2013, un anno e un giorno esatto dopo aver lasciato Balenciaga, mentre Riccardo Tisci ha aspettato poco più di un anno per entrare in Burberry nel marzo 2018 dopo aver lasciato Givenchy nel febbraio 2017. Il tempo necessario che, ammessa l’esistenza di una concorrenza fra Bottega Veneta e Burberry, potrebbe renderlo il potenziale prediletto per un passaggio negli headquarter di Londra. 

Un'ulteriore battaglia legale tra Slimane e Kering fa luce, infine, su un altro elemento importante che viene incluso in quasi tutti i contratti creativi: una dichiarazione esplicita su chi detiene i diritti delle opere create durante il periodo di lavoro. I creativi, in quasi tutti i casi, cedono al marchio i loro diritti sulla produzione e i diritti di proprietà intellettuale ad essa associati. Mentre non sembravano esserci dubbi sulla proprietà di Saint Laurent dei capi e degli accessori disegnati da Hedi Slimane, le parti si sono scontrate sui diritti delle fotografie presenti nell'archivio online di Saint Laurent, molte delle quali scattate da Slimane. Da qui la cancellazione - la fonte è ancora una volta The Fashion Law - su larga scala dell'account Instagram di YSL dopo l'annuncio del successore di Slimane, Anthony Vaccarello. Il divieto di concorrenza e le clausole annesse, in effetti, hanno trovato una crescente applicazione estendendo a dismisura la definizione di concorrente. Ecco perché i contenuti di questi documenti legali, quasi sempre tenuti dietro le quinte, si stanno imponendo all'attenzione del grande pubblico e, pian piano, stanno venendo alla luce sempre più aspetti in merito ai contratti di moda.