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A che punto è il progetto calcistico di New Balance?

Il brand non ha ancora trovato il suo posto nel mondo del calcio

A che punto è il progetto calcistico di New Balance? Il brand non ha ancora trovato il suo posto nel mondo del calcio
Infographic by planetafobal.com
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New Balance è entrato quasi in sordina nel mondo del calcio, ma dopo essere diventato campione d'Europa con il Liverpool è diventata una delle potenze economiche nel sistema dello sport business. Dopo aver raggiunto l'apice, però, la squadra inglese di Jürgen Klopp ha deciso di passare a Nike e segue la stessa direzione il Celtic, che diventerà adidas alla fine della stagione. Cosa è andato storto lungo il tragitto?

"You might not be as big ad your competition, but you can be smarter" è forse la frase che meglio di tutte racchiude la cultura aziendale di New Balance. A pronunciarla è stato Chris Davis, Vice President e Global Marketing & Sports Marketing del brand fondato nel lontano 1906. Bisogna essere obbligatoriamente "più smart" e "più intelligenti" quando i tuoi principali avversari si chiamano Nike e adidas, e soprattutto quando il campo di battaglia è il mercato del calcio.

La storia di New Balance è discontinua nel corso dei decenni, un po' per scelta e un po' perché i due colossi di cui sopra hanno letteralmente fagocitato un mercato che vale oro. L'esordio per l'azienda di Boston arriva nel 1984 quando furono realizzate le scarpe da gioco di Bryan Robson, un'icona del calcio inglese e del Manchester United, con cui ha giocato dall'inizio degli anni '80 fino alla prima metà degli anni '90. Una breve ma significativa esperienza, che però durò il giusto. Per il ritorno sul prato verde si deve aspettare più di 30 anni e soprattutto un cambio di management significativo. Tutto passa attraverso l'acquisizione del marchio Warrior, che avviene ufficialmente nel 2004. Lasciando uno spazio di manovra sufficiente, il brand acquisito ora di proprietà di New Balance entra nel mondo del calcio nella stagione 2012-13 firmando un contratto di sei anni con il Liverpool per una cifra vicina ai 25 milioni di sterline - uno degli accordi più ricchi per quegli anni. 

L'arrivo ufficiale di New Balance è datato 2015, quando la proprietà decide di eliminare il logo di Warrior e piazzare "NB" sulla produzione calcistica. Da lì a poco avrebbero avuto quel logo anche squadre come Porto, Stoke City e Siviglia, una delle squadre che stava dominando una delle principali competizioni come l'Europa League. Arriveranno nel corso delle stagioni successive anche altri accordi: le nuove firme con Nantes, LilleAthletic Bilbao e soprattutto Celtic Glasgow testimoniano l'impegno nel mondo calcistico di un brand giovane ed ambizioso. 

Contemporaneamente - e vale la pena sottolinearlo per valutare il progetto calcio nella sua totalità - New Balance non si ferma. Gli investimenti continuano ad aumentare, anche grazie alle idee innovative di Chris Davis unite alla progettualità di Robert DeMartini, il CEO del brand del Massachusetts. Il modello 50-30-20 (50% del capitale da investire in ciò che già funziona, il 30% da destinare alle leggere evoluzioni dei prodotti e il 20% da relegare a investimenti ad alto rischio in territori innovativi e mai esplorati) inizia a dare ottimi frutti in altri settori e l'incremento di entrate inizia a diventare sempre più significativo. New Balance entra nel mondo del basket e del baseball, oltre ad aumentare la credibilità in quello che è a tutti gli effetti il core business dell'azienda, ovvero sia il settore del running. Lo sport resta al centro, ma i trend dettano direzioni che brand al top devono seguire per non perdere considerevoli fette di mercato. Anche a livello streetwear New Balance lavora in maniera efficace: dare nuova linfa alle 999 ha richiesto ingegno e una mentalità moderna, come testimoniano le tante collaborazioni messe in atto per riportare in auge il loro fascino vintage. 

Se d'un lato c'è un'azienda che negli anni Sessanta produceva appena 30 paia di scarpe al giorno e aveva a disposizione un organico di soli 6 impiegati, dall'altra c'è una progettualità che sta facendo registrare una rilevante battuta d'arresto. Archiviati i tempi in cui New Balance entrava in un mondo il cui 70% era di appartenenza di Swoosh e Three Stripes, la realtà racconta altro. I primi campanelli d'allarme coincidono con la scelta dei campioni d'Europa uscenti di unirsi a Nike a partire dalla prossima stagione (un contratto, si stima, che varrà circa 70 milioni di sterline a stagione), seguiti da quelli relativi al ricchissimo accordo che adidas ha offerto ai Celtic, altra squadra che lascerà NB a fine stagione. 

