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Il filo rosso tra le dita di Lamar Odom (Parte I)

Torna The Basketball Disease, con una delle storie più incredibili della National Basketball Association

Il filo rosso tra le dita di Lamar Odom (Parte I) Torna The Basketball Disease, con una delle storie più incredibili della National Basketball Association

L’altro giorno ero con una ragazza, nel ristorante Mao Hunan a Milano, che aveva un filo rosso tatuato attorno al polso. Mentre mi parlava del suo significato, con tutti i riferimenti alla leggenda cinese del “filo del destino”, i miei pensieri erano stabili e irremovibili su Lamar Odom.

La tradizione cinese narra che ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra, che lo lega alla propria anima gemella. Il filo ha la caratteristica di essere indistruttibile: le due persone sono destinate, prima o poi, a incontrarsi e a sposarsi. Il protagonista della storia, Wei, era un uomo che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e avere una grande famiglia. Proprio come Lamar Odom, che diventò orfano a soli dodici anni.

 

Sua madre morì per un cancro al colon, mentre il padre era un tossicodipendente di eroina. Infatti il ragazzino che abitava nel South Jamaica Queens a New York City, fu educato da sempre dalla nonna materna, diventata famosa nel quartiere perché s’iscrisse all’università a 44 anni suonati. Il ragazzo, comunque, trovò “rifugio” in questo pallone arancione a spicchi che aveva sempre in mano, ma dentro casa veniva sgridato ripetutamente perché non poteva palleggiare sulle mattonelle dell’appartamento, visto che si scollavano facilmente.

La scuola non è mai stata il suo obbiettivo primario, anche perché la nonna lo iscrisse alla Christ the King Regional High School, situata all’interno di una diocesi cattolica. Vi lascio quindi immaginare il clima. Stranamente però, da qui sono usciti molti atleti, tra cui ex cestisti NBA come Jayson Williams, Omar Cook, Speedy Claxton e Khalid Reeves.

Durante la sua prima stagione in questo posto dove le persone sono timorate di Dio, cresce di 20 centimetri e tratta la palla con un’ eleganza celestiale. Vede delle cose in campo che nessuno ha mai fatto prima e muove i piedi meglio di Fred Astaire nei duetti con Ginger Rogers, anche se Stephon Marbury gli rovinò lo show per il grande ballo di fine anno. Al campetto lo chiamavano “Little Lloyd" in onore alla leggenda newyorkese Lloyd “Swee' Pea” Daniels e tenete l’icona aperta su di lui perché con Odom hanno molto in comune.

Nel suo secondo anno guidò la squadra con 36 punti nella finale per il titolo studentesco nel Madison Square Garden ricevendo il premio di “Player of the year” dal New York Daily News. Purtroppo la situazione a scuola era disastrosa, i suoi voti erano terribili - se c’erano - e il trasferimento alla Troy Academy fu quasi obbligatorio. Durò pochissimo, anzi, quasi zero e finì prima alla Thomas Aquinas High School e poi alla New Britain, alla corte di Jerry DeGregorio, che poi diventerà letteralmente il padre adottivo.

 

Quindi bene, ma non benissimo. Anzi no, male, malissimo! Perché senza la scuola non può giocare a basket e non può costruirsi un futuro. La nonna però, ha sulla sua vita lo stesso ball-handling che lui aveva con la sua mano mancina sulla palla. Fin da piccolo gli rifilava delle caramelle in tasca ogni volta che usciva di casa e per questo motivo fu soprannominato dagli amici “The Candy Man”

É risaputo che le caramelle rovinino i denti, ma forse i suoi sono l’unico elemento della sua vita che non ha mai avuto un maledetto problema. Ha qualche acciacco a livello fisico, che però non gli impedisce di vincere nel 1997 il Parade Player of the Year, entrando subito nel team AAU (già citato nella storia di God Shammgod), condividendo il sudore e i lividi in campo con Ron Artest (Metta World Peace) e Elton Brand.

 

Viene invitato all’adidas ABCD Camp, dove incontra per la prima volta Kobe Bryant, Tracy McGrady, un certo James Felton, Quentin Richardson e Al Harrington. Sonny Vaccaro è il fondatore di questo camp e quando Sonny ti chiama, la risposta deve essere: “Ho la valigia pronta, prendo il primo aereo”. Stiamo parlando di colui che fece firmare Michael Jordan con la Nike, quindi se in questo momento indossate le scarpe con il logo dello Jumpman, un grazie a lui lo dovete. 

Sonny lo venera con i giornalisti presenti al camp e nella tasca di Lamar Odom arrivano diversi biglietti da visita di vari manager che vogliono fargli fare il grande salto nei pro. Lui all’università ci vuole andare, perché vuole dimostrare alla nonna che può farcela senza aiuti. Sceglie la University of Nevada di Las Vegas (UNLV), ma un punteggio troppo alto - truccato per l’ammissione - e un pagamento illecito di $5,600 da parte di David Chapman, non gli permetteranno di giocare neanche una partita.

Jerry DeGregorio lo salvò e lo portò alla University of Rhode Island, ma resta fuori una stagione intera e la retta la pagò il padre. Sì, quello sempre strafatto di eroina, visto che riceveva dallo stato la “pensione di guerra”. Dopo due semestri ha il permesso di giocare e sono 17,6 punti ad allacciata di scarpa, premio di Rookie dell’Anno per la Atlantic 10, ma sopratutto la tripla decisiva sullo scadere per il titolo della conference contro Temple University. Il termine newyorkese esatto per quel tiro è  “Wet”, il cui significato è un connubio tra un allusione sessuale e la palla che entra scivolando attraverso la retina, senza toccare il ferro. Un orgasmo praticamente.

Forse però, il vero orgasmo sta per arrivare sul serio. Il sogno di diventare un giocatore professionista potrebbe essere dietro l'angolo o forse no… Restate sintonizzati per Gara 2.