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More Than - Matteo Pessina

"Looking Forward"

More Than - Matteo Pessina Looking Forward

Matteo
Pessina

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Il nome di Matteo Pessina è diventato immediatamente conosciuto a tutti gli italiani grazie allo strano modo con cui ha festeggiato il raddoppio contro l’Austria, in quegli ottavi di Finale complicatissimi ma che ci lanciarono fino al titolo europeo conquistato a Wembley neanche un’anno fa. Un tuffo di testa dopo una corsa infinita che ha trovato l’erba verde invece del mare blu, diventando la metafora della cavalcata azzurra, un po’ incosciente, un po’ pazza, ma con un finale morbido. Ma Pessina non è solamente il neo-centrocampista del Monza e della Nazionale, letale negli inserimenti, faccia pulita e polmoni inesauribili, ma è anche un ragazzo che vuole usare la celebrità garantita dal pallone per allargare quanto più possibile la sua piattaforma fatta di interessi e passioni anche molto distanti dal calcio. “Come in ogni ambito del mondo tutto è collegato, tutto è aperto” ci dice “non c’è più solo il calcio, solo la moda, solo la musica, ma se uno ha tanti interessi, hobby o preferenze ed è giusto che le faccia vedere anche in ambito calcistico. Se a me piace vestirmi in un certo modo arrivo così alla partita anche per sentirmi me stesso”.

Quando Matteo Pessina arriva per lo shooting del quarto episodio di More Than in una tenuta vicino Brembate una domenica di Maggio, tra una cava di ghiaia e un lago artificiale, il suo interesse verso gli outfit scelti e le location selezionate è immediatamente palpabile.“Si, nei limiti del possibile del mio lavoro è un mondo al quale stiamo cercando di avvicinarci, perché piace a me, mi viene bene. Sono compatibile con questo mondo e quindi è qualcosa che vorrei continuare a fare sempre di più e magari fare dei progetti più ampi riguardo il mondo oltre il calcio”. Pessina d’altronde non ha mai fatto mistero del suo interesse verso il mondo della moda, un interesse visibile sul suo feed di Instagram dove ai necessari scatti di campo sono intervallati altri che lo ritraggono mentre indossa capi selezionati da un occhio attento e competente, ma che diventa ancora più evidente appena c’è la possibilità di scambiare qualche battuta tra un cambio d’abito e l’altro.

“Una delle cose che metterei tutti i giorni sono i bermuda di Louis Vuitton, forse perché erano quelli più adatti alla stagione, però devo dire che tutti i look erano belli. Anche quello di ETRO, bellissimo quello di Diesel i jeans me li prenderò di sicuro perché fanno paura. Ma tutto anche quelli Carhartt, comodi e in linea con il mio stile, oggi ad esempio ho una maglietta Stussy, anche queste sono Nike x Stussy” dice inclinando all’interno la caviglia con quel gesto che ogni sneakerhead conosce bene. La passione verso lo streetwear americano però negli ultimi tempi trova contrappunto in quella verso i brand di alta moda, “mi piace abbinarlo con pezzi più hi-end come questi shorts di Louis Vuitton. Mi piace moltissimo Bottega Veneta, mi piace Rick Owens, o Balenciaga perché fanno sempre cose estreme. È un modo per fare un mix di ispirazioni e mondi”.

La naturalezza del suo entusiasmo si percepisce anche quando mi racconta che non si fa aiutare nel comporre i suoi outfit ma fa “tutto da solo perché è una mia passione, vado in giro un po’ per negozi, un po’ on-line. Quando vedo trovo qualcosa che mi piace o la prendo subito o vado in shop. Guardo più sui siti dei brand, su Farfetch. Io uso molto Ssense, sono anche in contatto con un loro stylist perché mi piace molto come lavorano e il loro stile”. E soprattutto non gli interessa troppo copiare i suoi colleghi, scrollando su Instagram compulsivamente fino a scoprire tutti i segreti dietro un look. “Guarda Instagram lo uso più per vedere quando escono le nuove collezioni, per tenermi informato sulle release piuttosto che per copiare i look altrui. Se vedo qualcuno vestito bene dico “mi piace il suo stile” però non mi viene proprio da chiedere che brand siano, magari lo stile in generale sì, riconosco la bravura ma non ho mai quella spinta di mettermi lì e copiare”.

Però ammette di avere un debole verso i giocatori NBA, non tanto per i loro outfit sempre futuristici e curati fin nei minimi dettagli, ma perché hanno la libertà di mostrarsi in tutta la loro personalità prima di scendere in campo. “Lì è un altro sport e un altro livello, anche solo come arrivano alle partite rispetto a noi che dobbiamo per forza arrivare tutti in abito della società. Loro possono dare libero sfogo alla loro personalità nei Tunnel Fits”. Quello del rapporto tra il calcio europeo e gli sport statunitensi è un confronto che torna spesso nelle sue parole, una differenza d’approccio culturale che ovviamente non si ferma solo ai vestiti con i quali si arriva allo stadio. Ma proprio mentre calcio e moda sono due mondi in rotta di collisione, sempre più giocatori stanno esprimendo questo desiderio, senza andar in contrasto con gli sponsor di squadra ed allo stesso tempo ritagliandosi uno spazio per loro stessi. “È un momento in cui ci sono le telecamere, i fotografi, tutti ti guardano, diventa un momento per far vedere come ti vesti, chi sei, cosa ti piace. Alla fine i vestiti definiscono dei tratti della tua personalità”.

