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All Star Game commercials, always on top

NSS - New Sport Side

All Star Game commercials, always on top  NSS - New Sport Side

Tra le tante caratteristiche uniche e forse irripetibili che Michael Jordan ha sempre avuto, quella che ha maggiormente contribuito al culto della sua personalità è stata la sensazionalità. MJ sapeva sempre scegliere il momento giusto: così per The Shot, così per The Flu Game e così per The Air. La nascita del logo del brand che porta il suo nome infatti ha una tempistica tutta sua, jordaniana.

Verso la fine degli anni ’80 l’ideale di Michael Jordan si era già ampiamente diffuso nella lega, e con lui vennero i follower. Tra questi la Rebook (con le Pump) e Dominique Wilkins si sono guadagnati credibilità uscita dopo uscita. Anche nello Slam Dunk Contest del 1988 allora, in tanti indicavano proprio Wilkins come favorito, fino a quando Jordan decise di staccare dalla linea del tiro libero e inventarsi un movimento, un logo, un’era.

L’All Star Game ha sempre ricoperto il ruolo di grande vetrina mediatica per i giocatori, in NBA. Non ha caso: stiamo parlando del principale avvenimento in termini di entertainment del gioco dopo i Playoff, che generalmente si tengono poche settimane dopo il Super Bowl, l’evento sportivo più visto al mondo.

Una delle differenze dal Super Bowl è l’impatto della città: l’All Star Game è solito coinvolgere ciclicamente le principali città nord-americane (o almeno quelle che hanno una franchigia) mettendole al centro del weekend. Lo scorso anno si ritornò nella patria dello show business, NYC, mentre quest’anno l’NBA ha deciso di puntare forte su Toronto, un po’ in quanto unica franchigia canadese, un po’ in quanto effettivamente in rampa di lancio nel mercato sia sportivo, che musicale. L’elemento che invece accomuna i due show è quello promozionale: oltre alle esibizioni (qualche tempo fa riassumevamo i più importanti show della storia dell’ASG) ci sono i commercial che sono sempre molto rilevanti.

Ritornando a Michael Jordan, lo scorso anno la Gatorade mandò in onda il celebre spot “Be Like Mike” per festeggiare i suoi 50 anni con il suo più importante testimonial. Proprio dei commercial parleremo oggi, dividendoli in due categorie: i classici spot di presentazione dell’evento e i commercial che i team fanno per promuovere la candidatura dei loro giocatori.

La musica ha ovviamente un ruolo primario nella realizzazione di uno spot. L’NBA ha quindi sempre cercato di associare alle sue pubblicità dell’ASG. Negli ultimi anni è stata la volta di Macklemore con Wings, poi di Power con Will.I.Am e Justin Bieber. Uno dei primi è stato Usher, mentre forse il più bello spot è stato cucito sulle note di All of the Lights di Kanye West nel 2011, quando l’ASG ha fatto tappa nella città delle luci: Los Angeles. In 1 minuto e 44 secondi sono riassunti tutti i punti di contatto tra luce, NBA, Hollywood. Tra cose che insieme sembrano starci bene.

 

L’NBA ha sempre puntato molto sull’ironia, anzi, sull’autoironia dei suoi protagonisti. Non solo l’NBA in realtà, ma tutto il mondo che gli ruota intorno. Nasce già nei primi spot di McDonalds, della Pepsi, che vedono coinvolti Bird, Barkley, lo stesso Jordan. Si arriva quindi allo spot di promozione dell’All Star Game di New Orleand, NOLA in slang americano, in cui si gioca su tanti dei piccoli tic delle star NBA. Dalla barba di James Harden alla versatilità di Damien Lillard. Fino ai compulsivi canestri (qualsiasi sia il canestro) di Stephen Curry. Era il 2014, e l’NBA può dire d’esser stata decisamente profetica.

