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Come i concept kit virtuali stanno influenzando il design delle maglie

Ne abbiamo parlato con Sett Pace e altri tre designer legati alla sottocultura dei kit virtuali

Come i concept kit virtuali stanno influenzando il design delle maglie Ne abbiamo parlato con Sett Pace e altri tre designer legati alla sottocultura dei kit virtuali

Osservando le release della prossima stagione calcistica, molti tra tifosi e appassionati hanno avuto una strana sensazione di deja-vù in stile Matrix. La maggior parte dei design più innovativi - la home dell’Inter a pelle di serpente, la away iridescente del Barcellona, ma anche il nuovo logo retrò dell’Ajax - sembrano essere uscite direttamente dai cosiddetti virtual concept kit: “per chi arriva dal mondo del kit design amatoriale le maglie di Inter, Barcellona e Spurs, sono tutte cose già viste” come ha sottolineato Alberto Mariani in arte Rupertgraphic uno degli esponenti italiani di questo strano e sempre più influente movimento creativo. Per chi non avesse familiarità i concept kit sono delle proposte amatoriali realizzate da designer per passione e poi pubblicate su Instagram, Behance e altre piattaforme: vi sarà capitato di imbattervi in una maglia virtuale di un collaborazione tra la Juventus e Gucci o un what if della maglia del Milan se fosse firmata da Nike. Fino a qualche anno fa si trattava solo di una piccola schiera di grafici - un po’ nerd e appassionati - ma negli ultimi anni - complici la crescita dei social, l’esplosione del gaming e il trend calcio-moda - la nicchia ha bucato il mainstream occupando prima i feed di Instagram e arrivando oggi ad influenzare la creatività di un’industria enorme come quella del calcio, in un ribaltamento di imitazione tra reale e virtuale.

“I concept kit hanno aiutato a spingere le cose in avanti e a mostrare ai brand cosa è possibile fare. ​​Questo era il mio obiettivo principale all'inizio catturare l'attenzione della gente e portare avanti le cose”. Ci ha detto da Marlon Feeney aka Sett Pace, uno dei pionieri del movimento e tra i più seguiti. Proprio lui aveva pronosticato una collaborazione di Marcelo Burlon su una maglia di calcio e - soprattuto - il trend delle colorway iridescenti, oggi presente sulla maglia away del Barcellona e del Manchester City. L’aspetto più interessante della questione è l’inversione del causalità tra il virtuale e il reale: i videogiochi sono nati con l’obiettivo di rappresentare digitalmente la realtà, oggi invece è la realtà che corre dietro al virtuale in un cortocircuito anche a livello tecnico, come aveva scritto Emanuele Atturo su Ultimo Uomo.

Non stiamo parlando solo di moda virtuale, quella FIFA l’aveva implementata da tempo impiegando anche designer di nome come Angelo Trofa, oggi si parla di dare materialità ad idee e concetti che sono nati, pensati e consumati su piattaforme digitali. Tra i primi esperimenti ci furono le quattro maglie - di cui una iridescente guarda caso - realizzate da FIFA e adidas per i quattro top club: Juventus, Bayern Monaco, Real Madrid e Manchester United. Fu un flop, il mercato delle maglie da calcio performance non era ancora pronto per uno stravolgimento estetico così profondo, nonostante nelle foto di street-style di Milano, Seoul e Parigi si iniziavano a vedere maglie da calcio re-interpretate come oggetto di moda.

FIFA allora ripiegò sul virtuale, potenziando la possibilità di customizzazione delle maglie all’interno del gioco fino a sviluppare VOLTA una modalità in cui - come nel mondo streetwear - vengono drogate collezioni virtuali firmate da grandi alfieri del calcio-moda come Hector Bellerin o il collettivo di New York Fly Nowhere. Mentre nel mondo della moda e del gaming ribolliva questa rivoluzione, l’industria del calcio ignorava o evitava questi cambiamenti culturali ed estetici che poco avevano a che fare con lo sport giocato. Infatti se si considera l’evoluzione del design della maglia da calcio, possiamo dire che negli ultimi dieci anni non ci sono stati stravolgimenti o particolare evoluzioni estetiche o nei materiali. Ci sono ovviamente delle eccezioni eccellenti - il PSG è una di queste - ma considerando il mondo dei budget terreni  pochissimi tra brand e club volevano correre il rischio di modificare un oggetto considerato sacro oltre ad essere una revenue stream secondaria ma comunque importante per entrambi. Il calcio - e il suo pubblico - è un’industria esteticamente tradizionale, che vive di nostalgia e ricordi, in cui il cambiamento di simboli e tradizioni viene percepito come un attacco all’identità.

Dopo anni di template basilari, rivisitazioni di vecchie maglie e variazioni minime di fit e colorway, l’innovazione sul mercato sta arrivando da grafici amatoriali che si trovavano fuori o ai margini dell’industria e sono riusciti a sfruttare le strada aperta dal trend del calcio-moda, surfando la crescita del gaming e il generale interesse verso le maglie da calcio. Un ruolo importante lo ha giocato Instagram, dove una buona parte (se non la maggioranza) dei 42 milioni di follower del Manchester United si è affezionata alla squadra giocando su FIFA o su PES, ammirando quindi le maglie virtuali molto più che quelle reali. La fetta di popolazione allevata a pane e videogiochi è la stessa che ha vissuto il boom dello streetwear, che soprattutto in Asia ma anche in America vuol dire logomania. Questi due macro processi hanno creato il perfetto scenario per i concept kit su Instagram: quando uno sconosciuto grafico postava sul suo feed un concept di un fantasioso kit PSG x Louis Vuitton era facile triggherare discussioni social: si tratta di contenuti divisivi, che attirano masse di tifosi pronti a disprezzare il kit di fantasia e altrettanti utenti pronti a taggare il psg per chiedere se si tratta di un fake. Molto probabilmente il trend delle finte collaborazione che ha raggiunto il suo apice nel 2018, ha ispirato quella tra Palace, adidas e Juventus, arrivando poi all’ispirazione dichiarata come nei casi di Marcelo Burlon x Napoli e soprattutto Brain-Dead x AS Roma, dove l’operazione legge in maniera ironica il corto-circuito reale-virtuale.

Molti di questi grafici hanno presente questi meccanismi e la progressiva accessibilità di programmi di customizzazione virtuale - un esempio su tutti è il Virtual Kit - ha attirato sempre più giovani e non professionisti. A guardare i concept kit non ci sono solo tifosi e appassionati, ma anche insider di brand e club come confermato da Marco Dal Bon meglio conosciuto come Emmegraphic, “non è passato inosservato agli addetti ai lavori che sono stati inevitabilmente influenzati da design sempre più esotici ed elaborati che hanno popolato i vari social al punto di voler quasi riflettere ciò che la community ha valorizzato direttamente sui campi da gioco, cavalcando l’onda”.

Quando Andrea Agnelli presentando la Superlega ha detto che “Fortnite è il nostro competitor” c’è un fondo e una parte di verità in quello che dice. L’errore sta nel pensare di ingaggiare una battaglia tra reale e virtuale, mentre invece è possibile sintetizzarle dando una materialità a ciò che è composto da algoritmi e grafiche. Come ha detto Jaime Canas in arte SOCCEPT, “i concept kit sono nati per rompere il mainstream, nel corso degli anni hanno mostrato che si può davvero innovare una maglia da calcio”.