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Ray Lewis, l'angeleno col dono della pioggia

The Basketball Disease

Ray Lewis, l'angeleno col dono della pioggia The Basketball Disease
Vincent van Gogh, Rain or Enclosed Wheat Field in the Rain, 1889

Ancora oggi i binari che attraversano le stazioni della south zone di Los Angeles narrano mille storie affascinanti e se noi percorressimo in solitudine quelli che si fermano nel quartiere Watts potremmo percepire una conversazione del tipo:

"Hey man, dove sei stato?"
"Ero al campo, man! It’s a Rainy Night! Pioveva!"

Questa è una storia forse ancora più toccante di quella di Ben Wilson, perché quando un Allen Iverson o un Baron Davis o chiunque altro esegue un crossover con un arresto e tiro lo si deve a un certo Raymond Lewis, che da bambino arrotolava i suoi calzini per tirarli nel cestino della spazzatura durante le "Watts Riots", ossia le rivolte a sfondo razziale più crude e violente della storia degli Stati Uniti d’America. Un documentario molto affascinante dal titolo “Wattstax “, dove si esibirono artisti come Rufus and Carla Thomas, the Bar-Kays, the Staple Singers, Albert King, e Isaac Hayes urlando il mantra per la sopravvivenza di quei anni “I am somebody!”, “Io sono qualcuno”, rende molto l’idea della follia che regnava in quegli anni per la lotta per i diritti umani.

La Verbum Dei High School nel 1969 ha una palestra dove non succedono grandi cose, il programma sportivo del liceo aveva delle lacune colossali soprattutto nel basket. Un giorno però si presentò con un pallone sotto il braccio destro questo ragazzo smilzo con una leggera capigliatura afro e dei basettoni che arrivano al centro della guancia. Al primo tocco della palla sui suoi polpastrelli non ce n’è per nessuno. Ha una capacità irreale nella coordinazione di piedi, gambe, mani e un rilascio poetico. Dopo due gare vinte con lui sopra i 50, la frase più gettonata era: "Ma questo è il secondo messia dopo Earl Monroe". Fa innamorare tutti ad ogni cambio di mano con “Speed Dribble”, e dopo l’arresto e tiro è ovviamente “Nothing but Net”.

Quando siamo sorpresi da un temporale, spesso affrettiamo il cammino e anche sforzandoci nel cercare un minimo di riparo ci bagniamo lo stesso perché la pioggia cade comunque dove deve cadere. La particolarità di Raymond era proprio questa, non segnava mai dallo stesso punto, ad ogni azione s’inventava qualcosa di diverso in ogni metro del campo, proprio come la pioggia arriva da ogni parte. Segnava come se piovesse, in ogni posizione con la ritmicità di un temporale estivo della durata di 40/50 minuti.

Un poeta che pronunciava ad ogni tiro il verbo della pioggia. Il pubblico impazziva per lui ed aveva inventato un coro del tipo: RAY, MAKE IT RAIN! RAY, MAKE IT RAIN! RAY!. Porta la scuola al "Back to back to back”, ossia al primo titolo della sua storia più altri due consecutivi. Non la passa mai, però chiude con una media punti irreale e diventa per due volte consecutive “player of the year”.

Ora tocca andare al college, ma dove? Sul tavolo arrivarono 250 proposte, ma la CAL State University, Los Angeles, ha la meglio, perché gli regala una corvette rossa e gli promette di portare con se gran parte dei suoi compagni di squadra. Dite sia una cosa illegale? Ovviamente! Ma lui in una partita da matricola segna 73 punti contro la UC Santa Barbara, 30 su 40 dal campo (75%) con più di 13 tiri liberi senza errori, e quando arriva la UCLA  di Dave Meyers, Pete Trgovich e Andre McCarter, future prime scelte all’NBA Draft con 26 vittorie consecutive, l’esito può essere solo uno: 40 firmati da Ray con più del 60% al tiro. Contro coach Jerry Tarkania, che cercò in Glenn McDonald un riparo dalla pioggia che gli stava per cadere addosso con una box-and-one a fare da ombrello ombrello: be’, ne segnò 54! Con i fan che gridavano in coro: “Shoot Raymond Shoot!” Il coach nel suo libro “Runnin' Rebel: Shark Tales of Extra […]” dichiarò: "The son of bitch beat us in single-handedly. He made a move on Glenn that was so smooth Glenn wound up with a stress fracture in is ankle. Raymond literally broke Glenn’s ankle".

