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Un’idea di bellezza radicale: il design secondo Gufram

Dagli anni '60 fino a Asap Rocky, abbiamo parlato con Charley Vezza del presente e futuro di Gufram

Un’idea di bellezza radicale: il design secondo Gufram  Dagli anni '60 fino a Asap Rocky, abbiamo parlato con Charley Vezza del presente e futuro di Gufram

“La cosa che mi incuriosisce, però, è che in italiano la parola “radicale” sia così assonante alla parola “radice”, come se per produrre un grande sconvolgimento fosse necessario sempre avere i piedi ben piantati a terra”. 

Ragiona così Charley Vezza oggi Global Creative Orchestrator di Gufram, uno dei brand che hanno segnato la stagione d’oro del design italiano e che oggi sta tornando ad essere un oggetto del desiderio per esteti di tutto il mondo. Dal Pratone progettato dai designer italiani Giorgio Ceretti, Pietro Derossi, Riccardo Rosso nel 1971 e riproposto in versione gigante in piazza San Fedele a Milano durante l’ultima Design Week fino al Cactus comparso sui feed di A$AP Rocky e Travis Scott, l’estetica di Gufram è rimasta attuale nella sua radicalità anche in un momento storico dove il design ha perso la sua carica di avanguardia culturale e i trend bruciano i movimenti prima che si sviluppino concretamente. 

Quella di Gufram è un’idea di mondo e di bellezza che dagli anni ’60 grazie all’incontro con la POP-ART, la rivoluzione nei materiali - in particolare del poliuretano espanso - ha puntato a sconvolgere un’idea funzionale e piatta del design. A distanza di mezzo secolo, Vezza sostiene “che la funzione del design – intesa come creare oggetti che semplifichino la vita delle persone – sia rimasta la stessa. Ma credo che questo riguardi tendenzialmente gli altri. Nel caso di Gufram l’unico bisogno che soddisfiamo è da sempre la bellezza, che non è utile ma è fondamentale.

Negli anni ’70 il movimento del design radicale che raggiunse il suo apice nel 1972 grazie alla mostra dedicata al design italiano intitolata "Italy: The New Domestic Landscape" curata da Emilio Ambasz allestita al MOMA ebbe un valore politico dirompente che influenzò non solo l’industria ma l’arte e la politica. Il Pratone - ad esempio - invitando l’utilizzatore a trovare la sua seduta in mezzo morbidi filoni d’erba in poliuretano espando, era una critica al salotto borghese e alle sue etichette perbeniste, allo stesso tempo l’iconico divano Bocca - progettato dallo Studio65 e ispirato al volto di Mae West di Dalì e alle iconiche labbra rosse delle dive hollywoodiane - era una provocazione che evocava la sessualità femminile ed è diventato un’icona estetica globale comparendo nei tour di Beyoncé, negli scatti di David Lachapelle oltre che nei magazine e musei di mezzo mondo. 

Gestire il presente e il futuro di un brand di design con un passato così ingombrante non è un compito facile, soprattutto quando si oscilla tra il collezionismo e lo tsunami dell’hype. Oggi il brand è riuscito a rimanere fedele alla sua estetica e a surfare contemporaneamente le nuove nicchie di mercato come quella dei collectibles con la collezione Guframini che riprongono i pezzi che hanno fatto la storia del design su scala ridotta. L’estetica del design radicale ha infatti mantenuto il suo fascino pop grazie anche ad una dosata gestione dell’archivio, il cui rapporto secondo Vezza “serve ad indicare la direzione ma non a tracciare la strada”, una lezione interessante per i brand di moda che oggi hanno riscoperto le potenzialità dell’archivio ma ancora stanno sperimentando il suo utilizzo pratico.

Una visione perfettamente sintetizzata nella serie Broken Mirror realizzata in collaborazione con il duo creativo newyorkese di Alex Mustonen e Daniel Arsham, anima e mente di Snarkictecture. Si tratta di una delle rare collaborazioni del brand che ha come filosofia quella di “concentrarsi su poche collaborazioni di alto valore con in mente un unico obiettivo: continuare a creare nuove icone radicali contemporanee.” E in questo senso la Broken Series gioca con la materialità ingannando i sensi di chi guarda: il Broken Square Mirror e Broken Bench giocano con l’aspetto del cemento, per poi rivelarsi morbidissimi al tatto.

In particolare lo specchio sembra quasi essere uno squarcio nel mondo contemporaneo, una finestra per sbirciare verso un’altra realtà. La collezione mantiene la leggerezza ironica di Gufram unendo anche una visione onirica del futuro, oggi argomento per lo più associato a metaverso e tecnologia, in cui il design non sempre trova spazio: “Futuro per me è sinonimo di innovazione perché quando ce lo immaginiamo pensiamo sempre a un tempo più avanzato rispetto al nostro. Del resto, se il domani avesse le stesse caratteristiche dell’oggi vivremmo in un eterno presente.”La visione del Gufram contemporanea sposa completamente la natura ibrida e radicale che ha ispirato la nascita del brand: “Le nostre icone viaggiano in un mondo a cavallo tra arte e design; a pensarci bene ancora oggi non credo che si possa associare a Gufram un settore ben definito”. Le categorie di settore oggi non sono barriere anzi diventano stimoli per la creatività di brand così ubiqui e interessanti da riuscire a toccare settori lontanissimi, come conferma Charley Vezza:

"Oggi forse mi interesserebbe un progetto che finisse sugli scaffali degli alimentari: so che state pensando a un biscottino a forma di cactus da inzuppare nel latte, ma non volevo essere così didascalico!"