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"Football, bloody hell", Sir Alex Ferguson

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26 Maggio 1999: al Camp Nou di Barcellona si gioca l’ultimo atto della Champions League. Il torneo, denominato Coppa dei Campioni prima e trasformato in UEFA Champions League nel ‘92, vede sfidarsi due tra le squadre più forti e vincenti di quel decennio: Manchester United e Bayern Monaco. Nonostante il numero clamoroso di campioni presenti sul terreno di gioco, quella notte la sfida decisiva si giocò in panchina. Mentre i bavaresi erano guidati da Ottmar Hitzfeld, già vincitore della Champions League due anni prima con il Borussia Dortmund, sulla panchina dello United dettava legge un signore scozzese dalle guance rosse: Sir Alex Ferguson

“The Boss”

Viene naturale ricordare Sir Alex Ferguson come il manager più longevo sulla panchina dello United visti i clamorosi risultati raggiunti: 38 trofei in 26 anni di gestione. Tuttavia il Boss di Manchester non è solo questo: nato e cresciuto a Glasgow, visti i limitati risultati ottenuti come giocatore decide di intraprendere la strada dell’allenatore. Nel 1978 gli viene affidata un po’ a sorpresa la panchina dell’Aberdeen; i successi non tardano certo ad arrivare: tra il 1980 e il 1986 ottiene incredibili risultati con il club scozzese, il più clamoroso dei quali si consuma durante la stagione ‘82-‘83 quando l’Aberdeen centra uno storico treble conquistando Campionato, Coppa di Lega e Coppa dei Campioni battendo in finale il Real Madrid. Nel 1986 viene ingaggiato dal Manchester United dopo una parentesi come CT della Scozia.

Ciò che salta subito all’occhio osservando i successi di Ferguson è la sua capacità organizzativa e manageriale: durante i 26 anni di gestione del club inglese ha visto susseguirsi tre se non quattro generazioni di campioni; nonostante ciò è sempre stato in grado di creare nuove soluzioni per i migliori giocatori della rosa, a patto che questi si sacrificassero per la squadra. Tra i suoi punti di forza c’è sempre stata l’osservazione. Nell’autobiografia pubblicata nel 2013 ed intitolata “Alex Ferguson: My Autobiography” lo scozzese sottolinea fin da subito una delle chiavi dei suoi successi: 

Quando dedichi la vita al calcio sai che avrai alti e bassi, sconfitte e dispiaceri. Nei miei primi anni da manager di Aberdeen e Manchester United ho deciso fin da subito che per costruire un rapporto di fiducia e rispetto con i calciatori, dovevo essere il primo a dare rispetto e fiducia. Sono stato aiutato dalla mia abilità di osservare. Alcune persone entrano in una stanza e non notano nulla. Usa i tuoi occhi; è tutto là fuori. Ho usato questa mia abilità per giudicare le abitudini, gli umori e i comportamenti dei giocatori in allenamento.”

Nonostante a volte sembri che gli allenatori vadano tutti d’amore e d’accordo, la realtà dice altro. Sir Alex Ferguson, ad esempio, ha provato ammirazione per alcuni allenatori, indifferenza per altri. Al termine di ogni match disputato sia all’Old Trafford che fuori casa, era prassi che Sir Alex si fermasse a bere un bicchiere di vino col manager rivale, seguendo un certo codice d’onore sportivo, oltre che alcolico. Benitez e Wenger non sono stati di certo gli allenatori con cui Ferguson aveva troppa voglia di intrattenersi a bere vino durante i post partita, mentre ha sempre avuto parole di apprezzamento e stima verso il calcio proposto da Marcello Lippi, considerato una fonte di ispirazione. Dopo aver eliminato la Juventus in semi-finale Ferguson disse: “Questa vittoria dimostra quanto di buono la squadra è riuscita ad esprimere negli ultimi anni. Battere la Juventus è per noi motivo di grande orgoglio.” Per quanto riguarda Josè Mourinho, attuale manager dello United, Sir Alex ha sempre avuto parole di apprezzamento, tranne che per le sue scelte vinicole. Di Josè disse quando il portoghese allenava il Chelsea: “Era sicuramente fiero, chiamandomi sia “Boss” che “Grande Uomo” quando bevemmo il solito drink post-partita dopo il girone d’andata. Sarebbe stato d’aiuto se i complimenti fossero stati accompagnati da un bicchiere di vino decente. Quello che mi ha dato era vernice rossa!

