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I cibi vietati dagli allenatori

Stranezze e idiosincrasie degli allenatori in cucina

I cibi vietati dagli allenatori Stranezze e idiosincrasie degli allenatori in cucina

Chi ha praticato sport a livello amatoriale o continua a farlo, sa che un minimo di sacrificio - alimentare soprattutto - è indispensabile. Se il vostro allenatore vi dice di smettere con i maritozzi la mattina prima delle partite, pensate che in Inghilterra vi proibirebbero di utilizzare il ketchup. Il ketchup, per chi non lo sa, nel Regno Unito è una salsa sacra tanto quanto la mostarda. 

Il cibo e in generale il food&beverage sono la nuova frontiera dell'hypebeast, che dopo aver imparato tutto quello che c'era da conoscere su sneakers e collabo si è spostato in cucina tra vini, gin, carne kobe e stellati Michelin. Una fissazione che rasenta quella degli allenatori di calcio, anche se per altri motivi. Antonio Conte, per esempio, ha tradito l’Inghilterra portando via il ketchup dalla dieta dei suoi giocatori, Steven Gerrard all’Aston Villa ha fatto lo stesso. Lo fece anche Fabio Capello quando era il Commissario Tecnico della nazionale inglese, via burro e ketchup. Dicono lì sia iniziata la crisi interna che gli ha messo contro lo spogliatoio costringendolo quindi a dimettersi. 

Perché la forbice culturale che si crea quando un allenatore straniero arriva a lavorare in un nuovo Paese non è solo nel campo. E’ nella metodologia tout court, cucina inclusa nel prezzo. Sempre Antonio Conte applica la stessa precisione maniacale tanto agli orari e all'alimentazione quanto ai 13 metri che separano il centrale di difesa dalla mezzala. Una presa di posizione talmente radicale che un’azienda che produce ketchup in Inghilterra ha anche comprato una pagina del quotidiano The Independent per mandare un messaggio di amore - e marketing - ad Antonio Conte. In questo caso eliminare il ketchup dalla dieta è più di un semplice divieto, significa imporre uno status e una disciplina. Sono piccole rivoluzioni che spesso salvano gli atleti, e incidono nella performance di molti. 

Poi vi ricordate di Claudio Ranieri al Leicester? Bene, lui è uno che ha anteposto il team building al rigore alimentare. Aveva promesso ai suoi giocatori che se contro il Crystal Palace avessero mantenuto la porta inviolata, l’allenatore romano avrebbe offerto loro una pizzata. Promessa mantenuta e conto pagato da Sor Claudio, che poi ci ha preso gusto. L'italianità di Ranieri ha portato la pizza in tutta Leicester, dai giocatori ai ristoratori. Si parlava, d’altronde, di differenza culturale Mentre uno dei suoi rivali dei tempi, Pep Guardiola, di pizza proprio non ne voleva sentir parlare. Secondo l’ex tecnico del Bayern Monaco sarebbe stato proprio l’eccesso di grassi saturi a impedire al City di vincere il torneo nel 2016, proprio quello conquistato a sorpresa dal Leicester. Che di grassi saturi invece, con Ranieri, ne ha assorbiti senza troppi problemi.
 

David Moyes ha proibito le patatine fritte, cibo in effetti abbastanza inusuale per uno sportivo, mentre una delle storie più comiche è quella di Arsene Wenger, che per anni ha proibito il consumo di cioccolata sia nello spogliatoio che durante i pasti. Giovanni Trapattoni, invece, aveva tolto i funghi dai piatti dei giocatori della nazionale irlandese senza molte spiegazioni a riguardo. Alcuni anni fa Jordi Alba spiegò come dal 2014, grazie al nutrizionista del club, è riuscito a migliorare la sua condizione fisica e ad evitare gli infortuni. Questo mentre Luis Enrique, suo allenatore ai tempi, aveva un piano alimentare predefinito che non si sposava con il suo fisico e le sue esigenze caloriche. 

Come le ripetute sui gradoni o le sedute con il pallone, l'imposizione da parte di un tecnico di una dieta ben definita è una parte chiave del suo modo di allenare. Come ormai succede per lo stile degli outfit o nella comunicazione pre e post gara, allo stesso modo l'approccio all'alimentazione è sempre più ricercato e studiato e va oltre le semplici idiosincrasie e scaramanzie. Anzi è fondamentale per riconoscere se stessi e per migliorare il proprio lavoro insieme a quello della squadra. Perché alla fine, nel calcio, la performance non è più solo una questione di campo.