Anche se DeMartini ha sempre dichiarato di avere una visione sempre a medio-lungo periodo (mai inferiore ai 5 anni), New Balance ha negli ultimi tempi dimostrato di avere lacune strutturali e proprio relative ad una visione a 360° di un mercato che, come detto, sa essere spietato con chi non è preparato al 100%. L'idea "Make mistakes, take risks, fail and learn from that" è sicuramente quella che ha permesso al brandi di Boston di tagliare traguardi importanti - come ad esempio i 4.5 miliardi di dollari di fatturato nel 2018 - ma quella stessa idea non può durare per sempre. La progettualità è quella che fa la differenza, è quella che permette a Nike di coinvolgere atleti di primissima fascia, è quella che permette ad adidas di tenere il passo dell'azienda dell'Oregon. L'approccio a lungo termine è, quindi, un aspetto negativo dell'attuale progetto "football" di New Balance. 

Pensare come "una start-up di 110 anni" può essere un gran vantaggio in termini di innovazione e creatività, ma ha un rovescio della medaglia che pare non sia stato preso troppo in considerazione dal team di Chris Davis. L'esempio più pragmatico è rappresentato dal team di giocatori che New Balance ha provato a costruire, anche per rafforzare la propria reputazione nel mondo del calcio. Se da un lato il progetto "basketball" è riuscito a strutturarsi in maniera più ponderata ed è riuscito a raggiungere obiettivi importanti come la firma di un futuro Hall-of-Famer come Kawhi Leonard, dall'altro il calcio non ha vissuto le stesse fasi di avvicinamento ad un traguardo concreto. Dal 2015 ad oggi, decifrare gli investimenti di New Balance è un compito arduo: non sono state aggiunte moltissime squadre al portfolio clienti, così come non sono stati convinti grandissimi giocatori a lasciare un contratto di sponsorizzazione per diventare membro di un progetto coinvolgente e soddisfacente.

Un progetto "giovane" non può puntare subito agli strapagati da Nike e adidas, ma una squadra formata da Tim Cahill, Rio Ferdinand, Aaron Ramsey, Sami Nasri, Alvaro Negredo, Jesus Navas, Marouane Fellaini, Fernando, Vincent Kompany e Adnan Januzaj non è neanche lontanamente competitiva. Soprattutto nella scelta dei volti da legare al brand si denota una certa fragilità, la stessa che ad esempio non sta riscontrando PUMA. La scelta dei tedeschi - applicata a qualsiasi sport - di puntare su giovani talenti ad oggi sta pagando grandi dividendi, sottolineando quanto la strategia sia fondamentale in un ambiente come quello del calcio. La strategia di New Balance assomiglia sinistramente a quella già messa in atto da Under Armour, entrata sul mercato con la voglia di spostare le montagne e poi ritrovatasi a fare i conti con una realtà più grande e più complessa di quanto pensasse.  

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L'essere sponsor tecnico dei campioni d'Europa in casa NB appare essere più simile ad un punto di arrivo, mentre dovrebbe essere considerato come un punto di partenza, un punto a favore sul quale far perno per puntare nuovi orizzonti. Nuovi orizzonti, ad esempio, rappresentati da quei campionati in cui l'azienda di Boston non è ancora entrata: la Germania e soprattutto l'Italia non sono terre ancora conquistate dalla bellezza di un brand percepito come distante dai due colossi, nell'ambiente per eccellenza in cui i giocatori-utenti sono diffidenti e dove il vintage è molto più apprezzato dell'innovazione tecnica.

Il gap da colmare resta enorme. il progetto calcio di New Balance vive ora in una fase di stallo delicata, avendo perso due grandi clienti nel Regno Unito come Liverpool e Celtic. Il paradosso del mondo moderno è amare la sfida ma allo stesso tempo aver paura di fallire, provare l'ebbrezza del rischio ma non mettere in conto che qualcosa - specie se non curata nei minimi dettagli - potrebbe andar storto. È questa la forza e allo stesso punto il veleno di chi dal 1906 è "fearlessly indipendent".