Pronti, via! 1-0 Bayern 

Durante i suoi 26 anni di gestione allo United, Alex Ferguson ha vissuto qualsiasi forma di emozione calcistica: tuttavia è alquanto improbabile che avesse immaginato un finale di stagione come quello che gli riservò quella notte di Barcellona. Sir Alex decise di schierare una formazione compatta: al centro del campo David Beckham e Nicki Butt mentre in attacco lo scozzese scelse i gemelli del gol Dwight Yorke e Andy Cole. Di contro, il Bayern scese in campo con Lothar Matthäus più altri dieci giocatori che successivamente scrissero pagine di storia del Bayern. 

La finale del Camp Nou si mise subito male per Ferguson e soci: dopo 5’ Mario Basler beffa da calcio di punizione un colpevole Peter Schmeichel. 1-0 Bayern Monaco.

Oltre ai già citati Beckham, Butt, Yorke e Cole, lo United poteva contare su campioni di primo livello, scovati e cresciuti dal mago scozzese: oltre ad un giovane Paul Scholes già più volte decisivo durante il torneo, tra le file dei Red Devils figuravano talenti del calibro di Jaap Stam, Ryan Giggs, Gary Neville senza contare chi non partì titolare al Camp Nou: Ole Gunnar Solskjær e Teddy Sheringham. 

In quel periodo di gestione dello United Ferguson non fu solo un allenatore, bensì un manager a tutto tondo come raramente si era visto prima nel mondo del calcio. Gestiva lo spogliatoio coadiuvato dai suoi fidati vice-allenatori selezionati personalmente, decideva i trasferimenti in entrata ed uscita, supervisionava il settore giovanile. Fu lui a lanciare i talenti più promettenti dei Red Devils nonostante la stampa inglese pensasse “You can’t win anything with kids” ovvero “Non vincerete nulla con dei bambini”. Tra il 1995 e il 2001 quella stessa squadra, grazie alla superba leadership di Sir Alex conquistò 5 Premier League, 1 Champions League ed altri svariati trofei. Ciò che colpisce leggendo sia “Alex Ferguson: My Autobiography” sia “Managing my life: My Autobiography” – il prequel pubblicato nel 1999 – è l’attenzione che il manager scozzese ha sempre posto per i dettagli. In primis, un dettaglio non da poco: l’assistente allenatore. Ferguson ha sempre scelto figure in grado di rappresentare ed incarnare i valori dello United. Durante la finale di Barcellona, un giovane Steve McClaren, che aveva da poco rimpiazzato una leggenda come Brian Kidd – attuale assistente-allenatore di Guardiola al City – studiava per diventare uno degli allenatori più importanti del panorama calcistico inglese. Ma il più significativo è spesso anche il più inaspettato: Carlos Queiroz. Il portoghese è stato assistente-allenatore in due periodi diversi, intervallati da una esperienza al Real Madrid come allenatore. Sir Alex ha sempre avuto grande ammirazione per Carlos tanto da definirlo uno dei migliori collaboratori che ha avuto in carriera. 

Clamoroso al Camp Nou! 

Ferguson rientrò furente negli spogliatoi a fine primo tempo: “Al termine di questa finale la Coppa sarà a pochi passi da voi, e voi non potrete né avvicinarvi né toccarla se perderemo. E per molti di voi questa sarà l’unica volta in cui arriverete così vicini. Non osate tornare in spogliatoio senza aver dato tutto.” 

Nel secondo tempo quella capacità di osservare di Sir Alex, fin li venuta meno, si trasformò in pochi minuti in due sostituzioni decisive: escono Blomqvist e Cole ed entrano Sheringham e Solskjær. Ma è proprio nei 3’ minuti di recupero assegnati da Pierluigi Collina che si consuma uno degli epiloghi più clamorosi della UEFA Champions League: nel primo minuto di recupero, Beckham batte un calcio d’angolo tagliato che la difesa bavarese non riesce ad allontanare a dovere, permettendo a Teddy Sheringham di insaccare l’1-1 da due passi. Sir Alex gioisce ma non troppo: il suo sesto senso gli dice di aspettare. Due minuti dopo sugli sviluppi dell’ennesimo calcio d’angolo battuto sempre dal numero 7 inglese, Solskjær piazza la zampata decisiva. Finisce incredibilmente 2-1 per il Manchester United. Sir Alex conquista la prima delle due Champions League vinte con i Red Devils. 

