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Le City Edition NBA non piacciono ai giocatori

Le parole di Kyle Kuzma esprimono al meglio quello che molti pensano

Le City Edition NBA non piacciono ai giocatori Le parole di Kyle Kuzma esprimono al meglio quello che molti pensano

L’NBA ormai da anni ha puntato molto per il suo merchandising, sulle canotte City Edition, quelle dedicate alle città che ospitano le 30 franchigie della lega cestistica più importante del mondo. Un trend, quello delle canottiere da basket (non solo le city edition), che prende sempre più piede negli USA come in Europa, dove nonostante il mercato veda privilegiare le maglie da calcio, negli ultimi anni ha visto il boom delle jersey, meglio se NBA (anche perché di quelle europee o italiane i pezzi prodotti sono davvero pochi e solitamente acquistabili solo negli store dei palazzetti delle rispettive squadre). Le canotte sono diventate un vero e proprio capo d’abbigliamento tanto che sono indossate in qualsiasi situazione: dall’uscita in centro con gli amici alla serata in discoteca. 

Se piacciono agli appassionati non possiamo dire lo stesso dei giocatori, che quelle divise le indossano una sera ogni due, sui parquet di tutta America. Ad alcuni di loro la direzione intrapresa dallo sponsor tecnico - Nike, che veste la lega dalla stagione 2017-18 - per la realizzazione proprio delle City Edition, non sembra affatto piacere. Ad esporsi pubblicamente, qualche settimana fa, è stato uno dei cestisti più attenti e apprezzati per il suo stile fuori dal parquet, Kyle Kuzma. L’ala dei Washington Wizard ha detto la sua sull’uscita delle city edition dei Los Angeles Clippers, squadra per cui nemmeno gioca o ha mai giocato. “Nike sta rovinando la nostalgia legata alle maglie: ogni anno ce n’è una nuova e quella che viene persa per strada è l’identità del brand”, ha commentato su X (ex Twitter). Niente di personale sulla scelta dei Clippers, ma un diretta critica al marchio dello Swoosh, contro la proliferazione delle tante edizioni speciali che, stando alle sue parole, allontanano dalla tradizione.

Cosa non funziona delle City Edition

L'accordo tra NBA e Nike prevede che ogni anno ciascuna squadra possa realizzare fino a cinque maglie differenti: “association”, “icon”, “statement”, “classic” e “city edition”. Quest'ultime sono nate per sottolineare il rapporto che lega la franchigia alla città d'appartenenza, attraverso dettagli e simboli grazie ai quali svelare lati nascosti. Uno storytelling che però non sempre è veicolato dalle grafiche, dai colori e dallo stile delle maglie. Guardiamo ad esempio quelle realizzate per la stagione 2023/24 e messe in circolazione proprio qualche giorno fa. Quella degli Atlanta Hawks ad esempio, che si allontana dai consueti colori (bianco, rosso e giallo) per una maglia su fondo nero con bordi bianchi e azzurri; oppure quella degli Houston Rockets, che al di là della scritta “H-Town” è molto semplice e non ha alcun richiamo alla città, alla regione di provenienza o alla storicità del marchio societario.

Per chiudere con quella a cui faceva riferimento Kyle Kuzma, la jersey dei Clippers: fondo grigio scuro e la sola scritta “Clips” sul fronte. Una canotta priva di senso d’appartenenza, definibile “senza cuore”. Non tutte sono ovviamente da buttare: quella di Denver ad esempio, con il classico skyline delle montagne del Colorado o quella coloratissima di Indiana, che tiene fede ai colori con un tocco di fantasia. O ancora quelle dei Cleveland Cavs disegnate da Daniel Arsham, direttore creativo della franchigia dell'Ohio. La sensazione però è proprio che questo tipo di magliette siano create in fotocopia, con il solo scopo di riempire le uscite in calendario ed andare a saturare un mercato già bello pieno. Peraltro Kuzma non ha alcun vincolo verso Nike, in quanto sponsorizzato PUMA fino al 2024, per cui le sue parole sono assolutamente libere da contratti e regole comunicative, e sintomo di una lega che ha perso la rilevanza culturale e stilistica di qualche anno fa.

L'NBA ha perso la sua modernità?

Le sue parole fanno seguito infatti a quelle di un’altra stella della lega, Kevin Durant, che invece è uomo Nike per eccellenza, tanto da aver firmato lo scorso aprile un contratto a vita. Durante la presentazione della sua nuova linea di scarpe, Ember Glow, KD ha lanciato un messaggio criptico all’azienda di Beaverton, affermando che sono semplicemente scarpe e nulla che resti per sempre. Niente di particolarmente grave per la verità, ma se una frase del genere è stata pronunciata da uno dei più influenti giocatori della lega, nonché uomo immagine Nike da anni e per anni. L’appello di Kuzma, pertanto, potrebbe essere snobbato da Nike, ma considerando che il sentiment di diversi giocatori sembra andare in questa direzione, è ipotizzabile che il brand di Beaverton nella prossima occasione possa rivedere leggermente le proprie scelte, riavvicinandosi a quella tradizione e alla nostalgia che KZ e gli altri non vorrebbero si perdesse per strada. 

Non è quindi un caso se le maglie più apprezzate delle ultime stagioni sono state quelle che riportavano in vita un design throwback, che arrivava direttamente dalla fine degli anni '90 o dall'inizio anni 00, la Golden Age del basket NBA. Dai Memphis Grizzlies in turchese alle catene montuose degli Utah Jazz, senza dimenticare quelle dei Detroit Pistons o degli Atlanta Hawks. In un momento di forte rivoluzione in campo, con nuovi ed esotici nomi a dominare oltreoceano, l'NBA non è ancora riuscita a trovare una sua nuova dimensione estetica e comunicativa. Basti pensare ai feedback non certo positivi riguardo il design dei nuovi campi per l'In-Season Tournament, l'ultimo tentativo della lega di imporre un profilo unitario a tutte le franchigie. L'NBA vuole ritrovare quel senso di leadership stilistica che il calcio le ha strappato nelle ultime stagioni grazie all'esplosione del Block-core, ma deve ancora capire come fare.