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Kyrie Irving chiede ai giocatori di boicottare il ritorno della stagione NBA

Le reazioni alle proteste del movimento ''Black Lives Matter'' non si son fatte attendere

Kyrie Irving chiede ai giocatori di boicottare il ritorno della stagione NBA Le reazioni alle proteste del movimento ''Black Lives Matter'' non si son fatte attendere

Dopo la decisione presa dall'NBA di concludere a Disneyworld la stagione interrotta a marzo, Kyrie Irving ha condotto una teleconferenza con oltre 80 colleghi della NBA e della WNBA esprimendo la sua opposizione al riavvio della regular season 2019-20 a Orlando.

La motivazione principale su cui si fonda la presa di posizione di Irving è che la ripresa delle partite distoglierebbe l'attenzione dalla serie di proteste ''Black Lives Matter'' che sono ancora in corso in diverse città d'America e a cui recentemente han partecipato anche giocatori di spicco come Russell Westbrook e DeMar DeRozan.

"Non sostengo l'idea di andare a giocare ad Orlando. Sono fermamente contrario al razzismo sistematico e questa cosa [della ripresa in questo momento] puzza un pò. Che lo ammettiamo o no, siamo presi di mira come uomini di colore ogni giorno che ci svegliamo'' ha dichiarato la guardia dei Nets, concludendo con un "sono disposto a rinunciare a tutto affinché questa riforma sociale porti a qualcosa".

Secondo The Atheltic, tra i presenti alla conference call su Zoom anche Carmelo Anthony, Joel Embiid, Chris Paul, Kevin Durant, Avery Bradley, Donovan Mitchell e Dwight Howard, che ha condiviso una lunga dichiarazione a sostegno di Irving, sottolineando che il basket o qualsiasi forma di intrattenimento "non è necessaria in questo momento e sarà solo una distrazione. Abbiamo risorse a portata di mano che la maggior parte della nostra comunità non ha e la più piccola distrazione può portare ad un effetto a cascata che potrebbe non fermarsi mai, soprattutto con il clima che c'è ora. Ovviamente mi piacerebbe vincere il mio primo campionato NBA, ma vedere un popolo unito sarebbe una vittoria ancora più grande, troppo bella per lasciarsela scappare. Quale momento migliore di adesso per concentrarci sulle nostre famiglie? Niente pallacanestro fino a quando non avremo risolto le cose".

Nonostante la potente dichiarazione, anche l'agente di Howard Charles Briscoe ha rincarato la dose su ESPN, dichiarando che il giocatore non ha preso una decisione definitiva riguardo all'andare o meno ad Orlando: "La dichiarazione riguardava l'ingiustizia sociale e il razzismo. Eppure tutti parlano ancora se si debba giocare a basket. Non sta dicendo che il basket non dovrebbe esserci, sta solo dicendo che non bisognerebbe distogliere l'attenzione da quello che sta succedendo per parlare di basket. Il basket è solo uno sport, ma quello che succede con le persone che muoiono per strada, è qualcosa di reale''.

Nel frattempo, all’interno della discussione è intervenuto anche Patrick Beverley, playmaker dei Los Angeles Clippers, il quale ha sostanzialmente chiuso la questione dichiarando che se LeBron James deciderà di voler tornare a giocare, allora tutti dovranno farlo.

Non si è realmente capito se il Tweet di Beverley fosse una provocazione nei confronti della Lega suddita di LBJ o se fosse un attestato di stima indiretto verso il numero 23 dei Lakers, il quale, oltre a non aver partecipato alla call di venerdì, non si è nemmeno opposto alla ripresa della stagione, scelta motivata dal fatto che i gialloviola sono una tra le squadre favorite per la vittoria finale e, in più, a LBJ - anagraficamente non più così giovane - non rimarrebbero tante stagioni per poter ambire all'anello.

Ragionamento sostanzialmente opposto rispetto a quello del suo compagno Howard, anche se fonti interne dicono che nonostante le divergenze di opinione ''non c’è alcuna divisione all'interno della squadra''.

In linea definitiva, la NBA si è espressa favorevole alle proteste - tanto da lanciare un format, #NBAVoices, per dar voce ai propri giocatori sulle recenti tematiche -, e Adam Silver si è dimostrato comprensivo sul fatto che i propri giocatori non vogliano scendere in campo per riuscire a dare ulteriore voce alle proteste anti-razziste, ma bisogna sempre tener conto che la Lega in primis deve necessariamente far fronte all'aspetto economico. Motivo per cui la NBA non obbligherà nessuno a partecipare al finale di stagione in Florida (sia per motivi di pericolo sanitario, sia per motivi di protesta anti-razzista) ma nel momento in cui alcuni giocatori dovessero decidere di negare la propria presenza, il loro stipendio verrebbe automaticamente decurtato per una percentuale pari al 35%.