"Se la gente ti segue è perché non gli piaci solo come calciatore ma per quello che sei, quello che dici, per come ti fai vedere, per come ti relazioni anche nelle interviste. Credo che se riesci a soddisfare queste richieste poi una persona ti segue. Più fai bene in diversi campi, maggiore è il numero di persone che riesci a raggiungere."
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A volte l’attenzione totalizzante con la quale il calcio è visto e vissuto in Italia tende a schiacciare i calciatori sulle loro prestazioni sportive, un calco che definisce i limiti della loro vita professionale e che impedisce un qualcosa di più. “Il calcio in Italia su alcune tematiche è ancora un po’ chiuso ma con la nuova generazione si sta aprendo molto, si sta spianando la strada per arrivare ancora più lontano. Avete visto quante collaborazioni con brand di moda e club calcistici e questo può aiutare molto nel cambiare la percezione”. Secondo Pessina invece ci potrebbe essere “molto di più oltre alla partita della domenica, perché dietro di noi, dietro il calcio si muove un mondo”. Dove le collaborazioni tra brand sportivi e non sono sempre più frequenti, garantendo uno spazio dove calciatori, tifosi e creativi possono incontrarsi, anche per decomprimere la pressione che solitamente accompagna lo sport.

Alla domanda di rito su quale sia la sua collaborazione preferita risponde con quella tra Jordan e Paris Saint-Germain, “ma so che è troppo banale, quindi ti dico che senza andare così lontano anche la collaborazione che ha fatto l’Inter con Moncler dimostra come si stanno muovendo sempre più anche in Italia”. Come fa giustamente notare Pessina “fare queste cose a Milano o a Parigi è facile, la sfida è arrivare anche in piazze meno legate storicamente alla moda perché è una possibilità di tutti ed è giusto che sia aperta a chiunque voglia provarci”. Allora gli chiedo se lo vedremo mai coinvolto in operazioni del genere, approfittando magari anche della sua presenza in squadra come testimonial. Mi risponde che gli piacerebbe farne parte prima o poi, soprattutto perché “per una società o per i tifosi è importante quando un giocatore ci tiene a queste cose, a lasciare il proprio segno sia dal punto di vista calcistico ma anche umano, fa bene a tutto l’ambiente”.

Matteo Pessina è nato e cresciuto a Monza, squadra nella quale ha effettuato tutte le giovanili ed esordito tra i professionisti prima di essere ceduto prima al Milan poi all’Atalanta, e alla quale è alla fine tornato quest'estate prendendo la fascia da capitano. È estremamente legato ai suoi luoghi, anche in quelli dove è arrivato spinto dalla sua carriera. Ci tiene ad essere visto come un riferimento, non soltanto in campo ma anche nella comunità, verso i tifosi che ogni domenica si recano allo stadio per scandire il suo nome. Mentre stiamo scattando ad un certo punto arriva il proprietario della tenuta, un vispo signore bergamasco che non perde mai una partita dell’Atalanta ed è venuto a conoscere “il Matteo”. E Pessina cordialmente si presenta a chi ovviamente conosce perfettamente il suo nome, il suo cognome, numero di maglia e probabilmente anche quello di gol e assist stagionali, chiacchiera qualche minuto della squadra, scatta qualche foto ricordo prima di tornare ad essere il soggetto delle nostre. La normalità che si respira da questa semplice interazione riassume bene l’atmosfera durante lo shooting, tra uno scatto scivolando giù da una duna di ghiaia sottile ad una pausa per accarezzare i cavalli della tenuta, e della personalità di Pessina.

“Quando diventi un giocatore di un certo livello, prima di tutto per te stesso e per le performance devi condurre una vita d’atleta quindi non puoi sgarrare. Poi è anche difficile mantenere rapporti con i tifosi, a volte, con tutti i fan, è ovvio che non si può più andare in giro a Milano come quando avevo 15 anni. I posti quindi diventano limitati, passi il tempo libero che hai a casa per recuperare o in palestra a fare massaggi e vasche fredde”. E se sostituire le vasche in Duomo con quelle iperbariche può essere un sacrificio che in molti sarebbero disposti a compiere, non si può dire lo stesso della quantità di interessi che Pessina dimostra di avere oltre il campo. “Studio Economia a Roma” mi dice “ma a prescindere da quello mi piace la moda, ovviamente, ma anche l’architettura, il design, la scrittura” - come dimenticare il Diario di Bordo che aveva accompagnato gli Europei - e “vorrei riuscire a portare avanti il mio modo di vedere il mondo potrebbe aiutare chi vuole entrare in contatto con alcuni temi ad esprimersi più liberamente”.

In questo i social sono un canale preferenziale per una generazione cresciuta durante il boom delle piattaforme e lo stesso Pessina le definisce “una vetrina per realizzare quelle collaborazioni di cui parlavamo prima, anche per andare oltre il calcio”. In particolare rendono possibile creare un’immagine tridimensionale dei calciatori, uscendo anche dagli stereotipi che spesso affliggono il discorso generale. Un approccio che funziona, come ci spiega lo stesso Pessina, “è una cosa che va di pari passo alla crescita in campo, se la gente ti segue è perché non gli piaci solo come calciatore ma per quello che sei, quello che dici, per come ti fai vedere, per come ti relazioni anche nelle interviste. Credo che se riesci a soddisfare queste richieste poi una persona ti segue. Più fai bene in diversi campi, maggiore è il numero di persone che riesci a raggiungere.” E Matteo Pessina non ha certo finito qui di lanciarsi in nuovi progetti, con la stessa spontaneità e follia con la quale si è tuffato un'anno fa sul prato di Wembley.

Talent: Matteo Pessina
Photographer: Dino Junior Gulino
Stylist: Yosephine Melfi
MUA: Cecilia Olmedi
Photographer Assistant: Edoardo Anastasio
Style Assistant: Linda Degiorgi
Art Director: Alessandro Bigi
Editorial Coordinators: Elisa Ambrosetti - Edoardo Lasala
Production: nss factory
Words: Lorenzo Bottini

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