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El ultimo tango del Contusión

The Basketball Disease

El ultimo tango del Contusión The Basketball Disease

“Papaàà, papà, papààà! Leandro y Sebastián no pasan la pelota!”

“Manu vienen aquí, que sean solos los dos, venga a ver la televisión con mi.”

Se questo bambino più piccolo di 7 e 5 anni rispetto ai sui due rispettivi fratelli non fosse andando dal padre mentre in tv davano le finali dell’NBA, probabilmente la mia vita alle 4 del mattino sarebbe completamente diversa. Purtroppo per il mio corpo e per voi, il basket vince su tutto e quindi sono qui a parlarvi di lui. Per la “Disease” non esistono cure.

 

1) Due gatti danno da fare anche a un leone (vecchio proverbio).

In Argentina e sopratutto a Buenos Aires, si vive e si respira per il calcio. Ma c’è un’eccezione nella sua provincia, lungo la costa, a 4 ore di distanza, c’è Bahía Blanca dove il basket è lo sport numero uno. Infatti Jorge Ginobili è l’allenatore - ed era il responsabile - del Bahiense del Norte, dove i suoi due figli Leandro e Sebastian giocavano. Poi ce n’era un altro magrolino, Manu, che senza farsi sgridare ogni tanto entrava in campo nei momenti morti, nelle pause e durante gli allentamenti per tirare a canestro, proprio come faceva dall’altra parte dell'oceano il giovane Kobe Bryant in Italia durante le partite del padre.

Si innamora della palla come Paul Varjak di Holly Golightly, interpretata da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, lui stesso ne è vittima del suo fascino. Gli allenatori che gli insegnano come toccare la “donna” col vestito arancione con i bordini neri sono Fabian Horvath e Oscar Sanchez. Ma lui non è per niente bravo, mentre il suo migliore amico Pepe Sanchez, macino come lui, è già nel cerchio della nazionale a 14 anni.

 

2) "Senza ossessione non esiste il campione”.

Nella storia di Manu Ginobili c’è un episodio che smaschera l’ossessione o la devozione, a voi la scelta, verso questo gioco. Nel 1991 gli venne regalata la cassetta di “Come Fly With Me” di Michael Jordan, con Jay Thomas alla narrazione. Questo potrebbe essere il punto zero, o meglio ancora il punto di non ritorno. La divora, i genitori dovettero sequestragliela perché la rimanda in loop, “all day and every days”. In più, aveva comprato e appeso nella sua camera un poster di MJ a grandezza naturale, di cui ogni sera controllava l'attaccatura per esser sicuro che non si staccasse dal muro.

Mentre Manu non riesce ad entrare negli All-Star della baia, il suo migliore amico Pepe finisce alla corte di John Chaney nell’università di Temple. Il corpo non lo aiuta, non riesce a mettere massa muscolare e pensa solo 65 kg per 180 cm, talmente leggero che un suo allenatore gli impedì di salire sulla linea dei tre punti per tirare perché non aveva troppa forza per far arrivare la palla al ferro. Comunque, nell’area pitturata lui ci andava ed ogni tanto ci  entrava con la moto e in maniera molto più “selvaggia” delle Harley Davidson di Dennis Hopper e Peter Fonda in Easy Rider.

A 18 anni, qualcuno si accorge di lui. Esce sempre dando il cinque ai tifosi dal campo e i “seguaci” dell’Andino Sport Club, nella provincia di La Rioja, gli voglio molto bene, anche se entra di rado. Quando poi però viene ingaggiato dall'Estudiantes Bahia Blanca, l’aria sul quel parquet iniziò a cambiare ad ogni partita. Qui, nonostante la seconda stagione chiusa come primo per punti nella lega, venne battezzato come “il più scarso dei fratelli Ginobili”.

 

3) La Telefonata di R.C. Buford

“Spursello”, o San Antonio City, soprannominata così da me e dal mio migliore amico Marco - perché obiettivamente non è la New York dei vostri sogni sulla West Coast nel Nordamerica, quanto piuttosto un paesino dove tutto può essere nascosto - succede qualcosa di pazzesco. È arrivato dal draft Tim Duncan, che insieme a David Robinson forma le “Torri Gemelle” e vince il primo titolo della franchigia nella stagione 1999, sconfiggendo i New York Knicks.