In 26 anni di carriera allo United Ferguson è sempre riuscito a ricreare cicli vincenti dalle ceneri di quelli precedenti: dal primo trofeo vinto in finale di FA Cup contro il Crystal Palace all’ultima Premier League vinta nella stagione 2012/2013 – ultima stagione sulla panchina dello United per il manager scozzese – Sir Alex ha avuto la capacità unica di far vestire la maglia del Manchester ad alcuni dei più grandi campioni che il calcio mondiale ha avuto. Da Cantona a Yorke, passando per Cole e Cristiano Ronaldo fino a Van Nistelrooy e Van Persie. Molti di questi sono diventati campioni proprio grazie al lavoro giornaliero portato avanti da Ferguson e il suo staff: eloquente fu l’episodio in cui Sir Alex si recò personalmente a vedere una partita di Cristiano Ronaldo quando ancora giocava nelle giovanili dello Sporting Lisbona; lo scozzese riuscì a strappare il talento portoghese alla concorrenza del Real Madrid offrendo £9 milioni e guidando successivamente CR7 verso il successo che tutti noi oggi ammiriamo. 

Ma Ferguson ha dovuto affrontare anche situazioni complicate: ci sono stati alti e bassi, episodi controversi e giochi di potere come accaduto sia con lo storico capitano Roy Keane sia con David Beckham – famosissimo fu l’episodio in cui nello spogliatoio Ferguson calciò inavvertitamente uno scarpino in faccia allo Spice Boy creando non poche polemiche. Ciò che sembra certo è il segno indelebile che Sir Alex ha lasciato nella storia dello United: ci sono voluti parecchi manager e diversi anni per riuscire a gestire l’addio di quello che per molti è considerato l’allenatore più grande della storia del calcio. 

Il Manager 

La stagione ’98-’99 fu indimenticabile per tutti i membri del Manchester United visto che la vittoria della Champions League consegnò il terzo trofeo stagionale ai Red Devils che entrarono di diritto nella storia del calcio con un clamoroso treble: Premier League, FA Cup e Champions League. Quello stesso anno Ferguson ricevette una delle onorificenze più importanti per un cittadino britannico: venne nominato “Sir” dalla regina Elisabetta II diventando Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico. È sicuramente una delle stagioni più importanti sia per il club United sia per il manager scozzese. 

Ciò che ha segnato maggiormente l’era Ferguson è stata la sua capacità di rivoluzionare il concetto di allenatore e di gestione di una squadra; ha ridefinito il concetto di vittoria attraverso la capacità di ogni individuo del team di dare il massimo per raggiungere l’obiettivo finale: la vittoria. 

Nel suo ultimo libro “Leading: Learning from Life and My Years at Manchester United” pubblicato nel 2015, Sir Alex affronta uno dei temi più importanti per un allenatore: la gestione del gruppo. 

In precedenza è stata evidenziata la sua capacità di osservatore oltre che le sue doti nel scovare e forgiare in continuazione nuovi talenti: in una intervista rilasciata a Forbes l’anno scorso, in occasione del suo ritorno alla Università di Harvard come professore, Sir Alex ha sottolineato alcuni elementi che hanno segnato la sua carriera di manager. Anzitutto è necessario provare agli altri di essere un vincente: solo cosi si può dimostrare quali obiettivi sono raggiungibili fin dall’inizio. Un altro ingrediente che ha caratterizzato i successi del manager scozzese è stata la sua passione per il lavoro duro e l’etica: i giocatori più forti avevano la responsabilità di trascinare il gruppo verso l’obiettivo finale. In un passaggio Ferguson sottolinea che “Giocatori come Ryan (Giggs) e Cristiano (Ronaldo) lavoravano talmente duro che gli altri compagni dovevano chiedersi “Aspetta un minuto, se lo fanno loro, lo devo fare anche io”. Magari non avevano il il talento di Cristiano o Scholes o Cantona ma il desiderio di essere i migliori li ha resi giocatori molto importanti per lo United. Per questo credo che gli esempi siano definiti dalla capacità di essere vincenti.”

Sir Alex Ferguson ha chiuso la sua splendida carriera da manager nel 2013: 49 trofei in 39 anni. Ha lasciato da vincente anche se continua a far parte del Manchester United come consigliere e viene spesso visto in tribuna ad assistere ai match dei Red Devils; proprio all’Old Trafford gli è stata dedicata una delle gradinate che ha preso il nome di “Sir Alex Ferguson Grand Stand”. Probabilmente lo scozzese non ha rivoluzionato il modo di giocare a calcio e di stare in campo come può aver fatto Valeri Lobanovski con la sua Dinamo Kiev: tuttavia è stato il primo ad intendere il ruolo di allenatore come manager a tutto tondo ridefinendo inevitabilmente la relazione tra giocatori e allenatore. 

"The work of a team should always embrace a great player but the great player must always work."