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Un sogno chiamato White Chocolate

The Basketball's Disease

Un sogno chiamato White Chocolate The Basketball's Disease

Avete mai mangiato un pezzetto di cioccolato bianco?

Beh, se non l’avete mai fatto provatelo subito, è ben diverso dal cioccolato normale. Ha un aspetto pallido per via della sua composizione leggermente diversa, nonostante la sua lavorazione sia costituita da burro di cacao, zucchero e derivati solidi del latte, uguale a quella del comune cioccolato. È stato inventato in Svizzera, non in America.  Dall’altra parte dell’oceano perà c’è un ragazzino nato nel West Virginia che giocava su di un campo da basket in modo così dolce, anzi sweet, che lo hanno dovuto paragonare alla barretta dolce di cioccolato bianco. 

La settimana scorsa siamo stati alla Oak Hill Academy, nello stato del Virginia, questa volta invece ci spostiamo. Dove? «West Virginia! West God! West Virginia!», citando un soldato poco dopo la guerra di secessione. A cinque miglia da Charleston c’è la DuPont High School, un liceo sconosciuto che nel 1994 arriva alle finali statali di basket grazie a due ragazzi che poi Nike utilizzerà per un suo spot pubblicitario: Jason Williams non ancora soprannominato White Choccolate e Randy Moss, già soprannominato The Mossiah.

Entrambi sono amici, ed entrambi giocano anche ad altri sport. Queste due cose aiutano molto J-Will nella sua visione di gioco, sopratutto quando anni dopo realizzerà passaggi da un lato all’altro del campo da basket come se fosse un vero e proprio quarterback della NFL. Se Rod Strickland si perdeva lungo le montagne della Virginia per scappare dalla prigione monotona che era Oak Hill, a Dupont City la situazione non è diversa, al massimo ci si poteva perdere sul Sentiero degli Appalachi.

Quel sentiero spesso Jason l’ha preso, ma lo ha fatto con un pallone arancione a spicchi in mano. Dopo il liceo riuscì ad arrivare prima a Providence e poi alla Marshall University, dove ebbe un anno da matricola devastante nelle statistiche sotto la guida di Billy Donovan. Il coach divenne così importante per lui che quando quest’ultimo fu trasferito in Florida per allenare i Gators, lui lo seguì costringendosi ad un anno da Redshirt, ossia: potendo frequentare l’università, dando anche gli esami, praticare tutti gli sport, ma senza partecipare alle gare o alle partite ufficiali. 

Qui la sua abilita nel tocco di palla aumenta a dismisura. Solo Pistol Pete Maravich prima di lui aveva una tale leggerezza e sensibilità nel tocco, molto differente da quella di Magic Johnson. Nella stagione successiva ha una media di 17.1 punti, 6.7 assist e 2.8 rubate a partita. Fu memorabile la sua vittoria contro i Kentucky Wildcats a Lexington. In una sola gara fece 17 assist, in pratica mandando a canestro anche il Pop-corn Boy

Nel 1998 J-Will incantava tutti ogni volta che scendeva in campo come un vero e proprio mago prestato al mondo del basket. Entrò nel Draft NBA dello stesso anno e fu chiamato alla settima dai Sacramento Kings, correndo un notevole rischio per via del suo curriculum incompleto e dei suoi problemi con le droghe. Qui Stephanie Shepard, media relations assistant della franchigia, gli attribuisce il nome Cioccolato Bianco, per via del suo stile di gioco incredibile. Ha la visione spettacolare di un giocatore di colore, ma è bianco di carnagione. E infatti Jason si tatua sulle nocche le parole White Boy. Si trova perennemente nella Top 10 di Sports Center su ESPN, ogni volta con una giocata spettacolare mai vista prima nell’era moderna del gioco.