Dall’altra parte dell’oceano però, mentre cresce di dieci centimetri in una sola estate, nella Viola Reggio Calabria, in Italia, approda "El Diablo mancino”, che col numero 10 ne combina di cotte e di crude, tra cui il primo “passaggio tunnel” tra le gambe del difensore per servire un compagno a canestro.

Ginobili accedeva e spegneva la partita quando voleva lui. Diventa leader dentro e fuori dal campo, porta alla promozione in Serie A1 la società e instaura un rapporto fantastico con il dirigente storico. Che gli combina una “marachella”: lo mette in cattiva luce con Marinela, la fidanzata storica, perché nell’avvisarlo gli scappa un: “Ma tu quale delle sue ragazze sei?”. Ma Manu dribbla in pochi giorni l’ostacolo, alla sua maniera, e la sposa.

 

Prima di tutto questo però, nel 1997, El Narizòn - altro soprannome preso per colpa del naso strano nel DNA familiare - asfalta qualsiasi avversario nel “The Tournament of the Americas”, torneo under 22, e alla fine di una partita lo avvicina un appassionato di vini e ristoranti. Un ex agente della Central Intelligence Agency che ha iniziato la sua carriera di head coach a Pomona-Pitzer. È Gregg Popovich, che lo guarda con la coda dell’occhio e poi, guardando dall’altra, gli dice: “Hey, ragazzo” e scappa via. Niente di più, due parole a cui Manu risponde senza aprire bocca con lo sguardo un po’ spaesato.

Qualche giorno dopo, il GM dei San Antonio Spurs, R.C. Buford, lo chiama e gli dice che lo hanno scelto al Draft NBA con la chiamata numero 57° e mentre tutti gli altri giocatori vanno a New York come se fosse l’invito al grande ballo scolastico più importante della vita, lui no, lo seppe 3 giorni dopo l’evento.

 

4) Le Lezioni Di Tango.

A Reggio Calabria Gaetano Gebbia lo plasma ancora per un anno, gli insegna a leggere meglio il gioco e le spaziature lungo i due lati del campo e gli dà carta bianca a livello creativo. Queste condizioni riescono a far arrivare la squadra ai playoff, con un “Mascalzone Latino” sempre più ispirato. Infatti a fine anno lo vogliono nel roster di tutte le squadre più importanti d’Europa. Gebbia era assistente e ha avuto anche come mentore “o Paròn”, Tonino Zorzi, che a latere consiglia molto al suo ex allievo.

Non c’è modo di trattenerlo al sud e finisce alla corte di Ettore Messina a Basket City, nella casa delle “V” nere di Bologna, in un tira e molla vinto contro l’ingaggio di Andrea Meneghin. Tra l’altro, il coach non la prese molto bene, il dialogo con un amico giornalista fu più o meno così: «Ettore, grande affare prendere ‘sto argentino invece che Andrea Meneghin. Dai retta a me, che questo qui è buono e non poco.» «Ma dai Franco, tutti che me la menate con sto argentino adesso!»

Nella storia di ogni campione c’è sempre un momento dove bisogna salire in cattedra grazie a un’occasione e qui arrivò quello di “Obi Wan-Ginobili”, altro soprannome. Lui doveva essere il secondo violino accanto a Danilovic, ma quest’ultimo, prima dell’inizio della stagione, decise di appendere le scarpe al chiodo. Quindi Manu con arroganza, ma con l’eleganza giusta di un ballerino che corteggia la sua dama in un tango di 360 giorni, non solo entra nell’orchestra principale, ma ne diventa anche il direttore in campo. E Messina si deve ricredere e gli crea anche degli schemi che lo vestono su misura con tessuti di lusso.

È un poeta con la palla in mano, William Shakespeare ispirato da un solo amore. Vince la coppa Italia, il campionato italiano e sopratutto l’Eurolega, eliminando il Tau Vitoria con una performance più che spettacolare, simile ad uno show di Harry Houdini visto però dagli occhi di un bambino. Ha un movimento nel suo repertorio che incanta tutti: il ‘Behind the Back Step Back’. Potrebbe essere benissimo un passo di tango, anzi potrebbe addirittura aver partecipato a qualche lezione della scuola di danza. Lo esegue sempre sul lato sinistro del campo, quello della sua mano forte, ossia spingendo verso il canestro e poi andando dietro schiena come se volesse andare a destra, facendo poi un arresto a due tempi andando indietro e tirando. Questa era un suo marchio di fabbrica, ma poi ci sono anche la riga di fondo presa da destra, andando in terzo tempo sul lato opposto del ferro e l’uno-due-step saltellato, discontinuo e scoordinato al centro della lunetta. Poi, in Italia ha imparato molto il “flop”, tecnica che pagherà poi nel futuro con gli arbitri e viceversa.

