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Cosa sta succedendo alle edicole di Milano?

E perché l’intera editoria italiana è in crisi

Cosa sta succedendo alle edicole di Milano? E perché l’intera editoria italiana è in crisi

Le strade di Milano stanno subendo una trasformazione, in questi giorni, che potrebbe cambiare il volto della città: sette edicole verranno rimosse nelle prossime settimane, come annunciato di recente dal Comune. La demolizione della prima di esse, situata in viale Molise 46, è avvenuta il 1° febbraio, mentre altre seguiranno entro marzo, includendo dei punti storici per la vita dei rispettivi quartieri sparsi per diverse zone della città, come via Baroni 11, via Sant'Ampellio 3, e via Nono Luigi, solo per citarne alcune. Questa notizia non è isolata, ma piuttosto si inserisce in un quadro più ampio di crisi che ha colpito le edicole milanesi e, più in generale, l'editoria italiana in una sorta  di trickle-down effect. Negli ultimi quattro anni, secondo MilanoToday, nel solo territorio della città metropolitana di Milano, sono state chiuse ben 129 edicole, un fenomeno in linea con la tendenza nazionale che ha visto la scomparsa di quasi 2.700 di queste attività in tutto il Paese – tanto che in certi casi (i più sentimentali, oseremmo dire) alcuni imprenditori della moda sono intervenuti per “salvare” certe edicole come fecero nel 2012 Dolce&Gabbana con l’edicola di Corso Venezia a Milano o, più di recente, Patrizio Bertelli con l’edicola di Piazza San Jacopo ad Arezzo o lo stesso nss magazine che ha salvato l’edicola di Piazza San Pasquale a Napoli trasformandola in un hub di attivazioni del progetto J’Adore Napoli oltre che in un’edicola vera e propria dove acquistare libri e giornali.

I dati raccolti da Unioncamere-InfoCamere utilizzando il registro delle imprese evidenziano una riduzione del 16% delle edicole in tutto il territorio nazionale, con un calo che arriva addirittura al 18% se si considerano solo le ditte individuali. Questo fenomeno non riguarda solo Milano ma investe diverse regioni italiane, con perdite particolarmente significative registrate in Lombardia, Piemonte e Friuli-Venezia Giulia. Dati che evidenziano una serie di sfide strutturali che le edicole stanno affrontando, tra cui i costi elevati degli affitti e dei pagamenti relativi all’occupazione di suolo pubblico e la crescente crisi del settore della stampa dovuta all'ascesa dei media digitali. Tuttavia, non tutto è perduto per le edicole. Recenti annunci riguardano l'introduzione del Bonus Edicole, un'iniziativa pensata per sostenere economicamente queste attività. Secondo quanto riportato dall'Agenzia delle Entrate, il bonus può arrivare fino a 2.000 euro, salendo a 3.000 euro per i punti vendita esclusivi situati nelle aree interne. Questo sostegno è concesso a fronte di determinate attività svolte nel periodo tra gennaio e dicembre 2023, come la consegna a domicilio di giornali, l'apertura domenicale e la fornitura di pubblicazioni agli esercizi commerciali limitrofi. Questo intervento potrebbe rappresentare un primo aiuto contro il declino delle edicole, che però ha le sue radici nel declino generale dell'editoria in una spirale discendente dovuta sia a una malriuscita transizione verso il digitale, sia alla crescente faziosità della stampa che ha portato anche i giornalisti dei quotidiani a perdere in autorevolezza, oggettività e fiducia per il pubblico portando anche alla chiusura di diverse pubblicazioni come quelle di Cairo Editore che dopo una «perdita di oltre 15 milioni di euro negli ultimi 10 anni» ha interrotto la pubblicazione di Airone, For Men, In Viaggio, Bell’Europa e Antiquariato l’anno scorso. 

I problemi dell'editoria italiana

Oltre al caso di Cairo, come si legge su Il Fatto Quotidiano, l’anno appena trascorso non è stato roseo per il mondo della carta stampata. L’enorme RCS Mediagroup, ad esempio, ha perso 130, 6 milioni di euro dal 2018 al 2022 con un calo del fatturato del 13,4%. Nel 2023, la società Edime, editrice de La Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, ad esempio, ha chiuso tutte le redazioni provinciali, lasciando oltre 70 giornalisti e poligrafici in cassa integrazione fino a dicembre e di recente il comitato di redazione di Repubblica ha espresso preoccupazione per la situazione del giornale, evidenziando perdite continue di copie e abbonamenti, nonché una mancanza di chiara strategia nel settore digitale che ha anche portato a uno sciopero dello staff editoriale. Questi eventi sono solo la punta dell'iceberg di una crisi più ampia che coinvolge l'intera industria dell'editoria in Italia e nel mondo – basti pensare ai tracolli di Vice Media e BuzzFeed News, ad esempio, o al totale caos che sta scuotendo Condè Nast che ha portato anche il The Atlantic a parlare di un «News-Media Meltdown». Nel corso degli ultimi cinque anni, le vendite dei quotidiani italiani in edicola sono diminuite di oltre 900.000 copie, mentre gli abbonamenti cartacei hanno subito un crollo del 57%. Sul fronte digitale, sebbene le vendite siano aumentate leggermente, la concorrenza dei prezzi ha messo sotto pressione il settore, senza frenarne il declino complessivo. Al di là delle cifre, emerge un quadro di precarietà anche per i giornalisti, con il contratto nazionale della categoria scaduto ormai da oltre sette anni, portando ad una perdita significativa del potere di acquisto per i professionisti del settore. 

Ma, come si diceva, il pubblico vive con razionalità questa crisi: un recente sondaggio di Termometro Politico ha evidenziato quanto il pubblico sia disincantato verso i media a stampa. Senza voler riportarlo per intero, tra chi dice che il processo è naturale, chi dice che è colpa di Internet e chi invece parla di scarsa qualità dei giornali, il 33,7% degli intervistati dice che la crisi è nata «soprattutto per la faziosità e l’incompetenza dei giornalisti, è positivo che perdano lettori e che ognuno oggi possa informarsi in modo più diretto». Il che però non è colpa dei giornalisti ma degli editori che hanno stabilito come benchmark di successo di una pubblicazione le vendite e il traffico online, spingendo i giornalisti a inseguire le notizie più acchiappa-click, anche usando titoli fuorvianti o fissandosi su argomenti particolarmente controversi, per il solo motivo di alimentare il traffico. Perché le prime riviste di moda del paese spendono tante parole sugli outfit dei reali inglesi? Perché il numero di gente che clicca su quegli articoli sarà sempre superiore a quello su un’intervista con un grande scrittore o un grande artista (non aiuta che anche queste grandi figure si siano svendute commercializzando prodotti beauty come Brad Pitt o Marina Abramovich) portando a una situazione in cui le pubblicazioni stesse sono incatenate ai gusti del pubblico in una specie di inconsapevole patto suicida che porta a un continuo abbassamento del tono dei contenuti e una conseguente perdita di fiducia del pubblico. Come diceva Hugo: «Ceci tuera cela».