Il ragazzo non è cresciuto a New York City. La città da dove proviene, come abbiamo già detto, non è nemmeno vicina alla grande mela. Lui però ha una tale attitudine da playground che persino Sports Illustrated lo quota come uno dei giocatori più elettrizzanti della stagione e pur essendo un rookie la sua canotta entra tra le 5 più vendute in tutto il mondo. All’All-Star Weekend del 2000, mentre lui indossa la 55 nella partita tra rookie e freshmen, esegue un elbow-pass in contropiede che gli permette di far arrivare la palla ad un sorpreso Raef LaFrentz. La NBC, che trasmetteva la partita in diretta, nei 5 minuti successivi non si cura di nulla, se non di mandare in onda il replay della giocata da ogni angolatura. Ecco qui, Jason con carta e penna alla mano, ha scritto un pezzo di storia del gioco: “La fantasia al potere, nella testa di un mago”.

Williams divenne il co-pilota perfetto di Chris Webber, soprannominato C-Webb. La casa di Jason ancora oggi è piena di ricordi e regali fatti tra i due. In coppia, messi affianco di Vlade Divac, Peja Stojakovic e Doug Christie, portano i Kings ai playoff per tre anni di fila, ma nelle prime due occasioni incontrano la coppia di ferro Kobe & Shaq e perdono 3-2 entrambe le serie. Poi contro i Phoenix Suns 3-1 e poi nuovamente contro i Lakers, con lo sweep del 4-0. 

A fianco del suo genio creativo e dei suoi polpastrelli, guidati dagli impulsi del cervello sul ritmo cardiaco di un visionario del basket, c’è abbinata una buona dose di rischio. Jason non ha un bel comportamento e infatti in questi anni ricompare l’incubo delle sospensioni. Viene ritrovato più volte positivo alla marijuana e costretto a frequentare il mandatory counseling program, un programma di riabilitazione a cui J-Will non presta molta attenzione. E infatti i Kings decidono di cederlo per Mike Bibby, spedendolo nella città che ha un solo King nella figura di Elvis Presley ed inizia per M, ossia Memphis.  

I tifosi non andavano all’allora Pyramid Arena nemmeno gratis, anche perché la squadra non era granché, ma dopo 4-5 partite di Jason, alla partita non si trovava più un posto. Il suo stile di gioco cominciò a modificarsi. Non cercava più la giocata ad effetto così spesso come in passato, ma divenne un figura più da leader nella conduzione del gioco. Forse era quello che serviva per battere i Lakers negli anni d’oro di Kobe & Shaq. Ma come sempre, riesce ancora ad accendere e spegnere l’elettricità in campo quando vuole e una sua magia è sempre dietro l’angolo. 

 

Hubie Brown e Mike Fratello non riescono a creargli una squadra attorno per competere nella lotta al titolo. Il 2 agosto 2005 lascia il duo formato con il catalano Pau Gasol, entrando in uno scambio che coinvolse ben tredici giocatori e finendo ai Miami Heat di Dwyane Wade e Shaquille O’Neal, anche lui appena trasferitosi. Nel regno di Pat Riley, che prese le redini del comando a Stan Van Gundy, arrivò per la prima volta alle Finals NBA contro i Dallas Mavericks. Ribaltarono la serie da due a zero a quattro a due portato a casa il Larry O'Brien Trophy. Forse se avesse avuto meno problemi con le droghe e meno periodi di sospensione, il titolo sarebbe arrivato prima e forse anche più da protagonista.

Ha molti tatuaggi sul suo corpo, una panther sul braccio destro, un drago sul sinistro, ma ce né uno in particolare, posizionato sul petto, che raffigura un occhio. Secondo lui è il motivo del perché riesce a passare la palla e a vedere i compagni in un modo diverso da tutti gli abitanti del pianeta. Il fatto è che le sue visioni ancora oggi sono inspiegabili e anche irripetibili, così come la tecnica del Dishes Off Pass, dove lancia la palla al compagno libero con la rotazione guidata dai polpastrelli, simile al lancio di un piatto da cucina.

Se sei un playmaker e ami il basket, le sue giocate ti si tatueranno addosso e cercherai lo Zen della sua visione del campo come un vero e proprio monaco buddista. Ma bisogna sempre ricordarsi che esisterà sempre un solo 55 con il soprannome di White Choccolate.