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Perché i social non riescono a trovare una soluzione al plagio?

Copiare i meme degli altri è diventato un lavoro

Perché i social non riescono a trovare una soluzione al plagio? Copiare i meme degli altri è diventato un lavoro

Di fronte all’enorme quantità di contenuti pubblicati ogni giorno online, sempre più creator si sentono giustificati a copiare il lavoro di altri, consapevoli del fatto che potrebbero ottenere numerose view senza che nessuno si accorga del plagio. Questa tendenza è rafforzata dalla concreta possibilità di generare profitti grazie ai propri contenuti sui social media, ma con il minore sforzo possibile. La pratica è seguita soprattutto da chi si affida alle somme che i singoli social media elargiscono ai creator per i loro contenuti, spesso proporzionali al numero di visualizzazioni e alle inserzioni pubblicitarie. In questo caso fa la differenza ideare e pubblicare costantemente nuovi contenuti, cosa che spesso comporta il fatto di non preoccuparsi se ci si sta muovendo in modo etico. Le dinamiche dei social media generano molta pressione sul processo creativo, che come tale è fatto di alti, bassi o momenti di discontinuità. A farci caso è stato lo stesso funzionamento dei social ad avere sdoganato i plagi, incentivandoli. Ne sono un esempio le challenge, in cui gli utenti si filmano mentre eseguono un'attività che ha già proposto qualcun altro prima di loro, rendendo poi virale il processo – è il caso, ad esempio, delle coreografie su TikTok o della stessa “Ice Bucket Challenge” di circa dieci anni fa.

 

Perché sui social il riciclo dei contenuti funziona

In termini puramente legali, è raro che qualcuno venga accusato di plagio e debba rispondere della cosa di fronte in un tribunale, anche perché il concetto di proprietà intellettuale in giurisprudenza è molto sfumato. A prescindere dalla legalità della pratica, quello dei contenuti online è un ambito sempre più ampio e profittevole – per questo molti creator provano a emergere, copiando i contenuti altrui. Diffondere, senza citare la fonte, le idee e il lavoro di altri creator però danneggia l’intero ecosistema social, contribuendo alla presenza di contenuti di minor qualità rispetto agli originali – cosa che da un lato scredita il settore, e dell’altro allontana gli utenti. Per cercare di arginare il problema lo scorso anno TikTok aveva introdotto una funzionalità che offre la possibilità di citare i creator da cui ci si è ispirati. Eppure in Italia questo tema non è mai realmente emerso, anche se la pratica di riprendere contenuti sviluppati da creator stranieri e tradurli spacciandoli per propri è molto diffusa – più che altro perché è raro che qualcuno se ne accorga, dato che in pochi fruiscono contenuti in inglese. Riprendere un’idea o un format che ha già funzionato all’estero è infatti un modo per assicurarsi visualizzazioni, senza dover investire tempo e risorse nel farsi venire un’idea originale.

 

Il caso di YouTube

Lo scorso anno il content creator Harry Brewis aveva pubblicato un lungo approfondimento sull’entità del fenomeno del plagio su YouTube. Titolato “Plagiarism and You(Tube)”, il video elenca vari casi, tra cui quello di uno youtuber che qualche anno fa fu accusato di aver riutilizzato una sua stessa recensione di un videogioco, modificando semplicemente il soggetto in questione. Ma “Plagiarism and You(Tube)”, che è circolato moltissimo, si concentra soprattutto sul caso di James Somerton, uno youtuber molto noto che pubblica soprattutto video a temi storici. In alcuni casi le sue clip riprendevano, parola per parola, intere frasi da fonti che poi non venivano citate, spesso realizzate da altri creator meno famosi. Dopo l’accusa Somerton perse circa 50mila follower, e la sua reputazione fu così colpita che decise di non proporre più il piano di abbonamenti ai suoi contenuti, chiudendo il profilo su Patreon.