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The future is ours: Steph Curry e la Under Armour vogliono prendersi tutto

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The future is ours: Steph Curry e la Under Armour vogliono prendersi tutto New Sport Side

Devastante, e sotto tanti punti di vista. Non c’è modo migliore per descrivere l’impatto che Stephen Curry ha avuto sull’NBA da circa due anni a questa parte. Esploso dopo aver trovato finalmente solidità fisica, Curry ha visto man mano migliorarsi e consolidarsi il suo status quo; prima come miglior tiratore della lega, poi come MVP, dopo ancora come vincitore del titolo NBA, fino ad arrivare al dominio assoluto di tutto l’universo cestistico americano. L’NBA sembra aver trovato il suo nuovo volto, un volto pulito (una cosa che piace tanto ai commissioner), un bravo ragazzo, con una bella famiglia e un radioso futuro davanti a se. Stephen Curry però non ha fatto vincere la lotteria solo a Golden State Warriors e NBA, c’è anche una terza parte, che deve al ragazzo di Akron gli incredibili successi commerciali ottenuti negli ultimi due anni (e nell’ultimo semestre in particolare): la Under Armour.

Fondata nel 1996 da un allora 23 Kevin Plank, la UA ha seguito un percorso aziendale che potremmo definire “tipico” nel panorama americano. Come si legge sul sito del brand infatti, Plank ha cominciato a trafficare nello scantinato di sua madre, a Washington, prima di formare la compagnia a Baltimora, dove aveva giocato nella squadra di football dell’Università del Maryland. Proprio dal football e dalle sotto maglie elastiche parte il business di Under Armour, marchio di fabbrica che si diffonde velocemente attraverso i canali statunitensi. Fino alla Warner Brothers, che firma un contratto di sponsorizzazione con la società di Plank per la realizzazione di due film poi divenuti iconici: Ogni maledetta domenica con Al Pacino e Le Riserve con Kanuu Reavers. Comincia così la storia d’amore tra UA e il football americano, che oggi si sostanza nella sponsorizzazione di Tom Brady, il più celebre quarterback in attività. 

Come ha un monopolizzato un mercato dal nulla, allo stesso modo, Plank, nel 2006, pensa di poter stravolgere quel settore molto vicino ad essere un monopolio: il mercato delle sneaker. L’idea, o meglio il sogno, comincia a farsi più concreto nel 2013, quando la Under Armour mette sotto contratto Stephen Curry (ad un passo dalla firma per la Nike) per 4 milioni di dollari l’anno.


Nuova era

«Steph è un talento che capita una volta in una generazione e ha avuto una influenza senza precedenti sul gioco del basket. La sua etica del lavoro, la sua incredibile fiducia in se stesso, l’impegno per la comunità fanno di Steph il partner perfetto per la crescita della Under Armour nel basket e nel mondo», ha detto Adam Peake – vice presidente marketing – conferenza stampa per la firma dell’estensione di contratto che legherà Curry alla Under Armour fino al 2024. Un contratto particolare e molto diverso da quelli in circolazione tra i brand e le stelle della NBA. Mentre infatti gli accordi di LeBron, Rose, Harden, Kobe sono tutti “cash-based” ovvero retribuiti con un normale compenso economico, quello di Curry è “earning-based”, assomiglia cioè a quello dei manager delle grandi aziende, che hanno una (consistente) percentuale del proprio compenso in azioni dell’azienda ( più un fisso che, nel caso in analisi, dovrebbe ammontare a circa 8 milioni annui). Va da se che questo tipo di accordo “responsabilizza” molto di più l’atleta, che ha tutto l’interesse a far sì che il valore del marchio salga: questo si traduce in comportamenti impeccabili fuori e dentro il campo, disponibilità nelle interviste e tutta una serie di “intangibles” in cui Curry eccelle. I risultati sembrano star dando ragione ad entrambi: mentre Steph Curry infatti mette a ferro e fuoco i parquet di mezza NBA (facendo cose come questa, o questa), lo scorso gennaio la Under Armour ha sorpassato l’adidas come secondo miglior brand sportivo negli USA. Un successo esponenziale che, stando a quanto dichiarato da Bloomberg, arriverà agli 8 miliardi di profitti entro il 2018.



Il peso di Steph

Quanto c’è di Steph Curry in questo exploit? Tanto, se non tantissimo. Nel solo ultimo trimestre del 2015, l’Under Armour ha fatturato oltre un miliardo di dollari; un numero spaventoso, che fa ancora più impressione se si considera che gran parte di quei ricavi provengono da un aumento nella vendita di sneaker del 95%. E indovinate qual è stata la release di punta della Under Armour nell’ultimo trimestre del 2015? La Curry Two. «La vendita della Curry Two è stata una cosa che non avevamo mai visto, che è poi quello che la gente dice di Steph quando lo ammirano giocare», ha detto Plank. 

Non solo. Quartz riporta che in una nota rilasciata da Morgan Stanley  ai clienti la scorsa settimana, il colosso dell’economia americana prevede che i ricavi dalla vendita della signature di Curry supereranno –entro la fine dell’anno – quelle dell’attuale re, LeBron James; rendendolo così  il giocatore in attività a vendere più signature. Staccatissimo infatti c’è Michael Jordan. «Attualmente le Curry sono già più vendute delle LeBron, ma questo potrebbe essere in parte dovuto al prezzo di vendita (130$) notevolmente più basso delle Nike del 23 di Cleveland (200$)». Ironia della sorte vuole che i due siano nati non solo nello stesso sobborgo dell’Ohio (stato dove Plank ha aperto la prima fabbrica UA), Akron, ma anche nello stesso ospedale.

 

Curry Due

L’ultima signature di Curry è stata rilasciata lo scorso settembre, entrando in commercio ad ottobre. L’avvio da record dei Warriors ha posto particolare enfasi sulla colorazione Dubnation (il nickname dei tifosi di Golden State) e da allora le release hanno cominciato a susseguirsi in maniera del tutto inusuale per la compagnia di Baltimora. Dalle Curry Black History Month di Natale – con cui ha asfaltato proprio i Cavs di Lebron James -  alle  Haight-Ashbury, ispirate dal celebre quartiere hippie della vicina San Francisco, tutte le Curry 2 portano in dote l’intersuola “Charged” e la tomaia specifica della UE, che la rendono particolarmente adatta la gioco veloce di Curry.
In uno splendido editoriale sulle Curry One, Complex riportava le dichiarazioni del primo incontro tra Sonya Curry (madre di Steph) e gli ingegneri della UA. «Voglio solo che teniate mio figlio al sicuro dagli infortuni» ha detto, materna, Sonya, preoccupata dalle fragili condizioni fisiche del primogenito. «Non si preoccupi, faremo molto più di questo». Ad occhio e croce, la promessa dovrebbe esser stata mantenuta.