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Gianluca Grignani è l’icona italo-grunge di cui non parliamo abbastanza

Il popolo di TikTok ha appena cominciato a scoprire i suoi vecchi clip

Gianluca Grignani è l’icona italo-grunge di cui non parliamo abbastanza Il popolo di TikTok ha appena cominciato a scoprire i suoi vecchi clip

Scorrendo l’infinito feed di TikTok, potreste imbattervi nella pagina relativa al tag #gianlucagrignani scoprendo che sfiora i sessanta milioni di visualizzazioni. Un risultato che, Vasco Rossi ed Eros Ramazzotti a parte, supera di gran lunga quello dei suoi altri “colleghi” della stessa generazione. La pagina che raccoglie tutti i contenuti relativi al cantante su TikTok è dedicata per la stragrande maggioranza alla sua giovinezza, forse il periodo più importante della sua carriera, e specialmente a un clip tratto da una puntata di Non è la Rai del 1995 in cui un Grignani di circa ventitrè anni canta La mia storia tra le dita. Secondo classificato tra i video più visti su TikTok è la partecipazione di Grignani al Festival di Sanremo dello stesso anno con Destinazione Paradiso, ancora oggi una delle sue tracce più celebri. In quell’epoca si era andato stabilendo il suo linguaggio visivo che era basato tanto su musica e voce che sulla persona fisica del cantante, con i suoi abiti un po’ teenage dirtbag e l’aria romantica da rocker introverso. Di più: nel panorama musicale italiano, Grignani era stato capace di mescolare il rock popolare con un appeal da teen idol/poster boy che si esprimeva abbondantemente sulle pagine di Cioè insieme a comprimari come Nek, Eros Ramazzotti, Alex Britti, Kim Rossi Stuart, Andrea Pezzi e i Gemelli Diversi. 

@atlaskane0 Un giovanissimo Gianluca ospite a non è la Rai 1995 la mia storia fra le dita #trash #anni90 #mediaset #amore Shakira: Bzrp Music Sessions, Vol. 53 - Bizarrap & Shakira

Di tutti i nomi che abbiamo appena citato, però, Grignani era l’unico (insieme anche a Raz Degan ed Enrico Silvestrin) ad avere un look davvero distintivo, l’unico a tenere i capelli lunghi e l’unico a coltivare una specie di trasandatezza da ragazzo di strada a cui il resto preferiva una patina più “beneducata”. Non a caso fu anche l'unico (o comunque più eclatante) caso in cui un cantante di successo tra i giovani traslocasse dalla musica al cinema recitando in Branchie, adattamento del 1999 dell'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti su una coppia di teenager spezzata da una malattia terminale in pieno stile Love Story o Colpa delle Stelle. Riguardando quei video adesso, però, e leggendo le centinaia di commenti di utenti che si meravigliano di fronte all’avvenenza fisica del cantante, è impossibile non notare che quel fascino un po’ efebico e maudit emerge, oltre che dai connotati di Grignani, soprattutto dal suo stile personale: i lunghi capelli mori spesso ravviati sopra la testa, il maglione oversize a righe indossato sulla pelle nuda che rievoca immediatamente Kurt Cobain, i pantaloni leggermente troppo larghi, le sneaker nere. Non è difficile capire il motivo per cui le ragazze in studio ne seguissero i movimenti estasiate, ma è forse meno ovvio notare come quell’outfit, e vari altri successivi di cui abbiamo traccia, siano indebitati proprio con quel grunge di cui Kurt Cobain fu il massimo esponente e la band Green River gli iniziatori. Un poster pubblicato più di due decenni fa da Cioè sembrerebbe dimostrare questa ascendenza: nella foto si vede Grignani a torso nudo con indosso un paio di jeans sbottonati e due ali finte da angelo. Le finte ali da angelo sono uno dei prop più iconici (e malinconici) proprio di Kurt Cobain del periodo dell’album In Utero – e da lì sono rimaste nell’immaginario pop-rock da Romeo + Juliet fino alla recentissima Euphoria.

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Ma andando a scavare tra le (poche) vecchie foto che circolano ancora di lui su Internet, per lo più vecchi poster ed editoriali di Cioè o di TV Sorrisi e Canzoni, colpisce notare come Grignani tendesse a farsi sempre fotografare non con abiti eleganti o con sportswear colorato come era tipico all’epoca, ma con una combo di denim, camicie rigorosamente sbottonate, maglie Henley e vecchie adidas che oggi raccoglierebbero una quantità spropositata di like su pagine come @uniformdisplay. Lo stile è indefinibile perché non ricade davvero in una categoria estetica, ma soprattutto perché non vuole ricaderci – non c’è studio dietro questi outfit, ed è proprio questo che li rende sia così sinceri sia così affini a quel guardaroba grunge che fino a pochi anni prima (e con molta più vivacità) i Nirvana, gli Alice In Chains e i Soundgarden avevano messo a punto. Se lo stile di Grignani è passato per lo più inosservato nei decenni, è perché a quell’epoca in Italia nessun cantante si vestiva particolarmente bene – anzi, si vestivano più o meno tutti come anonimi everyman. Di tutti i suoi colleghi, poi, Grignani è anche quello che ha mantenuto quello stile rock anche nella sua maturità laddove altri hanno finito per imborghesirsi e adottare il classico vibe business casual dei cantautori italiani che arrivano alla mezza età. Dovremmo dunque considerare Grignani l’icona di un nostrano grunge brianzolo? Forse, forse no. Ma di quella puntata di Non è la Rai chi si dimentica?