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Sugar, Sugar, Sugar

The Basketball's Disease

Sugar, Sugar, Sugar  The Basketball's Disease

Se il nome della città di New York è così bello che persino Frank Sinatra lo deve pronunciare due volte in “Twice”, il soprannome di Micheal Ray Richardson lo si deve pronunciare tre di volte. Questo perché ogni suo canestro era seguito da un lungo stupore, giusto il tempo di uno “Sugar, Sugar, Sugar”, ripetuto per tre volte. Approda nella Grande Mela nel draft NBA del 1978, e i newyorkesi trovano subito un modo tutto personale di esprimere quello che faceva Ray con la palla in mano. “Man, did you see that ? That was bananas". Ecco “Bananas” è uno slang che in ogni contesto assume più o meno lo stesso significato, equivale diciamo al nostro superlativo di “pazzesco!”.

Larry Legend Bird, lo ha definito uno dei migliori giocatori di basket del pianeta. Durante il suo anno da rookie contro Magic Johnson, tra un trash talk e l’altro, fece due giocate così belle che l’intero Great Western Forum si alzò per lui, altro che "Show time, baby”. Jud Heathcote fu il primo di una serie di allenatori a cui Micheal si legherà morbosamente, quasi come in un rapporto tra padre e figlio. Anche perché lui un padre dopo gli 8 anni non l’ha mai avuto. Quando arrivò ai Knicks, ad allenare c’era Willis Reed che dopo un record iniziale di 6-8 fu rimpiazzato dal mitico Red Holzman, con cui gli stessi Knickerbockers avevano già vinto il titolo 2 volte, creando l’Eden al Madison Square Garden. Il rapporto tra i due è molto difficile e infatti Red lo piazza in panchina dopo 14 partite.

Ray chiude la stagione con una buona media, anche se fa il cambio di Earl “The Pearl” Monroe. Il pubblico del MSG impazziva per Ray, che riusciva ad essere devastante in tre ruoli diversi e ad ogni palla rubata. Perché si, lui difendeva. Lo faceva come Walt “Clyde” Frazier e prendeva sempre il migliore giocatore degli avversari. Era in grado di gestire il pallone e di creare gioco per i suoi compagni di squadra e, se doveva, ad andare dentro non ci pensava due volte. Nella stagione successiva ritorna al Garden, ed i Knickerbockers sono i suoi. Al secondo anno guida la classifica di assist (10.3 per partita) e palle rubate (3.2). Diventa un All-Star, non solo di New York ma dell’intera lega. Anche perché il famoso detto newyorkese "Se lo fai a NYC lo puoi fare ovunque” calza a pennello con lui.

In un’atmosfera da romanzo di Fitzgerald, Sugar Ray comincia a non perdersi neanche un appuntamento notturno della Grande Mela e nella città che non dorme mai questo rischia di essere un problema. Mike Glenn, suo compagno di squadra all’epoca, lo accompagna durante questi viaggi infiniti che spesso finivano dritti nell’allenamento del giorno dopo. Nella anno di grazia 1981 riesce a portare i New York Knicks ai Playoffs e tutti lo vogliono in squadra. Ormai aveva raggiunto uno stato di grazia sul parquet unico nel suo genere. Addirittura firma un contratto con due brand differenti di scarpe e si fa pagare da entrambi prima che si scopra il conflitto d’interessi. Nella vita di un uomo arriva sempre una donna ad un certo punto. A volte lo rende una persona migliore, a volte invece… Ma nella vita di Ray la donna è sempre vestita di bianco e lo porta ogni volta in una condizione innaturale sia dal punto di vista mentale che da quello corporeo.

Il nome della sua compagna di uscite è ben noto in quei anni a New York. Si chiama cocaina ed è illegale a tutti i livelli. Il guaio è che lui non smette, ma anzi aumenta sempre, proprio come quando entrava in “striscia” dopo un canestro segnato. Durante una serie di partite qualcosa non va, il suo corpo non è più lo stesso, manca di esplosività e la sua mente non legge più il gioco come prima. Hubie Brown, colui che ha creato il campione che è attualmente Pau Gasol, sollecita la dirigenza a scambiarlo. Al Madison il grido “Sugar, Sugar, Sugar!” non sarà mai più pronunciato. Arriva sulla Baia nello stato dell’oro ma, senza guida e senza una voce forte al suo fianco, il suo problema legato alla droga diventa molto serio. Scompare per interi giorni e viene ritrovato sempre in condizioni disastrose.

Lo scambiano di nuovo e siccome gli Dei del basket sono sempre i più bizzarri del pantheon, finisce di nuovo a New York ma da i cugini dei Nets. Alla guida della Brick City Basketball c’è “The Fixer” Larry Brown, che predica da subito il mantra “The Right Way”. Tra i due si instaurerà un rapporto di amore-odio come quello che abbiamo visto nell'era Iverson dei 76ers. Larry è l’unico che riesce a mandare Sugar in una clinica per disintossicarsi. Ma anche quando ritorna in campo qualcosa non va, ricade sempre tra le braccia della sua dama bianca. Lo rimandano avanti e dietro come un bus di linea che ripercorre il solito giro. Ma una volta si ricovera di sua spontanea volontà e quando esce per poter ritornare a giocare dopo esser stato tagliato a metà stagione si scusa con tutti.

Nella stagione 1983, Sugar Ray sembra essere tornato il giocatore che era, la reincarnazione tra Frazier e Magic Johnson. Da ragazzo aveva un sogno: schiacciare su Doctor J, il newyorkese meglio conosciuto come Julius Erving. Lo realizza e lo realizza a suo modo, ovvero letteralmente distruggendo il Dottore durante una partita di playoff. La stagione dopo riceve il premio di Comeback Player of the Year (Oggi lo conosciamo con la sigla: MIP). Il numero 10 from Motor City, Isiah Thomas, che nel tempo sfrutterà qualsiasi occasione per denigrare Jordan e Bird, dirà che l’unico giocatore che lo abbia mai preoccupato più di tanto fu proprio Sugar Ray. Purtroppo i fantasmi tornano a prenderti quando meno te lo aspetti e mentre Ray era diventato di nuovo un leader, di nuovo un campione, di nuovo l’artista che dipingeva il quadro più bello del basket nell’esposizione al MoMa della NBA, ci ricasca il giorno del party di Natale in casa Nets.

Sparisce ancora per giorni interi, sollevando l’attenzione di tutti i media, mobilitando anche l'FBI. Nessuno voleva sapere che fine avesse fatto Ray, ma tutti lo sapevano già. Venne bandito dalla lega più ambita del mondo. L’Olimpo del basket non lo riconosce più come un figlio. E pensare che in più partite aveva letteralmente umiliato un giovane Jordan con più giocate, sopratutto difensive. Arriva in Europa negli anni successivi e in Italia in una partita ne mette 46 contro Caserta. Ma lui non è più se stesso, non si muove più come prima anche se quella dama bianca non l’ha più rivista. Terminò la sua carriera a quasi 45 anni.

La sua è una storia incredibile, tutti abbiamo perso il conto di quante volte si sia rialzato dall’inferno della cocaina. Non conta quante volte sbagli, ma quante volte riesci a rialzarti ed arrivare al punto di non sbagliare più. Il singolo di Nas - Memory Lane sul sample di Reuben Wilson potrebbe rispecchiare la sua anima:

"Gassed up by a cokehead cutie pie Jungle survivor, fuck who's the live-er”.