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Figli di Chicago: "Money" & "The Kid"

The Basketball's Disease

Figli di Chicago: Money & The Kid The Basketball's Disease

Su internet spesso si trovano le storie leggendarie che riguardano questo splendido gioco inventato dal professor James Naismith, ma alcune di queste non si trovano molto facilmente, anche se hanno lasciato un segno indelebile su quel pallone che unisce tutte le culture del globo. The Basketball's Disease è stata creata apposta per dar luce a chi non può far a meno di sapere.

Ad esempio c’è una storia che la Reebok fece sua anni fa, era la quella di Lamar Mundane, ragazzo mai diventato giocatore professionista, con il soprannome “Money”, per cui si creò l’espressione “Money in the bank”. Il perché? Beh, il concetto è semplice. Lamar ogni volta che alzava il braccio tirando la palla nella direzione del canestro erano 2 o 3 punti sicuri, tirava con il 100% dal campo.

Sui playground più ambiti di Chicago godeva di talmente tanta fiducia che che gli davano il pallone dell’ultimo tiro per la vittoria come se si dovessero mettere in banca tutti i risparmi della propria vita. L’unico problema è che non capiva nulla della pallacanestro e le rare volte che tirava in sottomano anche da solo, sbagliava. Solo crossover e arresto e tiro. Tirava da Dio, anche se non sapeva né schiacciare né passare la palla. Se non ci credete, allora ponete delle domande a Maurice Cheeks e Terry Cummings, oppure anche a Danny Crawford. Poi vi sfido a trovare una sua foto sul web in cambio di “money”.

Ora però restiamo nella Windy City e parliamo di questa icona di resistenza umana che è stata fotografata nell’immagine copertina di quest’articolo. Si dice che schiacciasse già dalle elementari. Era forte, era davvero forte, ed era anche quasi esploso. Peccato che è stato vittima delle circostanze; prima fra tutte, se stesso.

Il suo nome era Billy “The Kid” Harris, e già alla Dunbar Vocational High School dominava sia nel baseball che nel basket a livello nazionale. Durante più partite con due avversari fissi addosso che lo inseguivano, come Zorro e gli uomini del sergente Demetrio Lopez-Garcia, fece 21 su 22, tirando meglio di chi depositava i soldi in banca sui campetti. In una partita, dopo il suo trasferimento alla Lindblom High School, sempre nel South Side, ne segnò 57, di cui 41 nel secondo tempo con 27 su 39 al tiro.

 

Chiudendo la stagione con 36 di media, finì nel mirino di Kansas University ma poi scelse, sbagliando tutto, la Northern Illinois, dove giocò una discreta stagione con un exploit al Madison Square Garden da 38 punti. Sul campo era irrispettoso, rispondeva a tutti con un trash talk unico. Persino le future star NBA come Doug Collins e Jim Brewer non sono mai riuscite a contenerlo. Nel draft del ’73 lo scelsero i Chicago Bulls, ma non ebbe mai un’occasione vera e propria. In più spacciava e il suo gioco, chiamato “chutzpah” in lingua yiddish, con voli a 30 cm sopra il ferro, finì nella ABA, ai San Diego Conquistadores. Purtroppo non recepiva i discorsi sul gioco di squadra e sulla difesa. Si narra che non sapesse nemmeno marcare il proprio cappellino. Era il giocatore più selvaggio su qualsiasi playground del globo, gli interessava solo “superare la metà campo e segnarti in faccia”. Oltre alla droga, non si fece sfuggire nemmeno una donna e infatti nel 2010, dopo una carriera da allenatore giovanile, ha lasciato in lacrime sei figli e otto figliastri.

 

A Chicago si dice: “Per chi viene dal ghetto l’unico sogno è diventare professionista. A chi non ce la fa, tanto vale sparargli un colpo in testa". Fu lui il più grande giocatore assieme al contemporaneo James "Fly” Williams? 

"Between the ages of 16-30, there is no player that could ever beat me. Jordan, Doc, Bird, Oscar, Magic, any of 'em. I would have fucked them up. I'd give them 22 points in a game to 24. They would never beat me.” (Billy "The Kid" Harris)