Il volto cinematografico della NBA è rappresentato sicuramente da tutte le stelle che ogni notte affollano i parquet di mezza America, o quantomeno delle città più grandi e delle squadre più importanti. Se dovessimo scegliere un rappresentante però anche noi opteremmo probabilmente per Spike Lee. Il regista, newyorkese d’adozione, è infatti il protagonista dello spot che l’NBA ha girato per celebrare il ritorno a New York dell’ASG. Solo trenta secondi, per ricordare a tutti quanto la Grande Mela respiri basket in ogni singolo gesto, nonostante le stagioni deprimenti di Kincks e Nets.

Il sistema di partecipazione all’ASG è sempre stato abbastanza semplice. Ai tifosi il compito di scegliere i quintetti iniziali, gli allenatori venivano selezionati (in genere) tra le due squadre in testa alla East e alla West – ma deroghe a questo principio sono state consentite – e questi poi formavano il team delle riserve. Il meccanismo quest’anno è rimasto immutato, ma ha ampliato i possibili modi di votazione coinvolgendo i social media. Forse in Italia ve ne sarete accorti dall’incredbile numero di commenti del tipo “Danilo Gallinari #NBAvote” che cercavano di portare il numero 8 di Denver all’ASG (senza successo, per la cronaca). Questo ha ampliato il culto della personalità di cui l’NBA da sempre si nutre, e insieme con le imminenti elezioni nelli USA ha creato il mix di idee ideale per le campagnie di candidatura dei giocatori all’ASG (che in genere vengono promosse dalle stesse squadre).

In particolare 5, quest’anno, hanno articolarmente attirato l’attenzione.

I Clippers si sono affidati al 16 volte nominato ai Grammy Brian McKnight, che ha intonato una strofa appositamente creata per garantire il voto a più o meno tutti i componenti del quintetto base di LA. Non ha avuto molta fortuna, e solo Chris Paul giocherà il weekend di San Valentino, partendo peraltro dalla panchina.

Stessa fortuna per DMC Demarcus Cousins. Seppur autore di una dominante stagione, il centro di Sacramento non è riuscito a convincere i tifosi americani neanche con uno spot da leggenda. DMC ha infatti reintrerpretato un classico, cioè il commercial della Coca Cola con Joe Greene del ’79. Operazione simpatia per uno dei giocatori più “scorretti” (che ha accumulato più falli tecnici) della lega riuscita solo a metà.

I Detroit Pistons forse non s’aspettavano di aver già quest’anno tra le mani un All Star. Una volta che Drummond ha cominciato ad inanellare prestazioni da centro dominante hanno pensato di investire pesantemente nella sua candidatura. Come? Con una gag diventata virale negli ultimi anni: quella di Obama che – con estratti di varie interviste – canta le canzoni più virali neli States. Questa volta è stato il turno di Jumpman di Drake – un rapper canadese, guarda caso – e di Future.


Karl Anthony Tows arriverà all’ASG prima o poi. Il rookie di Minnesota sta facendo così bene che i T Wolves hanno provato a mandarlo a giocare la domenica (in quanto rookie parteciperà alla gara del venerdì) al primo anno. E c’hanno provato giocando con il suo nickname KAT e con il più virale dei contenuti social degli ultimi anni, i gattini (cat, in inglese).


Partire in quintetto all’ASG non è solo una questione di immagine e di prestigio. Ci sono in ballo anche soldi, in alcuni casi tanti soldi. Anthony Davis, uno dei giocatori del futuro, potrebbe aver perso 23 milioni di dollari a causa della mancata convocazione, per una strana regola contrattuale che va sotto il nome di Derrick Rose rule (a questo link è ben spiegata).
Altre volte invece l’ASG rappresenta una passarella finale. Sarà così per Kobe Bryant, pronto a lasciare l’NBA dopo una week end delle stelle che lo vedrà sicuro protagonista (è stato il più votato in assoluto) dopo averlo osservato  monopolizzare partite della domenica e gare delle schiacciate. Anche per Dirk Nowitzki poteva forse essere l’ltima volta, anche se non ha ancora annunciato il ritiro, ma il tedesco non sarà della partita. Questo non c’ha impedito dal vederlo protagonista del miglior campaign spot dell’anno (e tra i migliori di sempre) in una superba imitazione di Donald Trump, candidato repubblicano alla Casa Bianca.