Vedi tutti

La fine del Manchester United per come lo conoscevamo

Risultati mediocri e giocatori senza convinzione hanno reso i Red Devils una squadra senza identità, ed ora scavalcata in città dal City

La fine del Manchester United per come lo conoscevamo Risultati mediocri e giocatori senza convinzione hanno reso i Red Devils una squadra senza identità, ed ora scavalcata in città dal City

Se il mondo calcistico invertisse le sue regole e mettesse al primo posto la realtà virtuale - ora propongo un nome a caso, Football Manager, - il Manchester United sarebbe una delle squadre più forti del mondo. Una rosa di giocatori così, per quanto lontana dai campioni del Real Madrid, del Paris Saint-Germain, del City o del Bayern Monaco, è difficile da trovare - con Cristiano Ronaldo, Pogba, Sancho, Bruno Fernandes, Varane, Rashford e tanti altri talenti dai 25 anni in giù. Eppure la squadra è sesta in Premier League, ha cambiato allenatore (Ralf Rangnick, da Novembre) e ha perso 4-1 il derby con il City - la settima stracittadina persa in sette anni. 

Purtroppo, la squadra non è solo il siuu (smarrito) di CR7, l’allure marketing di Pogba o le belle speranze dei talenti made in Uk. Rimane l’aspetto economico, essendo lo United il quarto club più ricco del mondo, il quarto per magliette vendute, il sesto per valore dei giocatori e il primo per titoli vinti in Inghilterra. Ma nella recente classifica di Deloitte, che ha posto i Red Devils al quinto posto con 558 mln di ricavi che sono il 4% in meno dei livelli pre pandemici (stagione 2019-20), sono stati scavalcati per la prima volta dal Manchester City, divenuta leader di questa classifica con il +17% sul 2019. Lo United è un club che sicuramente ha come core business quello di spremere denaro - Van Gaal lo ha definito di recente “commercial club, not a football club” -, ma al centro del progetto, per quanto si possa progredire con il marketing e i social - terzo in classifica per numero di followers, 72,1 milioni - il campo rimane l’aspetto centrale. 

Il Manchester United ormai è un club senza identità. Ed è uno smarrimento innanzitutto aziendale, perché non c’è più un progetto lineare che faccia dialogare progresso economico e sviluppo calcistico. Se non si cura quello, si riducono le possibilità di raggiungere il rispetto sportivo degli altri top club come i Citizens, il Real Madrid o il Bayern Monaco. Ma sono anni che non c’è una pianificazione tecnica che segua l’alto livello del merchandising del club. Non a caso, lo United era una delle società più convinte del progetto Superlega, con Joel Glazer - il chairman - nominato vicepresidente del nuovo torneo. Juventus, Barcellona, United, questi club hanno spinto più di altri per la Superlega e sono quelli con maggiori difficoltà aziendali (e di campo). I Glazer hanno una macchina da soldi che vogliono ne faccia ancora di più, ma con il problema fondamentale che non riescono a risolvere. Il campo.  

Sul Manchester United è cambiata completamente la narrazione, da club perfetto da imitare a disastro dal quale restare il più distante possibile. L’intervista con cui Paul Pogba ha esposto tutto il suo malessere, arrivando a dire “Ho sofferto la depressione, non so qual è il mio ruolo”, ne è la sintesi. Pagato 150 milioni, il francese è un giocattolo: marketing, contratti, visibilità, ma non ha un’etichetta sportiva. Giocatore olistico di ogni ruolo a centrocampo, Pogba rappresenta la difficoltà per il club di trovare un canale tecnico persino ai suoi dipendenti più prestigiosi. La salute mentale dei giocatori soffre anche della loro gestione mentale. A Manchester, in questo senso, pare si sia rincorso dietro alle figurine più che ricercare strategie di campo. Questo provoca sfoghi come quello di Pogba, o le recenti tensioni di Maguire (esultanza polemica con l’Inghilterra nella partita contro l’Albania), le scocciature di Ronaldo, le continue insofferenze dei giocatori verso le scelte di Rangnick. 

La confusione può venire anche dall'allenatore, ma è la leadership societaria che deve dare un segnale. Lo ha spiegato bene a Sky sport Uk l’ex giocatore Teddy Sheringham: “Lo United ha preso un manager ad interim (Solskjaer, ndr), poi lo ha licenziato e ne ha preso un altro”, aggiungendo: “I giocatori pensano “lui non sarà qui l’anno prossimo. Quindi smetto di giocare, riprenderò quando arriverà un nuovo allenatore”. Da queste proposizioni nascono effetti come l’eliminazione dalla Champions e il cammino zigzagante in Premier League di una squadra che, pur con una logica tattica e tecnica poco chiara, ha certamente una rosa e un quantitativo di talento fuori dal comune. 

Una crisi di valori che in campo che poi si riflette anche sui più giovani. Lo United in questi ultimi anni ha tirato fuori molti talenti interessanti, ovviamente andati in prestito o relegati a seconde scelte in favore di pretoriani più esperti. Non a caso, una delle ricorrenti polemiche di questa stagione riguarda l'utilizzo di Marcus Rashford, classe 97 già attestato come senatore per prestigio e talento, che da local boy hero è passato a essere un’entità aliena in questa perpetua situazione ad interim. I giocatori più giovani non hanno riferimenti caratteriali in una situazione emotiva difficile come quella che deriva dal giocare in uno dei club più prestigiosi del mondo.

Giocatori da “cover dei magazine” à la Beckham non esistono più. Cavalieri solo-per-la-maglia come i fratelli Neville o Ferdinand sono assenti. E mancano, al netto di una presenza importante di giocatori di talento, dei calciatori di classe, come Scholes o Beckham. Manca perfino quella cattiveria che fra Cantona e Roy Keane si ritrovava nel mordace gol al 92’ di Ole Gunnar Solskjaer contro il Bayern in finale di Champions. Anche il ritorno di Cristiano Ronaldo, simbolo dell'ultimo grande periodo dello United, è al netto di alcune grandi prestazioni individuali, incapace di garantire una mentalità vincente alla squadra. Il Manchester United di Umbro, per intenderci, che era in quella stretta élite in cui oggi, anche a livello estetico (non meno importante per l’eco sportivo nel mondo), è stato scalzato dal Manchester City. Con la stessa ricetta che all’Old Trafford si è persa: idee, talento, coraggio. 

I blu di Manchester possono vantare il contrario dei loro rivali rossi. Un allenatore solido e una società con idee e progetti per i giovani. Che fa del business (e molto), ma costantemente con gli occhi sul campo. Un sistema che per anni, sotto la guida di Sir Alex Ferguson, ha fatto scuola proprio il Manchester United.