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Cosa succede ad un abito dopo gli Oscar?

L'iter completo di un capo, dalla passerella all'archivio

Cosa succede ad un abito dopo gli Oscar? L'iter completo di un capo, dalla passerella all'archivio

Gli Academy Awards sono l’evento più importante della Haute Couture, forse più della settimane della moda attraverso cui gli abiti vengono presentati. Come nel caso del Met Gala, durante il red carpet più atteso dell’anno i capi ricevono la stessa dettagliata ispezione dei film in gara, fotografati, votati e giudicati per i giorni a seguire sui media di tutto il mondo. Ma, tra abiti dallo strascico chilometrico e dettagli eccentrici, che fine fanno gli abiti d’alta moda una volta indossati agli eventi mondani? Difficilmente troveremo Grimes con l’armatura d’acciaio e la spada firmata MISCHEF a fare la spesa a Los Angeles e allo stesso tempo è improbabile che Jada Pinkett Smith abbia voglia di rimettere il suo ingombrante Glenn Martens Couture dopo aver commentato in camera che indossarlo è stato uno ‘sforzo fisico’. Qual è dunque il destino degli abiti d’alta moda fuori dalle passerelle? Un iter pieno di interruzioni, incidenti, imprevisti dettati dalle contingenze, che cambia di molto in base all’azienda, dato che quelle più grandi hanno i mezzi per replicare il campionario, destinandone uno alla vendita e un altro alla stampa o dislocandoli su aree geografiche diverse, mentre le realtà più piccole si devono accontentare di una sola collezione e sperare che non si perda in una spedizione DHL.

Al vaglio dei buyer: la campagna vendite

Il primo passo nel lungo pellegrinaggio che gli abiti di campionario subiscono è la campagna vendite, che dura circa tre settimane. Appena scesi dalla passerella, i vestiti vengono impacchettati e portati in uno showroom commerciale allestito per i buyer. La maggior parte dei compratori, specialmente quelli asiatici e americani, saltano solitamente le sfilate di Milano e seguono soltanto Parigi, per alcuni brand è necessario dunque allestire uno showroom in Italia, poi in Francia e poi di nuovo a Milano per far visionare il campionario a tutti i possibili compratori. Alla fine solo i capi che hanno superato la soglia minima di ordini vengono mandati in produzione, solo circa il 30% di quanto mostrato in passerella, mentre gli altri, particolarmente scenografici, sono pensati esclusivamente per le passerelle e diventeranno successivamente pezzi d’archivio della Maison. È il caso di Jean Paul Gaultier, Mugler, Galliano, Schiaparelli, di quegli stilisti che nel tempo hanno elaborato abiti talmente scenografici da venire scelti ciclicamente dalle celebrity nel corso degli anni, come è stato per il Butterfly Dress firmato Thierry Mugler, disegnato Jerry Hall nel 1997 e ripreso nei decenni a venire da Jennifer Lopez nel 1998, Beyoncé nel 2008, Irina Shayk nel 2021. 

 

Questione di marketing: tra celebrity ed influencer 

Dopo i buyer, è il turno di celebrity ed influencer. L’arduo compito di gestire i frenetici spostamenti da un continente all’altro degli abiti destinati a riviste e talent è affidato all’ufficio stampa dell’azienda di moda e ai PR delle agenzie di comunicazione, che non solo stabiliscono a chi prestare i vestiti e con quale priorità, ma devono anche sapere in ogni istante dove si trovano, poiché responsabili, insieme agli stylist, di eventuali danni. A volte gli uffici stampa ricevono le richieste di un look ben preciso, altre volte viene mandata una lista di più outfit tra cui scegliere in base alle disponibilità. A questa intricata gestione, si aggiunge il discorso celebrity e influencer. Ad alcuni personaggi famosi è riservato l’onore di indossare degli abiti persino prima che vadano in produzione, come per l’attrice Ariana DeBose, che ai Costume Designers Guild Awards ha indossato un abito di Moschino, sfoggiato in passerella da Bella Hadid pochi giorni prima a Milano. Agli influencer, invece, i capi vengono prestati mesi dopo, in concomitanza alla release delle collezioni dei negozi, in una campagna marketing a colpi di post per invogliare gli utenti a comprare, abiti più sportivi, quotidiani e low-end rispetto a quelli dei red carpet perché più accessibili ai compratori. Il ciclo di vita del campionario è dunque estremamente lungo: si divide in stagione lunga, in cui le riviste scattano i servizi per l’autunno-inverno, e  stagione corta, la primavera-estate, quando gli influencer postano i vestiti sui social e le collezioni arrivano nei retail.

 

Quando un abito diventa d’archivio

Molti mesi dopo la sfilata quasi tutti gli abiti tornano al punto di partenza, in sede. Da qui alcuni finiscono nelle svendite interne destinate a dipendenti, giornalisti ed addetti al settore, altri finiscono negli outlet. I grandi marchi in genere ripongono il campionario in magazzino o in archivio e da qui alcuni capi vengono presi in prestito per realizzare film o progetti artistici, come nel caso del film Spencer, in cui la costumista Jacqueline Durran ha pescato dai cataloghi di Chanel per replicare gli iconici outfit di Lady D. Gli archivi sono inoltre la fonte principale per le mostre degli stilisti più quotati, dal Musée Yves Saint Laurent Paris che ospita l’esposizione permanente dello stilista omonimo, sino alla mostra temporanea dedicata a Thierry Mugler al Museo delle arti decorative di Parigi. Questo è il processo attraverso cui, con un po’ di fortuna, un abito dalle passerelle passa alla storia.