Vedi tutti

Come i Block Party hanno inventato l'Hip Hop

Dal South Bronx al centro di Milano

Come i Block Party hanno inventato l'Hip Hop Dal South Bronx al centro di Milano

Secondo il New York Times, era il 7 maggio 1945, quando si diffuse la notizia che la Germania si era ritirata dalla Seconda Guerra Mondiale e il sindaco di New York, Fiorello Henry La Guardia, dovette chiedere con veemenza ai cittadini di tornare a casa o al lavoro dopo che era scoppiata una festa di quartiere a Times Square: era il primo grande block party della storia. Una forma di celebrazione tipicamente newyorkese, diventata un topos noto nella cultura delle periferie americane e pietra miliare dell’hip hop, che, dalle vie del South Bronx il 18 giugno arriva a Milano, con adidas Originals x Foot Locker in occasione della nuova release di The new adidas Forum Basketball. Ma cos'è esattamente un block party e come si lega al fenomeno hip hop?

Sebbene le feste di quartiere possano sembrare un concetto moderno, riconducibili in parte alla nascita stessa del termine ‘quartiere’, alcuni dei primi esempi di questi ‘raduni’ risalgono all'inizio del XX secolo. Dalle riunioni per commemorare i residenti che erano andati a combattere nella prima guerra mondiale nel 1918, alle feste del blocco che hanno dato origine al rap e al moderno concetto di DJing, la storia dei parti di quartieri abusivi è difficile da tracciare. A metà degli anni '70, un adolescente di periferia, Joseph Saddler, detto Grandmaster Flash, ebbe un'idea: per prolungare i ritmi dei dischi che gli piacevano di più, iniziò a far saltare la puntina sul vinile, a usare due giradischi contemporaneamente, a cambiare in continuazione i canali di un mixer. Nello stesso periodo un altro ragazzo del South Bronx, Theodore Livingston, detto Grand Wizard Theodore, fermò casualmente il disco con la mano e ottenne uno skid dissonante. Con questi elementi, i DJ del Bronx, spesso usando l'elettricità sottratta illegalmente dai lampioni della città, diedero al giradischi un nuovo uso come strumento: era nato il Djing. Non c’era più bisogno di chitarre e batterie costose, bastava manipolare beat pre-esistenti, distruggendo volontariamente la superficie dei loro dischi: i Run-DMC - il gruppo di Hollis, Queens - avrebbe detto più tardi: “A ogni jam che facciamo, rompiamo due aghi".

Per quanto riguarda l’affluenza, tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, la mobilità era ostacolata dai problemi tra gang, con bande rivali come i Ghetto Brothers, i Savage Skulls e i Black Spades che gestivano i rispettivi quartieri impedendo l'aggregazione. Alla fine del 1971, tuttavia, una tregua - l'Hoe Avenue Peace Meeting - distrusse le barriere tra gli isolati e diede il via alle feste miste. Da un lato il funk latino dei nazionalisti portoricani Ghetto Brothers dall’altro i Black Spades, che, sotto l'influenza del leader della divisione e DJ Afrika Bambaata, si trasformarono nella Universal Zulu Nation. Una figura chiave emersa in questo contesto fu Clive Campbell, alias DJ Kool Herc, adolescente giamaicano che iniziò la sua carriera organizzando feste di fine anno al liceo. Campbell, appassionato di funk e soul, ha dato vita ad un concetto alla base dell'hip-hop, il "break", l'isolamento di un segmento percussivo all'interno di un brano e la sua ripetizione. Presto le sue feste, passate a rappare con il suo amico Coco (Coke La Rock), ispirarono i Dj rivali e la musica dei block party divenne avanguardia e sperimentazione, un campo giochi per la gioventù dei quartieri dei sobborghi lontana da qualsiasi giurisdizione, capace di riunire una comunità multiculturale con feste di quartiere, jam nei centri giovanili o nei cortili delle scuole.

La cultura hip-hop di New York fu graziata dal blackout nella notte del 13-14 luglio 1977, che lasciò la maggior parte della città al buio, una notte di saccheggi nei negozi di elettronica fu il catalizzatore della successiva esplosione culturale. 
Nel 1979, una versione di questo sound da festa avrebbe trovato la sua strada nel vinile. Lo status di pioniere è una scarsa ricompensa per alcuni creatori dimenticati che hanno gettato i semi di quella che oggi è un'industria multimiliardaria, ma, come scrisse Gary Warnett sul Mr Porter Journal, “quelle sessioni al chiaro di luna hanno modificato la musica per sempre”.