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Il filo rosso tra le dita di Lamar Odom (Parte II)

Torna The Basketball Disease, con una delle storie più incredibili della National Basketball Association

Il filo rosso tra le dita di Lamar Odom (Parte II) Torna The Basketball Disease, con una delle storie più incredibili della National Basketball Association

É tra le braccia dei compagni, sotto i riflettori di tutti. Quel tiro sulla sirena era lo sparo per l'inizio di una corsa, una di quelle corse che superano di sicuro i 300 metri. C'è un detto molto simpatico nella NBA che usano gli addetti ai lavori: “Dimmi che squadra ti sceglie e ti dirò che giocatore diventi”

Jeff-Jeff Schwartz è il manager che lo rappresenta per entrare nella lega professionistica. Dopo alcuni fallimenti con Jeff Klein, viene scelto con la chiamata numero quattro dai Los Angeles Clippers nel 1999 - collezionando solo 15 vittorie, ma mantenendo una media di 16,6 punti, 7,8 rimbalzi e 4,2 assist a partita. L’anno successivo arrivano Darius Miles, Quentin Richardson - sì, quelli che si battevano i pugni sulla fascetta - Corey Maggette, Elton Brand e Keyon Dooling, sfiorando per un pelo l’accesso ai play-off. Ma Lamar viene sospeso dalla lega per uso di sostante stupefacenti - la marijuana girava nei globuli rossi in tutte le parti del suo corpo - e gioca solo 49 partite, anche per colpa di vari infortuni. Per la serie “quando piove, diluvia”, nell’estate dello stesso anno in cui divenne free agent, l’amata nonna, che era tutta la sua famiglia, viene meno a causa di un malore grave.

 

Almeno fin qui, nella vita di Lamar Odom c’è sempre una persona che riesce a salvarlo dai momenti difficili e in quel momento la persona fu Pat Riley, che lo portò ai Miami Heat per una stagione. Con Wade da Rookie, Pat gli insegna come stare in campo a quei livelli e la squadra raggiunge gara 6 delle finali di Eastern Conference. La svolta nella sua carriera, però, arriva quando venne ceduto ai Los Angeles Lakers, realizzando il sogno così tanto desiderato da bambino. Il 14 luglio 2004, Odom viene scambiato insieme a Caron Butler, Brian Grant in cambio di Shaquille O'Neal. I primi anni sono discreti ma la vera svolta arriva con l’ingaggio di Pau Gasol, centro catalano proveniente dai Memphis Grizzlies.

Come sempre, quando arrivi in una squadra del “venerabile Zen”, la tua vita cambia totalmente. Anche la visione di gioco e infatti, nel loro sistema “read-n-react” - leggi e reagisci - Odom è perfetto e spesso gioca anche da playmaker. Ma come? Anche con Kobe in squadra, Odom playmaker? Sì, un play di 208 cm. Coach Phil Jackson rivede Toni Kukoc, il “cameriere” mancino con cui vinse 3 titoli ai Chicago Bulls nell’era Jordan, in Lamar. Ma Odom per certi versi è molto più forte e quando è in campo, gli equilibri della partita li sposta per davvero. Giocano tre finali consecutive, vincendo due campionati NBA (2009, 2010) e il premo di Sixth Man of the Year (2011).

Si dice che gli Dei dell’Olimpo tormentino chi vedono e Lamar in campo era realmente visibile, anche se entrava dalla panchina. Durante la sua carriera ha spesso frequentato un amico con cui divideva la divisa nel periodo dell’High School all’AAU: Ron “The Warrior” Artest. Ad un party di quest’ultimo, arrivano all’improvviso due delle sorelle Kardashian, tra cui Khloé, che incrocia da subito gli sguardi di Lamar. All’epoca era uscito da situazioni complicatissime, tra cui il matrimonio con Liza Morales, da cui aveva avuto tre figli. Purtroppo l’ultimo, Jayden, muore dopo un anno di vita nella sua culla a New York. Era il 2006 e il colpo incassato da Lamar è stato devastante.

