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La Gen Z è la generazione più triste di sempre

Anni dopo l’arrivo dei social media, la scienza ne scopre gli effetti

La Gen Z è la generazione più triste di sempre Anni dopo l’arrivo dei social media, la scienza ne scopre gli effetti

Per la prima volta dall’avvento degli smartphone e dei social media, siamo in grado di osservare gli effetti di “una vita al telefono”. Del resto, la Gen Z - nata tra il 1996 e il 2005 - è entrata da poco a far parte della forza lavoro, perciò risulta utile anche ai governi capire il loro stato mentale e di benessere. I dati sono sconcertanti: dopo dodici anni in cui i ragazzi tra i 15 e i 24 anni erano stati ritenuti più felici rispetto alle generazioni precedenti, negli ultimi anni la tendenza si è invertita, con il tasso di depressione tra i più piccoli aumentato di oltre il 50% tra il 2010 e il 2019 in Nord America e in Europa Occidentale. Nonostante il World Happiness Report 2024 includa, tra le cause dello spiccato tasso di depressione tra i giovani, anche le disuguaglianze di reddito, il caro affitti e una paura generalizzata per i cambiamenti climatici e le guerre, dottori e psicologi da ogni angolo del mondo stanno chiedendo alle istituzioni e ai governi internazionali di agire immediatamente per regolamentare l’uso degli smartphone tra i giovani. La colpa, secondo gli esperti, non è quindi dei social network, ma di chi non li ha controllati adeguatamente. 

Secondo Vivek Murthy, chirurgo generale statunitense, i giovani stanno affrontando livelli di depressione paragonabili a quelli che si affrontano durante «una crisi di mezza età». L’affermazione di Murthy è supportata anche dal World Happiness Report, che per la prima volta in anni ha rimosso gli States dalla lista dei venti paesi più felici al mondo dimostrando «cali sconcertanti [nella felicità dei giovani] soprattutto in Nord America e in Europa occidentale». Secondo Jonathan Haidt, socio-psicologo alla NYU, non è un caso che i livelli di solitudine e di mancanza di amicizie tra gli adolescenti americani abbiano iniziato ad aumentare intorno al 2012. In un articolo per The Atlantic, Haidt scrive che la Gen Z ha una vita sociale e sessuale meno attiva delle precedenti ed è più timida, meno propensa al rischio e di conseguenza meno ambiziosa. Per lo psicologo, l’adolescenza e l’infanzia sono cambiate drasticamente dall’avvento degli smartphone, e aggiunge che «la nuova phone-based childhood che ha preso forma circa dodici anni fa sta facendo ammalare i giovani e sta bloccando il loro cammino verso la prosperità nell'età adulta. Abbiamo bisogno di una drastica correzione culturale, e ne abbiamo bisogno ora». 

Alla fetta più adulta della Gen Z risulta difficile ricordare com’era la vita prima dei social media, come funzionavano le relazioni (persino quelle a distanza), come si faceva gossip, come si scoprivano le notizie e come si celebravano i successi senza la ricompensa di un like. Non poteva aspettarsi, momenti dopo il loro arrivo sugli schermi, che i social media avrebbero rivoluzionato le interazioni umane tanto da riscriverne le regole, che li avrebbero resi sempre più “connessi” e “attivi” nell’universo digitale, ma sempre meno presenti in quello reale - non a caso, la chiamano la generazione “chronically online”. Avrebbero potuto capirlo quando su Instagram sono rispuntati i vinili, le macchine fotografiche analogiche e i filtri “vintage”, ma neanche nel periodo della pandemia, obbligati all’isolamento, è riuscita a lasciar perdere lo schermo, anzi: si è tuffata a capofitto su TikTok, una nuova piattaforma ancora più dinamica e coinvolgente. In un simpatico quadro socio-politico tempestato da guerre e crisi economiche al seguito, per la Gen Z arriva adesso una figurativa “mazzata” da parte della scienza, e finalmente, la Gen X e i Boomer che hanno accudito gli Zoomer fino alla maggiore età hanno la conferma che «quei maledetti telefoni» sono stati la causa principale dei mali che li affliggono. Ma la colpa, come spesso capita quando si tratta dei giovani, è ancora una volta degli adulti che li hanno cresciuti.