38.9 di media nella prima stagione finendo davanti a David Thompson (futuro membro del Naismith Hall of Fame). Lo scelsero i Philadelphia 76ers con la 18 nel draft del 1973 dietro a Doug Collins, prima scelta assoluta e futuro All-Star.  E ora che succedono tante cose che lo rinchiudono in un vero e proprio limbo. Durante il training camp, umilia l’ex membro della squadra olimpica in Monaco ’72, si narra di 60 punti nel solo primo tempo e che Coach Gene Shue, dovette sospendere la partita per far si che  il numero 1 al draft non si sentisse più imbarazzato da Lewis e i giornalisti lo dipinsero come la migliore scelta mai capitata dopo Billy Cunningham. Però quando i 76ers offrirono un contratto superiore a Doug, Ray non la prese benissimo e infatti, contro il rookie di Los Angeles ne mise 52 ma, non firmò mai una impegnativa, un contratto, un qualcosa e nelle ultime partite fu boicottato: giocò poco e non gli arrivò mai il pallone. Questa situazione continuò per un po’ appiccicandogli un etichetta indelebile con la scritta "The Phantom”. La sua ossessione per i soldi lo fece finire su di una “Blacklist” che non gli permetterà mai di entrare nella NBA nemmeno l’anno successivo. Finito. Un talento finito a 22 anni.

Ma non finisce qui perché le strade continuano a parlare di lui, la pioggia continua a scendere giù quando c’è lui con in mano un pallone arancione a spicchi di fronte ad un canestro. Nei campionati estivi della città degl’angeli, dove partecipano anche i migliori giocatori pro della nazione, nel 1981, ha una media di 54 punti a partita ed in una di queste gare nel 1983 ne segnò 81 e in un altra contro Michael Cooper, specialista difensivo dei Lakers dello Showtime, ne segnò 56 in soli tre quarti di gara.

Purtroppo dal limbo si finì all’inferno dell’alcool e delle droghe in un battito di ciglio, senza casa e lavoro. Per colpa di una grave infezione fu poi costretto all’amputazione di una gamba prima della sua morte nel 2001, proprio mentre Allen Iverson eseguiva quel cambio di mano con arresto e tiro durante la scioccante corsa alle Nba Finals finite contro i Lakers di Kobe e Shaq.

Ray fu forse il miglior giocatore di sempre mai apparso su di un campo pro-basketball. Il suo tiro dai sei metri, il più dolce che si sia mai visto. Forse non è mai esistito, forse è ironicamente solo una leggenda. Però da oggi in poi quando siete al campetto ed entrate in quello stato di grazia dove vi entra tutto da ogni posizione ad ogni tiro urlate: MAKE IT RAIN RAY LEW, MAKE IT RAIN!

Ancora oggi dopo 15 anni la sua anima non ha mai lasciato Watts e questo fu il poema scritto per il suo funerale:

Make it rain, Ray Lewis, Shoot, Shoot,

in the middle of the night make it rain, Ray Lew, Make It Rain.

At Verbu Dei there was never a drought on game day.

At L.A. College it was the same way.

“What’cha say?” - Shoot, Shoot, Shoot

love the rack like a woman. if it’s true love, when you 

let it go, it will come back to you.

Make it Rain, Ray Lew, make it rain, Ray Lew

Shot the smoothest 20 footer i’ve ever seen.

Like a slingshot David, he shot down Goliath teams.

Everybody scream, “Lay up! Lay up!" and Sho-nuff,

the nets were swish, and begged for Mercy,

and other schools wished they had

Ray Lew on their time-list. Shoot, shoot, shoot.

 Make It Rain, Ray Lew, make it rain.

Vincent van Gogh, Rain or Enclosed Wheat Field in the Rain, 1889