Le sorelle Kardashian per chi non lo sapesse, sono delle ereditiere figlie di Robert Kardashian, famoso avvocato e dell'imprenditrice Kris Jenner. L’ambiente sportivo a Klohé e Kim piace tantissimo e infatti negli anni precedenti tra le loro braccia sono passati tra gli altri: Reggie Buss, Miles Austin, Derrick Ward (NFL), Kris Humphries e Rashad McCants (NBA) e Matt Kemp (MLB), oltre che il nostro Lamar Odom. Ecco, ora in ordine come in quest’elenco, vi dico come sono le carriere di questi giocatori una volta che hanno incontrato una delle due sorelle: finita nello scandalo NCAA, carriera finita, performance dimezzata, stagioni disastrose, incolpa Klohé per la fine della sua carriera NBA, le due stagioni peggiori della sua carriera. E poi c’è Lamar.

 

Lamar è probabilmente ossessionato da lei. In molti periodi bui della sua relazione con Kholé, gli dicono che lei lo sta rovinando, ma la sua risposta è sempre la stessa: “Attento, stai parlando di mia moglie”. Si, perché la sposta nel 2009 e da qui in poi arrivano gli show televisivi come “A spasso con le Kardashian” e “Khloe & Lamar” e lui prende aerei su aerei per essere presente sul set con la moglie. Ho perso una dozzina di minuti della mia vita a guardare qualche spezzone di questi reality e ho visto un genio del basket in condizioni pietose. E infatti i Lakers, dopo i titoli vinti insieme, lo spediscono ai Dallas Mavericks.

Durante questo periodo, gli è capitato di addormentarsi nelle sessioni di allenamento davanti agli occhi dei compagni oppure di non presentarsi affatto, perché la “moglie non lo faceva andare”, come mia nonna non voleva mandare mio nonno al bar per la classica partita di tre sette con gli amici. Giustificazione? “Cause familiari”, ma tutti sapevano il vero motivo. Il declino della sua carriera arriva qui, perché Mark Cuban - proprietario della squadra che di soldi ne ha fatti e non per caso - lo manda in D-league, la lega minore del basket NBA. Il matrimonio con Khloé inizia a fare acqua in molti punti della nave e Odom, per provare a tappare queste buchi, fa di tutto per ritornare a Los Angeles e ci riesce, ritornando ai Clippers. La stagione è un disastro che chiude con 6,6 punti in 20 minuti e spiccioli, con i minimi in carriera di percentuale di tiro, rimbalzi e assist. S’intravede l’iceberg, è dritto davanti a lui, che però non riesce più a scegliere una nuova rotta per evitare l’impatto drastico. Il 13 dicembre del 2013, Khloé chiede il divorzio e l’anno dopo il suo migliore amico, Jamie Sangouthai, muore per overdose.

Viene scambiato ai New York Knicks, dove il presidente è Phil Jackson, ex allenatore con cui ha vinto i suoi due titoli NBA. Gli viene strappato il contratto e finisce al Laboral Kutxa Baskonia, dall’altra parte dell’oceano. Qui i suoi problemi legati alla droga risalgono a galla. Finisce in coma nel Love Ranch, un bordello nella città di Crystal, nel Nevada. Un genio della pallacanestro distrutto, ridotto in fin di vita per cose che non riguardavano il suo primo amore. Vedere le telecamere delle Kardashian che entravano e uscivano dall’ospedale, inquadrandolo mentre era in coma con una farsa di lacrime sul viso dell’ex moglie, è stato terribile per ogni suo tifoso.

Quel filo rosso al mignolo della sua mano sinistra era sparito, perché era solo, solo come poche persone al mondo in quel bordello tra prostitute e droga. Quel filo rosso forse lui non l’ha mai avuto, o meglio, forse non era un filo rosso ma arancione e nero, proprio come un pallone da basket. Perché solo il basket ha sempre salvato la sua vita e forse tutti i suoi tifosi, me compreso, hanno fatto si che lui non morisse in quel modo e sopratutto in questo momento della sua vita.

Potrebbe dare ancora tanto al basket, forse anche come allenatore, ma nessuno di noi può dirlo ora come ora. Forse arriverà un altra persona a salvarlo come è sempre stato nella sua vita, come Craig Sager fece con Dennis Rodman. Pare che a breve dovrebbe uscire una sua autobiografia, che forse ci racconterà qualcosa di bello o qualcosa di orrendo che ha dovuto passare nella sua vita. Una cosa è certa però, grazie a lui abbiamo imparato che:

“Nobody’s immune to tough times / Nessuno è immune ai momenti difficili".