 

5) El capitán y El Hombre Presidente De La Nación

Da questo momento in poi, gli Spurs si sono ricordati di lui e di averlo preso qualche anno prima e gli offrono un discreto contratto. Discute spesso con Popovich, che ovviamente ha un modo tutto suo di parlare ai giocatori e lo inserisce nel suo sistema, senza nemmeno offrirgli un bicchiere di vino di benvenuto. La squadra però, impiega due anni a trovare una chimica giusta. Nella stagione 2002-03 vincono il titolo battendo i New Jersey Nets dei “5 Circus”, addestrati da Jason Kidd, in sette gare, dove Emanuel David "Manu" Ginóbili Maccari è fondamentale.

Poi arrivano i giochi di Atene, le olimpiadi del 2004, dove l’Argentina è guidata da lui e non lo chiamano ‘Manu’ ma “El Capitan”. Perché? C’è un antefatto che lo spiega. A Gennaio dello stesso anno, al primo giorno di allenamento per la selezione della nazionale, nella palestra designata per ospitare la seduta non funziona il riscaldamento, per cui in campo ci sono -3 gradi. Tutti si lamentano e tutti minacciano di non allenarsi, in un clima congelato dove Rubén Magnano va a prendere addirittura un caffè pur di non sentire i discorsi dei suoi giocatori. Nessuno nota che Manu non dice niente e che all’improvviso inizia a correre lungo i limiti del campo con addosso eskimo, cappuccio e guanti. “Se va El Capitan, dobbiamo andare tutti”. Lo seguono: Carlos Delfino, Andrés Nocioni, Gabriel Fernández, Fabricio Oberto, Hugo Sconochini, Alejandro Montecchia e tutti gli altri.

Magnano torna appagato dal suo caffè e lascia il ragazzo col nasone a guidare l’allenamento senza interferire. Da questa cosa ne nasce una sinergia pazzesca, che li aiuta a sconfiggere gli Stati Uniti dopo 58 partite di imbattibilità e li porta alla medaglia d’oro contro la Serbia, con una vittoria allo scadere grazie ad un tiro in corsa di Manu. Tra l’altro, in un’altra partita contro la Russia, fee 21 punti in 23 minuti in faccia al centro Alexei Savrasenko, distruggendo il suo futuro nella NBA.

 

6) L’ultimo Tango all'AT&T Center (forse). Otra vez Manu, por favor.

 

Negli anni a seguire non lo si ferma più e il suo talento diventa una manifestazione zen di controllo del corpo e di tocco sul pallone. Con gli Spurs vince il titolo NBA nel 2005, 2007 e nel 2014, andandoci molto vicino nel 2013 - per altre spiegazioni citofonare a casa di Ray Allen. Le stagioni che ha disputato sono incredibili, il suo gioco è cambiato ulteriormente e ha dato degli assist che solo Maradona avrebbe potuto prevedere con l’argo anticipo, valutando la traiettoria che avrebbe dovuto fare il pallone. In queste due ultime stagioni hanno trovato prima gli Oklahoma City Thunder e poi gli Warriors di Steph Curry sulla corsa al titolo, ma non hanno mai abbassato la testa. Sopratutto Manu, che da solo senza Parker, dopo il ritiro di Duncan e con un Leonard infortunato, ha fermato James Harden e gli Houston Rockets, lottando fino all’ultimo secondo.

Forse è stato l’ultimo capitolo di Manu Ginobili? Forse questa è stata l’ultima lezione di tango argentino? In quest’ultima fase è stato un maestro del gioco per come lasciava andare via la palla o per come trascinava i compagni a dare di più. Tutti gli appassionati aspettano una risposta a queste domande, anche se una goccia d’amore può portare un oceano di lacrime. E per lui di lacrime ne usciranno ben poche, perché come i grandi giocatori baciati dagli Dei del basket non smetteranno mai di scorrere.